07 novembre 2013

A proposito della "Marcia Russa"

"Novaja gazeta", 05-11-2013, 13.10.00
La marcia dei bambini abbandonati

Non hanno niente, tranne la nazionalità e l'odio. Questo è l'unica cosa che li unisce. Per questo sono qui

A capo delle colonne pronte per la marcia russa [1] stanno quattro persone in uniforme nera con alte insegne. In cima alla aste alzate al cielo grigio ci sono croci massicce color sabbia. Enormi teli traboccano lentamente al vento. A destra c'è il tricolore imperiale bianco-giallo-nero, al centro due insegne con severi volti di Cristo, a sinistra un'insegna con il volto del cantante Tal'kov [2] e la scritta "Igor', ucciso per la Russia". Sul lato opposto dell'insegna con il volto di Cristo brilla in oro solenne: "La Russia sopra a tutto". Cristo non ha detto questo della Russia, questo non si trova nel Nuovo Testamento, né nei Vangeli non canonici, ma qui ciò non ha importanza.


Il ragazzo che sta al centro con l'insegna di Cristo si chiama Dmitrij Antonov. Ha le guance rosse, un'uniforme nera cinta con cinghie, stivali e un caffettano su cui brilla opaco un teschio argentato. Sulla fibbia di una larga cinghia da ufficiale c'è un' aquila bicefala. Su un lato del petto nero un segno ampolloso con il profilo di Nicola II, sull'altro un segno con il profilo di Tal'kov. Questo ragazzo, che sta a capo della marcia, è tanto pittoresco che attira continuamente a se le telecamere. E' un monarchico e sa con precisione che la monarchia tornerà in Russia. "La Russia per i russi… Siamo contro la gente di altra stirpe e di altra fede", – dice.
"E i baschiri e i tatari… che fare con loro?" – "Dio darà! Dio darà!" – promette, guardando chi gli ha posto la domanda con pura, indubbia e infantile serietà nello sguardo.
Davanti alla colonna, che ancora non si è messa in moto, a gambe divaricate stanno alcuni agenti dell'OMON [3] grossi e larghi come armadi in tuta mimetica grigio-azzurra. Guardano la folla che si infuria, che lancia urla, che impreca, che grida a squarciagola in silenzio e con qualcosa negli occhi… che, per quanto strano, ricorda l'umorismo. All'improvviso a uno di loro freme la radio: "Pečora [4]-2! Per via Belorečenskaja [5] è passato un gruppo di adolescenti di trenta persone…" Frinisce in cielo un mio vecchio conoscente, un elicottero della polizia. Tra gli agenti dell'OMON e la colonna, nello spazio vuoto, circondato da un gruppo di compagni sta il nazionalista Dëmuškin. E' in camicia bianca come neve e giacca nera su un giubbotto nero con un'ampia cravatta arancione. Intuisco che così ha unito nel suo abito i colori della bandiera imperiale. La barbetta rossa sporge dal suo mento e questi parla con voce non forte, chiara e pulita e pronuncia male la "r" e la "l". Parla del fatto che stamattina lo FSB [6] ha attaccato un magazzino dei nazionalisti, dove questi conservavano striscioni, pannelli e cartelli preparati per la marcia. "Hanno fatto stendere le guardie sul pavimento, hanno versato vernice su tutti i nostri striscioni…" I suoi compagni – tutti esclusivamente in nero – ascoltano in silenzio le notizie dal fronte.

La marcia comincia a muoversi. Sopra c'è il cielo gonfio di umidità e cupo dell'autunno russo, intorno le accurate nuove costruzioni del quartiere periferico di Ljublino e i campi verdi con stradine diritte su cui, come in un'altra vita, passeggiano mamme con i bambini e dai due lati la strada stretta è premuta da alte barriere portatili. E' una strettoia, da essa non ci se ne può andare. Dietro le barriere stanno poliziotti piuttosto giovani e più lontano, occupando tutto il parcheggio del grande magazzino Auchan, in tre file uguali si sono schierati trenta camion dell'esercito a tre assi con i cassoni coperti. Il ristorante "Tanuki" al primo piano di una nuova costruzione propone di "regalare alle persone vicine un pezzetto di Giappone", ma anche questo ristorantino, che galleggia a quindici metri dalle colonne, sembra posto in un altro pianeta e in un'altra realtà. Là, dietro le finestre, la gente mangia comodamente la zuppa Misoshiru e qui, in una nuvola di imprecazioni, in un accesso di insulti incarogniti, prendendo tutto il mondo per il petto, vanno diecimila persone con bandiere nere e rosse con il kolovrat [7] bianco.


