19 ottobre 2007

A proposito della giustizia in Russia (V)

Il caso Igor' Domnikov

Agli assassini è stata letta la sentenza, i mandanti sono ancora in libertà

Martedì il giudice federale della corte suprema del Tatarstan[1] Il’dus Minšakirovič Gataulin ha emesso una condanna per le vicende della banda Tagir’janov. Gli imputati erano accusati di 23 omicidi e 8 rapimenti. Quattro di loro – il capobanda Tagir’janov, i membri della banda Babkov, Danilevič e Dacko – sono stati condannati all’ergastolo. L’uccisore di tre persone Chuzin è stato condannato a 25 anni di reclusione in una colonia penale a regime duro, Kazakov a 19 anni, Bezuglov, l’uomo più vicino a Tagir’janov, che aveva pianificato la maggior parte dei delitti e vi aveva partecipato personalmente, a 18 anni di colonia penale a regime duro, nonostante il fatto che indubbiamente meritasse il quinto ergastolo di questa banda. Ma l’attiva collaborazione alle indagini è stata ritenuta dal giudice una circostanza attenuante.

A dir le cose come stanno, proprio grazie alle ammissioni di Bezuglov si è venuti a sapere che alla banda Tagir’janov “va ascritto” l’omicidio di un nostro collaboratore, il redattore di una sezione della “Novaja gazeta” Igor’ Domnikov. Purtroppo bisogna ammettere che senza queste dichiarazioni non si sarebbe mai riusciti a risolvere il caso del bestiale assalto conclusosi con la morte di Igor’. Con l’aiuto di Bezuglov “stapparono la bocca” anche al capo della banda Tagir’janov: durante le indagini disse chi aveva ordinato l’omicidio di Domnikov. Le tracce condussero al governatore della regione di Lipeck[2] Korolëv e al suo vice Dorovskij, sulle attività dei quali Igor’ Domnikov aveva scritto un ciclo di articoli. Le indagini portarono alla luce anche l’intermediario, che fu arrestato, – un qualche uomo d’affari di nome Pavel Sopot, che aveva collaborato attivamente sia con la leadership della regione di Lipeck sia con la banda Tagir’janov (Tagir’janov è amico e partner d’affari di Sopot).

Ma dopo che Sopot cominciò a fare dichiarazioni, il vice governatore Dorovskij e il governatore Korolëv si trovarono in una situazione molto delicata. Quando poi furono congelati i conti in due banche moscovite (a quanto risulta dalle indagini, proprio in questi venivano versati i soldi ai banditi per i servizi di “distribuzione” e di altro genere da loro svolti), gli inquirenti presero a sentire una pressione non da ridere da parte degli odiosi funzionari della Procura Generale. Restano ancora da valutare le azioni dello scandalosamente noto ex vice procuratore Birjukov, che più di una volta ha bloccato i procedimenti penali più importanti (per esempio, il caso delle “Tre balene”[3] ecc.).

Insomma, per via di terribili pressioni e perfino di minacce agli inquirenti di essere sollevati dall’incarico Pavel Sopot dovette essere lasciato stare. In seguito intervenne nel caso della banda Tagir’janov come testimone. Ciononostante perfino al processo questo “testimone” senza troppa modestia ammise il proprio ruolo nella morte di Igor’ Domnikov.

Fatto sta che gli articoli del giornalista irritavano molto il governatore Korolëv e il suo vice Dorovskij. Fargli causa era insensato – negli articoli non c’era un solo errore o un fatto falso, non c’era niente a cui attaccarsi. E poi questi erano scritti in uno stile così splendido e ironico che qualsiasi giudice avrebbe semplicemente riso di cuore. Risolsero il problema in un altro modo. Sfruttarono i legami di amicizia di Sopot e chiamarono a “sistemare le cose” con il giornalista degli assassini professionisti, perché portassero Domnikov a Lipeck sul tappeto del governatore. Non riuscirono a rapire il giornalista e allora entrò in azione il martello. Dopo un pedinamento durato diversi giorni (il delitto fu preparato accuratamente) la sera del 12 maggio 2000 assalirono il giornalista all’ingresso della sua casa. Al’bert Chuzin colpì Igor’ alla testa con un martello per tre volte. Dopo 63 giorni Domnikov morì all’ospedale Burdenko[4] senza essere uscito dal coma.