Gridano forte perfino per una marcia, dove nessuno parla piano, al limite della perdita della voce, facendo risuonare l'aria di grida, facendola a brandelli, vicino all'isteria. Naval'nyj non c'è, ma non ha importanza perché qualcuno lo sostituisce con successo, gridando con intonazione selvaggia, schiacciante: "Noi siamo il potere qui!" Le colonne divise in reparti vanno davanti agli abitanti del luogo che stanno presso le barriere e guardano con curiosità e senza pausa e senza stanchezza gridano furiosamente che sono russi. "Chi siamo? – Russi! Ai russi il potere russo! La Russia per i russi! Abolire il due-otto-due [8]! Russi, avanti!" E perfino "Mantieni il sangue puro!".
In che senso? Nel senso di non amare le ragazze di altre etnie? Non innamorarsi di persone giovani senza chiedergli il quinto punto [9]? Ma non potete andare a quel paese con il vostro sesso fascista razzialmente corretto, ragazzi?
E come da se, con la graduale evidenza di una malattia, sorge qui e là in queste colonne accalorate il tema ebraico. "In primo luogo, bisogna distinguere chi è ebreo e chi non è ebreo…" – sento il colloquio di un uomo e una donna vicino a me. Gli eterni sforzi e l'eterna paura del nazionalista russo, cosparso di pulci di antisemitismo: non si può riconoscere subito se qualcuno è ebreo! Ah, cosa sarà allora! In queste conversazioni si sente odore di noia putrida e cetrioli inaciditi.

Giubbotti neri e teste rasate a zero si associano bene a pantaloni ginnici neri con strisce bianche. Un tal numero di scarponi neri allacciati non l'avevo ancora visto nello stesso posto. Teste rasate, tempie rasate ai lati, colli da lottatori ben rasati, qualcuno in mezzo alla testa rasata ha lasciato un ciuffo di capelli – va in marcia un look brutale da guerra di strada, passano gli oscuri vendicatori dei truffati dalla vita, dei rapinati da Čubajs [10], dei cacciati nel nero nulla delle periferie. Due persone in abiti neri aderenti davanti ai miei occhi si azzuffano tra loro con odio viscerale, come bestie. Non hanno condiviso qualcosa per strada. Il megafono si immischia nel loro conflitto, in esso grida una persona bassa con un cappotto lungo fino ai piedi e un cappello di feltro nero: "A chi appartiene la Russia? – Ai russi! (grida la colonna) – Chi siamo? – Russi! (grida ancora più forte) – Ordine russo sulla terra russa!" – annuncia ad alta voce il megafono. "Dio è con noi!" – in seguito stabilisce per Dio e difficilmente sa che proprio queste parole erano incise sulle fibbie delle SS.


Povero Dio! Quanti pazzi, furiosi, malati se lo sono già designato come capo e hanno annunciato che è con loro. Quante volte hanno già deciso per lui e si sono sbagliati. Dio, gridavano, è con noi nelle colonne dei crociati, nelle fila dei carnefici che bruciavano l'eresia albigese, nei silenziosi uffici dei burocrati zaristi, che inflessibilmente hanno portato il paese alla rovina, nei cortei degli assalitori con le fiaccole, nelle folle accalorate del pogrom di Kišinëv [11]. Ma non è mai stato là con loro. E ora non è qui con loro. Dio se l'è svignata, non sopporta più i nazionalisti di tutti i popoli della Terra, che lo fanno a pezzi, se n'è andato lontano spaventato, colpito duramente da questa follia che si affretta sempre più, che cresce sempre più e si è nascosto da qualche parte nelle profondità del suo Universo da questi adolescenti aggressivi e imprecanti, da questi uomini adulti con volti dall'insopportabile serietà, offesi dal potere, dalla vita e dal destino, rapinati dal mondo degli affari, privati di speranza. E allora una volta all'anno giungono a Ljublino, stringono i pugni e gridano: "La Russia per i russi! Ai russi il potere russo!"