Nella sentenza del giudice Gataulin tutte le fasi di questo omicidio (dall’ordine all’esecuzione) sono riportate con precisione. Purtroppo sul banco degli imputati accanto a Tagir’janov non c’erano né Кorolëv, né Dorovskij, né Sopot. Il giudice non poteva uscire dai margini dellaccusa presentata. Ma nella prospettiva di far rispondere penalmente i mediatori e i mandanti il giudice Gataulin ha fatto il massimo. Ha condotta un’ineccepibile inchiesta giudiziaria e ha emesso un’ineccepibile condanna. Non dubitiamo che presso la Corte Suprema russa non ci sarà indulgenza per alcuno degli uomini di Tagir’janov.

In generale è stata una bella fortuna che questo processo sia capitato proprio a Il’dus Gataulin, uno dei migliori giudici russi. In Tatarstan lo considerano il giudice più duro, poiché sul suo conto ci sono soprattutto condanne “a vita”. Fra l’altro nessuna sua condanna è stata modificata dalle supreme istanze, il che testimonia in questo caso non della durezza, ma esclusivamente della professionalità del giudice. Perfino nel caso di Tagir’janov non solo ha emesso quattro condanne all’ergastolo, ma ha anche rimesso in libertà con la condizionale i quattro membri più giovani della banda, che non avevano preso parte agli omicidi. Questo diritto di punire e amnistiare, facendosi guidare solo dalla legge e dalla propria coscienza è un privilegio che alcuni membri della magistratura russa hanno conservato.

Gli inquirenti, che hanno impiegato anni per questo processo e l’hanno portato avanti con la migliore professionalità, erano soddisfatti di questa sentenza. E hanno fatto capire: il lavoro ulteriore sulla vicenda dell’omicidio di Igor’ Domnikov prosegue.

Proseguiremo anche noi.

Elena Milašina
Nostro corrispondente speciale

29.08.2007, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/66/05.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)



[1] Repubblica autonoma della Federazione Russa popolata per la maggior parte da tatari.

[2] Città della Russia centro-meridionale.

[3] Secondo un’antica leggenda russa il mondo si regge sulla schiena di tre balene. “Tri kita” (Tre balene) è il nome di un complesso commerciale che si occupa di mobili ed è implicato in uno scandalo di corruzione che vede coinvolti anche membri dei servizi segreti.

14 ottobre 2007

A proposito di diritti umani violati (V)

5.10.2007, Strasburgo.

Comunicato dell’ufficio stampa dell’Associazione internazionale “Pace e diritti umani”

I dettagli dell’intervento di Said-Èmin Ibragimov del 2.10 durante la seduta dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa sono stati forniti da testimoni oculari e da lui in persona dopo che Said-Èmin il 4.10 ha riacquistato la parola.

Come è stato comunicato in precedenze, Said-Èmin Ibragimov è stato invitato il 2 ottobre alle 13 e 15 minuti nella sala n. 6 della sede del Consiglio d’Europa. L’invito scritto e le informazioni necessarie per l’intervento di Said-Èmin non sono state inviate, forse casualmente. Noi lo sappiamo, perché, date le sue condizioni di salute, tutta la posta di Said-Èmin passa attraverso la nostra sezione. Vista la nostra inquietudine al riguardo, Said-Èmin ha detto, che non bisogna inquietarsi per questo e che questi dettagli possono mutare poco nella sua esposizione. Nei giorni precedenti il 2 ottobre Said-Èmin è stato a letto in silenzio, riprendendo forza, ha cercato di bere più acqua, non ha quasi mai risposto al telefono e ha conservato le forze. Il 2 ottobre hanno cominciato a giungere persone da vari paesi. Superando grandi distanze, sono giunte persone, a cui non sono indifferenti il destino e il futuro del popolo ceceno e fra queste ci sono persone di varie nazionalità. Ma tra loro non c’erano i molti ceceni, che vivono in qualità di rifugiati POLITICI nella stessa Strasburgo e nelle regioni vicine. Quando le persone che sono giunte hanno fatto notare ciò, Said-Èmin ha risposto molto semplicemente: quando si tratta di amore e dedizione alla propria Patria e al proprio popolo, non ha senso parlare di distanze.

A Strasburgo è arrivata per prima la delegazione austriaca, poi hanno cominciato ad arrivare anche gli altri. Purtroppo, non è riuscito comunque a vedere alcuni di loro e ha chiesto di esprimergli la sua gratitudine. Dalle 10 del mattino in poi presso la sede del Consiglio d’Europa sono state appese bandiere cecene, manifesti e documenti fotografici. I poliziotti, che, soprattutto durante le sedute dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, sono sempre vigilanti e richiedono sempre l’autorizzazione per lo svolgimento di manifestazioni, erano assolutamente tranquilli, e quando gli è stato detto che Said-Èmin avrebbe dovuto arrivare presto con i documenti, si sono fatti da parte e non hanno creato problemi, sapendo che Said-Èmin ha sempre tutti i documenti in regola. Said-Èmin si è avvicinato con gli amici che lo sostenevano dopo le 12 e 30 minuti.

Nonostante il fatto che sia molto dimagrito e che era evidente che si costringesse a restare in piedi con la forza di volontà, ha abbracciato tutti quelli che si avvicinavano a lui e li ha ringraziati perché, malgrado le difficoltà, erano venuti, dopo aver fatto una strada così lunga. Non so se lo stesso Said-Èmin in quel momento pensasse quanto lunga e difficile era stata la strada, che con il suo abituale passo lieve e rapido aveva potuto percorrere 5 minuti prima, quella che gli tocca percorrere nelle sue attuali condizioni fino alla sala n. 6, dove dopo tutto questo deve anche intervenire? Una strada che per poco non lo ha condotto alla morte.

Tutti stavano in piedi e osservavano la piccola delegazione che andava lentamente verso l’entrata della sede del Consiglio d’Europa, da cui tutti costoro aspettavano gesti concreti per una soluzione radicale del problema ceceno per mezzo delle norme del diritto internazionale riconosciute da tutti.

Uno di quelli che osservavano queste persone che andavano a passo lento e che ha visto molte cose nei suoi 40 anni, ha esclamato a bassa voce: “chwjt davisag jaw, hwo ky’gaš twehw c(u vachw jiš elarkcha ciga”[1]. E sul suo volto virile, qua e là coperto di cicatrici, è corsa una grossa lacrima, cosa che i ceceni si concedono molto di rado. Stavolta la procedura di emissione dei permessi per entrare nella sala è durata insolitamente a lungo, forse anche questo casualmente. Ma è arrivato il sig. Günter Schimmler[2] e ha accelerato questa operazione. Siamo saliti al 2° piano e Schimmler ha chiesto se fosse necessaria una sedia a rotelle per Said-Èmin e nel frattempo Schimmler si è affrettato in sala e vedendo questo Said-Èmin ha risposto di no. Nessuno supponeva che per Said-Èmin, nelle sue condizioni, ci volessero circa 20 minuti di cammino. Quando Said-Èmin con enorme sforzo ha percorso questa distanza, la relazione di Dick Marty[3], in cui questi parlava dello sciopero della fame di Said-Èmin, era già terminata. Gli intervenuti hanno parlato molto delle gravi violazioni dei diritti umani in Cecenia. Le loro relazioni venivano tradotte simultaneamente in diverse lingue. In modo particolarmente preciso e univoco i rappresentanti di Human Right Watch e Amnesty International hanno definito le azioni compiute dai militari russi in Cecenia dei crimini, a cui dovrebbero seguire adeguate punizioni. Nei loro interventi si sentiva il sincero desiderio di aiutare le persone che soffrono senza colpa.