Ma che altro possono gridare? Non hanno più nulla, tranne la nazionalità. Tutto il resto gliel'hanno tolto. Non hanno sindacati, nel paese non ci sono sindacati. Non hanno partiti, dov'è il partito della persona che lavora? Non hanno soldi, li ha presi tutti per se Abramovič. Non brillano per istruzione, la carriera – non fatemi ridere, quale carriera? E i loro figli l'Al'fa-Bank non li manderà a studiare in America. L'opposizione li disgusta perché a capo di essa ci sono un ex ministro del governo di El'cin [12] e uno scrittore alla moda che invia lettere istruttive dalla Provenza [13] e un operatore delle tangenti di Skolkovo [14] e gente simile. Beh, dovrebbero seguire Sobčak [15] e ascoltare i commentatori di "Ėcho Moskvy" [16]? Per questo sono qui e per questo hanno volti oscuri, pesanti, cupi e molto cattivi, come non li vedi mai in piazza Bolotnaja [17], ma che qui sono così tanti sotto la pioggia tra le stazioni del metrò "Ljublino" e "Bratislavskaja"[18].

Questa ferocia di persone rigettate dalla vita come si getta la spazzatura, la ferocia di persone che conducono i loro giorni nel lavoro estenuante senza chance di guadagnare e lasciare almeno qualcosa ai figli, questa ferocia di persone che sanno che le hanno derubate sfacciatamente, gli hanno portato via il paese e fregato la vita. E quando gridano l'eterno slogan della protesta "Putin ladro!", Putin per loro è un concetto collettivo per tutte quelle persone e forze volgari e schifose che gli hanno tolto qualcosa che difficilmente possono esprimere a parole nella tenebra senza luce della loro vita. "Abbasso, abbasso l'ordine cekista [19]!" – risuona allora una giovane voce e questo grido è ripreso da centinaia di voci. Sotto bandiere rosse con una granata disegnata sopra vanno quelli del partito "Altra Russia" con uno striscione pure rosso, su cui è scritto uno slogan chiaro e semplice come un ceppo: "Portar via e dividere!" "Lavoratore, lavoratore, uccidi il capitalista!" – sentenziano e cantano piano questi sotto la pioggia come riscaldandosi con una canzoncina non difficile da guerriglia urbana.


So che le parolacce sulla stampa sono proibite e io senza divieti legislativi me la sono cavata senza parolacce. Ma qui, a questa marcia e in questo testo, le parolacce sono naturali e necessarie come precisa espressione dell'odio e di quella coscienza da fronte con cui vivono migliaia di migliaia di abitanti delle periferie con le finestre sul mercato delle verdure. Queste parolacce sono necessarie per esprimere la paura che prende l'autista moscovita quando da una BMW nera si gettano su di lui dei cavalieri caucasici con mazze e coltelli. A dire il vero, anche alla "Marcia Russa" si sono trovate persone che hanno espresso questo con parole colte su un cartello accurato: "Il crimine ha un'etnia!" – ma gli altri non li hanno sostenuti. Gli altri gridavano con un qualche malvagio e perfino gioioso odio: "F... il Caucaso!" e poi per tutta la strada per la via stretta tra due cordoni di polizia cantavano un inno fatto in casa: "E beh, e beh, andate a c... via da qui [20]! La Russia per i russi, Mosca per i moscoviti!" E stranamente in questa folla, che evidentemente non si distingue per amore per i libri, su un cartello sollevato ho visto il volto del generale Ermolov e i suoi famosi favoriti che si allargano in basso.