Infine, già quasi alla fine della seduta, è stata data la parola a Said-Èmin, debilitato da uno sciopero della fame di 32 giorni, costretto a sopportare la difficile traversata dei corridoi del Consiglio d’Europa e già stanco di aspettare, ma che non manifestava esteriormente in alcun modo le proprie condizioni. Forse anche questa è stata una coincidenza casuale. Said-Èmin ha iniziato il proprio intervento in modo molto meditato e quieto, anche se era molto pallido. Ha ringraziato le grandi organizzazioni internazionali per il loro grande contributo alla causa della salvezza delle persone e della difesa dei loro diritti e delle loro libertà. Inoltre ha aggiunto che, nonostante l’utilità di questo lavoro, questo non porta purtroppo allo sradicamento del problema del mondo contemporaneo. C’è la radice del male, che sempre più estende i propri tentacoli e produce i velenosi frutti del male. E finché non lotteremo con questa radice del male, del dolore e delle sofferenze sulla nostra terra non ce ne saranno meno. Come esempio di passaggio a questa lotta, Said-Èmin ha proposto al Consiglio d’Europa il passaggio effettivo dalla pratica di emettere Risoluzioni e Raccomandazioni, che sono state ignorate dalla Russia, vista la loro inefficacia, all’esame della questione cecena dal punto di vista delle norme del diritto. Progetti di documenti per tale passaggio a una reale soluzione della questione cecena sono stati presentati da Said-Èmin Ibragimov all’ONU, all’UE e al Consiglio d’Europa nell’estate di quest’anno. Il principio fondamentale di questi documenti consiste nel fatto che queste organizzazioni, almeno inizialmente, senza sottostare all’influenza dei duplici standard, ma prendendo spunto dalle norme del diritto internazionale riconosciute da tutti e rimandando ad esse, dovrebbero definire tutto direttamente e apertamente in termini giuridici adeguati. Se è stata compiuta un’aggressione, indichino univocamente nelle loro Risoluzioni, rinviando alla legge, che è stata compiuta un’aggressione e non la manipolino con le parole della parte forte che ha commesso il crimine ed è interessata a nasconderlo con l’uso di preposizioni e di termini e spostando diverse targhette dalla testa malata a quella sana.

Scrivo queste spiegazioni prendendo spunto dai documenti elaborati da Said-Èmin sulla base del suo grande lavoro come giurista e studioso. Ma quel giorno non hanno permesso a Said-Èmin di esprimersi, fosse pure con un decimo della sua relazione, e questo si è unito a molte altre coincidenze non del tutto chiare. Tutto questo era impossibile da sopportare non solo per un uomo che fa lo sciopero della fame da 32 giorni, ma anche per un uomo in salute. Said-Èmin ha perso conoscenza e dopo essere stato soccorso dai medici del Consiglio d’Europa è stato portato rapidamente in ospedale. Dopo essere stato fatto rinvenire dai medici, per altri due giorni è stato steso immobile e non ha potuto parlare. Ha ripreso a parlare il terzo giorno e subito ha richiesto di essere dimesso dall’ospedale. I medici si sono categoricamente rifiutati di dimetterlo quel giorno e lo hanno dimesso il quinto giorno, dopo pranzo. Al momento presente Said-Èmin Ibragimov continua a fare lo sciopero della fame e la sua situazione peggiora continuamente.

Tutti questi dettagli sono stati scritti su richiesta di molte persone, che scrivono da molti paesi del mondo e soprattutto dalla Russia.

Il collaboratore dell’ufficio stampa dell’Associazione internazionale “Pace e diritti umani”,
Al’bert Vachaev

5.10.2007

Mentre, mi preparavo ad inserire questo articolo nei siti, ho ricevuto la notizia, che il Segretario Generale del Consiglio d’Europa Terry Davis ha inviato per posta una lettera indirizzata a Said-Èmin Ibragimov. Ma finora questa lettera, per quanto sappia, non è giunta a Said-Èmin.
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[1] Frase cecena che non sono in grado di tradurre e che trascrivo forse in modo erroneo.
[2] Segretario del Comitato dell'Assemblea per gli Affari Legali e i Diritti Umani.
[3] Deputato liberal-radicale svizzero.

(Traduzione di Matteo Mazzoni. Note di Matteo Mazzoni e Marco Masi)

http://ceceniasos.ilcannocchiale.it/post/1641254.html


http://matteobloggato.blogspot.com/2007/10/strasburgo-hanno-
la-coscienza-pulita.html

A proposito di diritti umani violati (IV)

DICHIARAZIONE DI SAID-ÈMIN IBRAGIMOV DEL 1 OTTOBRE 2007
(Trasmessa per telefono.)

Domani, 2.10 alle ore 13 e 15 minuti nella sede del Consiglio d’Europa, probabilmente avrà luogo il mio intervento. Ho grande speranza che il Consiglio d’Europa darà, finalmente, una risposta scritta alla mia legale richiesta e mi libererà dalle sofferenze fisiche e morali che provo da non poco tempo. Due funzionari del Consiglio d’Europa (non voglio fare i loro nomi per ragioni etiche)[*], durante gli incontri con i miei rappresentanti hanno dichiarato: "se Ibragimov vuole morire, che muoia". Ancora una volta voglio rimarcare che non ho dichiarato lo sciopero della fame perché voglio morire, ma perché tutte le vie legali per ottenere giustizia sono completamente bloccate e non è rimasto altro da fare. Se le mie richieste non avessero avuto una motivazione giuridica, allora neanche il metodo di protesta tramite lo sciopero della fame avrebbe potuto essere valido. Nell’articolo 3 dello Statuto del Consiglio d’Europa si dice che ogni membro del Consiglio d’Europa deve riconoscere la signoria del Diritto e il principio, secondo cui tutti coloro che si trovano sotto la sua giurisdizione devono godere dei diritti umani e delle libertà fondamentali e collaborare sinceramente e attivamente al raggiungimento degli scopi del Consiglio, stabiliti nell’articolo 1.[**] Penso che non ci sia necessità di ripetere e dimostrare che la signoria del Diritto e la difesa dei diritti umani in Cecenia non ci sono più già da molto tempo. Nell’articolo 8 dello Statuto del Consiglio d’Europa si dice che il diritto alla rappresentanza di ogni membro del Consiglio d’Europa che violi gravemente le disposizioni dell’art. 3. [***] può essere sospeso e che il Comitato dei ministri può proporgli di uscire dal Consiglio d’Europa e poi anche informarlo della sua uscita dal Consiglio d’Europa. Ma tutto questo per qualche motivo non riguarda la Russia. Al momento dell’ingresso della Russia nel Consiglio d’Europa il 25.01.1996 nella Disposizione n. 193 fu posta la condizione concreta che la Russia regolasse la questione cecena e ratificasse i protocolli della Convenzione Europea n. 1, 2, 4, 7, e 11. Quanto al protocollo n. 6 fu stabilito il termine di 1 anno per la firma e di tre anni per la ratifica. Ma finora sono passati 11 anni e queste condizioni non sono state rispettate. Anche se si considera solo questo, si può dire che la Russia adempie il principio della signoria del Diritto?