L'eroe della battaglia di Borodino, l'amico dei decabristi Aleksej Petrovič Ermolov fu un Cesare irrealizzato e il realizzato pacificatore del Caucaso. Bruciava i villaggi. Ma era una guerra lontana da Mosca, di cui i mercanti moscoviti venivano a sapere dalle lettere e dai racconti degli ufficiali ritornati. E qui va una colonna di moscoviti con un enorme cartello grigio-azzurro su cui a lettere nere è scritta una parola: Birjulëvo [21]. Vanno uomini oscuri con i cappucci sollevati, con scarpe da ginnastica sporche, che sanno che non c'è polizia, né tribunale e che nel caso che succeda qualcosa toccherà sistemare da soli. E poi, con le parole di "Ėcho grjaduščej vojny[22], la serie: "Pugačë[23], Rostov [24], Sagra [25]Manežka [26], Kondopoga [27]".

Vanno in un gruppo distinto e piccolo dei cosacchi con berretti a visiera e pantaloni con le strisce e cantano dolcemente per via: "Cristo è risorto! – E' veramente risorto!" [28] Portano uno striscione con il nome dell'atamano [29] Pëtr Molodilov, che ha avuto diciassette anni di reclusione per aver ucciso due armeni che avevano violentato una ragazza russa. Questo non è il suo unico omicidio. Vanno i silenziosi difensori del Chopër con lo striscione: "No all'estrazione di nichel sul Chopër!" Vanno ragazzi con striscioni "Russo significa sobrio" e gridano allegramente: "Russi per lo sport!" Davanti ai cosacchi va un uomo triste con una camicia bianca non rimboccata con cuciture sul petto e insieme a una piccola donna scura porta un quadretto colorato in una cornice in cui sono raffigurati Nicola II e la sua famiglia. Riscaldando la sua anima, facendo gioire il suo cuore monarchico, portano in testa alla colonna un cartello con le parole: "Ortodossia. Autocrazia. Popolo russo", a cui guarda dalla tomba e si frega gioiosamente le mani il Pobedonoscev [30] che inventò sia questo slogan, sia questa politica che porta in un vicolo cieco.


Tutto si mischia in questa folla non grande, ma molto rumorosa, che marcia sotto la pioggia incipiente al grido: "Gloria alla Russia!" Alla marcia ci sono molti adolescenti e giovani, vanno i figli delle periferie, i fumatori dietro i garage, le compagnie sui tubi delle centrali termiche, che si uniscono strettamente in stormi e mucchi nei loro quartieri depressi senza lampioni. Portano davanti a loro uno striscione rosso corto e alto, su cui con enormi lettere è scritta una sola parola "Russi" e sopra questa striscia rossa, che brilla nettamente nella pioggerella grigia, gettano improvvisamente le braccia inclinate verso l'alto, facendo il saluto nazista. Uno, a sinistra, ha i capelli sporchi con la divisa e la bocca sdentata, in cui non c'è un dente e fa il saluto, fa il saluto in estasi, allarga un sorriso e di nuovo fa il saluto.