In questo caso chiedo all’ONU, all’UE, al Consiglio d’Europa: o dimostrano con motivazioni giuridicamente fondate che le mie richieste non possono essere esaudite perché non rientrano nei loro doveri internazionali o confermano giuridicamente la loro legalità e si impegnano per iscritto a passare all’esame giuridico della questione cecena, con tutte le conseguenze giuridiche da ciò derivanti. La risposta, quale che fosse, mi darebbe la possibilità di lavorare ulteriormente e ottenere la verità. Il loro silenzio è il vero segnale del fatto che tutto procede secondo un nuovo corso e sopportare ciò, capendo bene le potenziali conseguenze di tale cinismo, è semplicemente impossibile. Mi hanno già spiegato che non mi sopporteranno a lungo. Ma probabilmente non gli toccherà neanche farlo. Se il 2.10 non riceverò una risposta, non intendo aspettarla oltre, e in silenzio, chiuso in casa, senza incontrare più nessuno né parlarci, continuerò il mio sciopero della fame, e che le mie sofferenza, così come le sofferenza di tutto il popolo ceceno pesino sulla coscienza degli indifferenti. Con tutta l’anima sono grato a tutti quelli che hanno appoggiato le mie richieste e hanno cercato di salvarmi. Perdonatemi per non aver esaudito le vostre richieste di interrompere lo sciopero della fame. Vorrei tanto esaudirle, e capisco che queste richieste venivano da cuori puri. E con tutto il mio rispetto per i miei benefattori, non posso fermarmi e ammettere che l’indifferenza dei funzionari ha vinto e che la signoria del Diritto sarà di nuovo conculcata in nome degli interessi dei potenti di questo mondo.C’è ancora un giorno per la mia speranza.

Said-Èmin Ibragimov
1.10.2007
Strasburgo.

Il servizio stampa dell’associazione internazionale “Pace e diritti umani” comunica, che le condizioni di Said-Èmin sono molto critiche, nonostante il fatto che cerchi di restare tranquillo e di nascondere il proprio stato interiore. Oggi è il 31°, e in generale il 31° giorno di sciopero della fame di Said-Èmin e a quanto risulta è stato qualche volta sul punto di morire. Rivolgiamo ancora una volta una preghiera a tutti, in particolare a chi vive a Strasburgo: NON RESTATE INDIFFERENTI, VENITE DOMANI 2 OTTOBRE ALLA MANIFESTAZIONE. -------------------------------------------------------------------------

[*] In questo caso noi delle ragioni etiche ce ne infischiamo e qualche ipotesi su uno dei nomi la facciamo volentieri: Ivan Koedjikov? Per maggiori info: link.
[**] Se si leggono le finalità del CE (Corte per i Diritti Umani a parte) viene da ridere...
[***] Vale la pena di dare una occhiata allo statuto del CE: link. E pensare che si spendono 200.000.000 die euro/anno per un baraccone del genere....

(traduzione di Matteo Mazzoni - note di Marco Masi), http://ceceniasos.ilcannocchiale.it/post/1633032.html


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A proposito di Putin (VI)

I “Nostri”[1] con i vostri soldi

Finanziando i progetti politici del Cremlino, il mondo degli affari dimostra la propria lealtà

Il leader del movimento filopresidenziale “I nostri” Vasilij Jakemenko durante una conferenza stampa ha fatto i nomi degli sponsor. In particolare i soldi vengono versati al suo movimento dal Fondo per la preparazione della riserva dei quadri “Club di Stato” e da compagnie amiche.

Il Fondo è stato creato nel 2006 dai deputati di “Russia Unita”[2] Sergej Šiškarëv e Andrej Kokošin e dal senatore Michail Margelov per collaborare alla realizzazione del progetto nazionale e delle iniziative presidenziali nell’ambito dell’istruzione. Il Fondo finanzia “la preparazione di quadri, patrioti del proprio paese”, capaci di rafforzare lo stato russo nella “politica, nella scienza e nel mondo degli affari”. A quanto è stato dichiarato la missione del fondo, in particolare, è la “propaganda dell’ideologia di Stato in ambito giovanile”. I fondatori del “Club di Stato” fanno parte del suo consiglio direttivo.
Il direttore del “Club di Stato” Aleksandr Èllarjan ha confermato alla “Novaja gazeta” che il fondo aiuta il movimento “I Nostri”, ma ha rifiutato di fare i nomi delle compagnie e degli imprenditori che versano soldi al fondo.