Nell'aria umida di novembre e nella nuvola di tag di questa marcia girano parole e concetti incompatibili. Uomini con camicie con le cuciture e stivali lustrati, che rappresentano qui l'Ochotnyj Rjad [31] che è passato e cerca di rinascere, che una volta andava a picchiare gli studenti, passano al suono di un'orchestra di nove musicisti con giubbottini bianchi con i cappucci (sette strumenti a fiato, due a percussione), che eseguono la marcia sovietica "My roždeny, čtob skazku sdelat' byl'ju" [32]. Al suono di "Katjuša" [33] ragazzi cattivi, che ostentano la loro forza oscura scandiscono ridendo: "Agli alberi al posto delle foglie appenderemo i comunisti!" Cristo qui è vicino a Tal'kov, gli antisemiti adorano l'ebreo Gesù, al grido "Svobodu!" rispondono "Slava rodu!" [34] e le richieste di uno stipendio europeo e di democrazia si accompagnano alla richiesta di un sistema di potere a proporzione etnica. Un ragazzo piccolo con le mani sporche porta sopra di se una targhetta, presentandosi come membro del gruppo "Wotan Jugend" e un altro, ancora più piccolo di questo, va con un pallone giallo sotto l'ascella e una sciarpa dello Spartak al collo. Sulla sciarpa ha attaccato un teschio nero. E un altro tifoso proprio in mezzo alla bandiera imperiale ha incollato lo stemma del CSKA. Oh, povera vittima del sistema dell'istruzione, persona cresciuta in un paese di cassonetti e immondezzai, chi potrebbe raccontarti di Bobrov [35], di Netto [36] e che gridi invano in modo lacerante "La Russia per i russi!", anche perché il generale Bagration [37] era georgiano, il maggiore Cezar' Kunikov [38] ebreo e che la bandiera imperiale russa che porti fu inventata da un barone tedesco [39]
E in tutta questa confusione, in tutta questa poltiglia di concezioni, nel ghigno e nel riso, nei richiami e nelle grida all'improvviso arriva galleggiando con lo stesso passo una colonna ben compatta di giovani fascisti, a capo dei quali va a schiena avanti un ragazzo alto e grida al megafono con affettazione, prolungando apposta la "a": "Na-cional'nyj sa-cializm! Na-cional'nyj sa-cializm!" [40]
Il rettangolo della colonna è impavesato di striscioni da tutti i lati: accanto a me si muove il quadro di un eroe nordico con un ascia in mano, nuotano due oscuri musi di skinheads a me ignoti con occhiali neri con la scritta "heroes forever", ma ciò non ha importanza. L'importante è l'autodenominazione a lettere enormi "Nazional-socialismo", il numero 88 e il beffardo "A ciascuno il suo" scritto sotto di esso, tolto dalle porte di Buchenwald e trascinato qua, in una via di Mosca, nella nostra vita tormentata e dissanguata da quella guerra, verso i nostri cimiteri, in cui ancora stanno piccole piramidi con piccoli caccia YAK-3 scrostati e ritratti ovali grigi di giovani aviatori.

L'OMON attacca i fascisti di fianco partendo dai suoi autobus. Là ce n'è un intero parco, in essi si può mettere un esercito. In un giorno di maggio ho visto come stavano in piazza Bolotnaja, intrecciando le mani, ragazzini e ragazzine di aspetto intellettuale, artistico e niente affatto brutale, ho visto come hanno resistito due ore sotto gli attacchi dell'OMON senza farsi scacciare e trascinare, semplici moscoviti con volti da operatori di ufficio e capelli lunghi da boheme, ma questi, con spaventose maschere nere con fessure strette, appena gridato solennemente scemenze fasciste, non resistono neanche qualche secondo. La loro colonna cessa di esistere, si sfascia, singoli tipi si spezzano con orrore a destra e a manca e intorno inizia il panico. E' un momento molto spiacevole quando centinaia di persone che andavano ordinate davanti a te si trasformano all'improvviso e con volti deformati si danno a correre a gambe levate proprio verso di te, minacciando di abbatterti e calpestarti. E non c'è dove nascondersi. Qualche minuto dopo si ristabilisce la tranquillità e la marcia scorre tranquilla accanto a tre agenti dell'OMON congelati nell'immobilità, uno dei quali mi colpisce per lo spazio di un metro e mezzo tra le spalle e per tre sodi accumuli di grasso sulla nuca rasata. Ha un berretto. Alle sue spalle cartelli e striscioni fascisti rosso-neri sgualciti, rotti, calpestati e strappati cadono nell'acqua e nel fango.

Com'è prescritto nelle corti, qui si sostiene la propria gente. Ho girato tutte le colonne della "Marcia Russa" e ho visto solo due ritratti di prigionieri di piazza Bolotnaja – di Il'ja Guščin e Jaroslav Belousov. Perché, com'è scritto sotto i ritratti, sono nazional-democratici. Ritratti di altri, che non sono nazional-democratici, alla "Marcia Russa" non c'erano.