Alla domanda se l’appoggio a un fondo leale al potere, che propaganda l’ideologia di Stato, permetta di ridurre i rischi nel mondo degli affari, Èllarjan ha risposto che la sua attività di direttore del “Club di Stato” non ha niente a che fare con il mondo degli affari.

Aleksandr Èllarjan è direttore generale della compagnia “Delo-Centr”[3], che si occupa di trasporto, spedizione e sdoganamento di carichi da importare ed esportare. Fa parte anche del consiglio di amministrazione della Novorossijskoe uzlovoe transportno-èkspedicionnoe predprijatie[4] (NUTÈP), che opera nel porto di Novorossijsk[5]. Secondo la lista degli affiliati (pubblicata il 30 marzo 2007), Èllarjan possedeva lo 0,17% delle azioni della NUTÈP.

Il presidente del consiglio direttivo del “Club di Stato” e vice presidente della Commissione della Duma di Stato[6] per l’energia, i trasporti e le comunicazioni Sergej Šiškarëv nel 1993 ha fondato la compagnia di spedizioni “Delo” e fa parte del consiglio di amministrazione del porto di Novorossijsk. Nel 2000 Šiškarëv è diventato uno degli uomini più fidati di Vladimir Putin fra quelli che si occupavano della campagna elettorale. Prima di diventare deputato, si era anche messo in luce come fondatore della compagnia di trasporti e spedizioni “Megatrans” e partner di Aleksandr Èllarjan, con cui ha fondato la compagnia commerciale “Šèllko”. Èllarjan ha confermato che era alle origini dell’azienda, ma che al momento non è più legato ad essa.

Sergej Šiškarëv non ha risposto alle nostre domande.

Il leader dei “Nostri” Vasilij Jakemenko si è rifiutato di commentare la situazione.

– Quando il mondo degli affari finanzia progetti politicamente leali verso il potere, in primo luogo costruisce la propria immagine, mostra lealtà verso il Cremino, – ritiene il primo vice direttore generale del Centro di tecnologie politiche Boris Makarenko. – I contributi all’immagine, di regola, non vengono conteggiati nella categoria “dare-avere”.

Di questo si occupano prevalentemente le grandi strutture già consolidate.

Secondo l’esperto, così come nell’alta società si usa fare beneficenza, da noi, quando una struttura d’affari raggiunge un determinato livello, le conviene dare un po’ di soldi a progetti politicamente leali verso il potere. Questa, certamente, è una tendenza, ma è difficile valutarne le dimensioni, in quanto questo ambito resta estremamente poco limpido.

Roman Šlejnov
redattore della sezione indagini

12.08.2007, “Novaja Gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/61/14.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)


http://matteobloggato.blogspot.com/2007/09/i-soldi-della-putinjugend.html

01 ottobre 2007

A proposito di ritorni al passato (II)

“Abbiamo prestato il giuramento del medico sovietico[1], non quello di Ippocrate”

Larisa Arap a proposito di quello che le è successo nell’ospedale psichiatrico

Il 20 agosto Larisa Arap, attivista della sezione di Murmansk[2] dell’OGF[3] ricoverata forzatamente il 5 luglio di quest’anno, è stata liberata dall’ospedale psichiatrico di Apatity[4]. Motivazioni formali per il ricovero forzato non sono state fornite né dagli psichiatri, né dal tribunale, che ha semplicemente buttato giù una sentenza che fa riferimento ad una qualche sua pericolosità per gli altri o per se stessa. In che cosa consistesse questa pericolosità non è neanche stato detto. Ma più di una volta nei 47 giorni di permanenza nell’ospedale psichiatrico hanno rammentato a Larisa un suo articolo di giornale “con calunnie sugli psichiatri”. L’hanno portata via brutalmente, senza chiedere il consenso né a lei stessa, né ai suo parenti più prossimi. E così l’hanno dimessa, senza rilasciare un referto, né una diagnosi, né indicazioni per ulteriori cure. Perché mai fare tante formalità?