E dietro a tutti, dietro a queste colonne urlanti, rumorose, imprecanti e già fradicie sotto la pioggia che aumentava sempre, affrettandosi appena dietro a loro, si trascinava su gambe mezze curve, mezze piegate un uomo grosso e grasso con un giubbotto caldo aperto sul corpo sudato, con un cappello assurdo con i paraorecchi penzolanti e grandi scarponcelli marroni. Un fenomeno più strano alla marcia dei nazionalisti sarebbe difficile immaginarselo. Al collo dell'uomo, che in generale aveva un aspetto assai logoro, brillavano orgogliosamente i colori bianco-verdi puliti della sciarpa di "Jabloko" [41]. Era l'unico membro del partito "Jabloko" alla marcia russa. Gli ho chiesto da dove venisse e mi ha detto che veniva dalle parti di Tula [42] e fiducioso come un abitante di una piccola cittadina con un altro come lui[43], ha raccontato della sua lotta nelle commissioni elettorali per le elezioni oneste. E di come lo hanno preso di peso e portato via e l'hanno tenuto in una stanza fredda e di come ha comunque lottato con loro. Ha detto precisamente, con le date, quando e a quali elezioni ha votato per Javlinskij, ma più delle parole era importante il sospiro con cui accompagnava queste parole. Non era una lamentela. Non si è lamentato. Ma è difficile, difficile, infinitamente difficile essere una persona onesta e democratica nella provincia profonda, in una piccola cittadina presso Tula!

Dietro a lui, chiudendo la "Marcia Russa", circondando la strada con il loro rado cordone, andavano delle ragazze della polizia in tuta mimetica grigio-azzurra con dei cani al guinzaglio. La pioggia aveva già allagato il lastrico, andavo sull'acqua senza scegliere un percorso perché comunque ero già del tutto fradicio da parte a parte. E anche il mio interlocutore. La folta pelliccia dei cani pastore si era infradiciata, si era appesantita, stava giù, le code si abbassavano a terra, i cani si curvavano per via e mi facevano pena. E dietro alle ragazze con i cani andavano lentamente in fila gli autobus bianco-azzurri della polizia.

Ho cercato comunque di capire perché questi sia andato alla "Marcia Russa". Nessuno del suo partito c'è andato, ma questi c'è andato. "Faccio un po' di propaganda", – mi ha detto in risposta questo strambo coraggioso e strano russo e sulla sua schiena pendeva, appeso a cordicelle un cartello artigianale "Libertà per i 26 prigionieri di piazza Bolotnaja!".

Autore: Aleksej Polikovskij

Indirizzo della pagina: http://www.novayagazeta.ru/politics/60783.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Manifestazione nazionalista che si tiene in occasione della festa nazionale del 4 novembre (commemorazione della cacciata da Mosca dei polacchi, che volevano insediare il loro candidato sul trono russo vacante, nel 1612).
[2] Igor' Vladimirovič Tal'kov, cantante russo ucciso dietro le quinte di un concerto in circostanze non ben chiarite.
[3] Otrjad Milicii Osobogo Naznačenija (Reparto di Polizia con Compiti Speciali), sorta di Celere russa nota per la sua brutalità.
[4] Fiume della Russia settentrionale
[5] "Di Belorečensk (città della Russia meridionale", via della periferia sud-orientale di Mosca.
[6] Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), il principale servizio segreto russo.
[7] Antica svastica slava.
[8] L'articolo 282 del Codice Penale, che punisce l'incitazione alla violenza su base discriminatoria.
[9] Quello in cui nei documenti ufficiali è indicata l'etnia.
[10] Anatolij Borisovič Čubajs, ministro dell'Economia al tempo di El'cin.
[11] Devastante pogrom del 1903 nell'attuale Chişinău, capitale della Moldavia.
[12] L'ex vice-premier Boris Efimovič Nemcov, co-presidente del Partito Repubblicano di Russia – Partito di Libertà Popolare.
[13] Lo scrittore e leader del Partito Nazional-Bolscevico Ėduard Limonov (pseudonimo di Ėduard Veniaminovič Savenko).
[14] Žores Ivanovič Alfërov, fisico e uomo politico comunista, presidente del centro scientifico per l'innovazione di Skolkovo (quartiere della periferia sud-occidentale di Mosca).
[15] Ksenija Anatol'evna Sobčak, figlia del sindaco perestroikista di Leningrado Anatolij Aleksandrovič Sobčak, giornalista televisiva e membro dell'opposizione.
[16] "Eco di Mosca", radio indipendente.
[17] "Del Pantano" (che c'era un tempo), piazza del centro di Mosca, teatro di manifestazioni dell'opposizione.
[18] "Di Bratislava" (dal nome della via in cui si trova).
[19] Cekisti erano detti gli agenti della Čė-Ka, cioè ČK (Črezvyčajnaja Komissija po bor'be s kontrrevoljucej i sabotažem – Commissione Straordinaria per la lotta alla controrivoluzione e al sabotaggio), la prima polizia politica sovietica e per estensione sono detti così gli agenti segreti.
[20] "Inno" che riprende la canzone Idëm, idëm, vesëlye podrugi! (Andiamo, andiamo, allegre amiche) del 1937.
[21] Quartiere della periferia sud-occidentale di Mosca recentemente teatro di un pogrom contro gli immigrati.
[22] "Eco della futura guerra", canzone del gruppo metal neonazista M8L8TH (qualcosa come "martello", in russo molot – 8 sta per "h", ottava lettera dell'alfabeto latino, come dire HH, come dire "Heil Hitler").
[23] Città della Russia centro-meridionale che porta il nome del rivoltoso del XVIII secolo Emel'jan Ivanovič Pugačëv, teatro di scontri tra nazionalisti e caucasici.
[24] Rostov sul Don, città della Russia meridionale teatro di violente manifestazioni nazionaliste dopo l'uccisione di uno studente russo.
[25] Centro abitato ai piedi degli Urali teatro di scontri sanguinosi tra nazionalisti e caucasici.
[26] Nome colloquiale della Piazza del Maneggio, non lontana dalla Piazza Rossa, teatro di scontri tra nazionalisti e caucasici dopo l'uccisione di un tifoso dello Spartak. Il corsivo è mio.
[27] Città della Carelia teatro di scontri tra nazionalisti e profughi ceceni.
[28] Saluto pasquale dei fedeli ortodossi.
[29] Generale cosacco.
[30] Konstantin Petrovič Pobedonoscev, consigliere reazionario degli zar degli ultimi anni del XIX secolo.
[31] Qualcosa come "Fila della Caccia", via di Mosca che fungeva da mercato.
[32] "Siamo nati per rendere la fiaba realtà".
[33] Canzone sovietica, sulla cui aria si canta il canto partigiano "Fischia il vento".
[34] Svobodu significa "libertà" e slava rodu "gloria alla stirpe".
[35] Vsevolod Michajlovič Bobrov, calciatore e hockeista di origine ebraica.
[36] Igor' Aleksandrovič Netto, grande calciatore russo di origine estone.
[37] Pëtr Ivanovič Bagration, generale morto nella battaglia di Borodino.
[38] Cezar' L'vovič Kunikov, eroe della II guerra mondiale.
[39] L'araldista Bernhard Karl von Koehne, russificato come Berngard (Boris) Vasil'evič Këne.
[40] "Socialismo nazionale". Socialismo si scrive socialìzm, ma in russo le "o" non accentate si pronunciano come "a".
[41] "Mela", partito di orientamento liberale, il cui nome prende spunto dalle iniziali Ja-B-L dei cognomi dei fondatori Grigorij Alekseevič Javlinskij, Jurij Jur'evič Boldyrev e Vladimir Petrovič Lukin.
[42] Città della Russia centro-settentrionale.
[43] L'autore dell'articolo, il giornalista e scrittore Aleksej Michajlovič Polikovskij mi risulta però essere moscovita...

http://matteobloggato.blogspot.it/2013/11/la-marcia-russa-vista-dallinterno.html

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