- Come Lhanno dimessa?

- Alla vigilia il primario mi ha chiamata e mi ha fatto capire che i miei tentativi di uscire in qualche modo erano inutili. Sarebbe stato peggio per me e per i miei familiari. Non parlò di dimettermi. Lunedì mi hanno chiamata dal medico che mi aveva in cura e mi hanno detto che mi avrebbero dimessa. Posero la condizione che non dicessi niente di male su di loro. Ho promesso che non lavrei fatto. Mi fecero scrivere una dichiarazione, secondo cui chiedevo di essere dimessa dall’ospedale ed ora pronta a curarmi a casa e a recarmi all’ambulatorio. Mi è toccato farlo, altrimenti non mi avrebbero dimessa. Per fortuna, che ad Apatity quel giorno c’era mio marito, ho potuto telefonargli e mi è venuto a prendere.

- Le hanno fatto iniezioni, Le hanno dato delle pastiglie? Com’è stato?

- Orribile. Mi si intorpidiva la lingua, mi veniva il singhiozzo, mi bloccavo tutta. Dopo mi prendevano i crampi e la febbre.

- Ci si poteva rifiutare di assumere medicine?

- No, controllavano che ingoiassi, che le pastiglie non ti restassero in bocca. Se ti rifiutavi – cinghie (ti legavano al letto) e iniezioni.

- Come si comportava nei suoi confronti il personale medico?

- Vario. A Murmansk già il primo giorno mi misero alle cinghie. Nella sezione per l’accoglienza mi hanno picchiata. Mi costringevano a spogliarmi completamente in presenza di uomini. Mio marito ha fotografato le mie lacerazioni e i miei lividi. Ad Apatity all’inizio mi hanno messa a dormire su un materasso sporco e bagnato, ma poi me ne hanno dato uno normale. Con gli altri malati si comportavano in modo orribile. Mi meraviglio che non sia impazzita in quell’inferno. Ecco che oggi ho scoperto che sono incanutita.

- La portavano a passeggiare fuori dalle stanze?

- Sì, ho scritto una petizione, altre dieci persone l’hanno firmata e ci hanno portati fuori due volte per mezz’ora.

- Due volte al giorno?

- No, due volte in tutto quel tempo. In generale non portano a passeggiare. Le visite sono limitate, permettono di incontrare solo i familiari. Se cominci a “pretendere diritti” – cinghie e iniezioni.

- Com’era la situazione nelle stanze?

- Nella mia stanza c’erano otto persone. Gente tranquilla. In altre stanze era peggio, c’erano persone inquiete, aggressive. Il televisore viene acceso un’ora al giorno. Non c’era radio né giornali. Qualcuno sta così da 10 anni. Quando sono stata dimessa, alcuni piangevano, mi chiedevano di aiutarli ad uscire.

- Come La nutrivano?

- Il cibo è rivoltante, è impossibile mangiarlo. Le porzioni sono piccole, il pane è razionato – due pezzetti a colazione, a pranzo e a cena. Se non venisse mandato qualcosa, toccherebbe fare la fame. Alcuni non hanno nessun parente e neanche viene loro mandato nulla. Io condividevo le cose che mi venivano mandate – tutti ti guardano con occhi affamati, è impossibile non condividere.

- Come punivano e per cosa?

- Capita, che puniscano fisicamente – possono spingerti, colpirti, legarti al letto. C’è una cella di rigore, là l’isolamento è completo. Là mettono, a quanto ho capito, i più disobbedienti. Quando c’ero una donna si è ritrovata là.

- Dopo quello che è successo, non ha paura di rilasciare interviste? Intende continuare l’attività in campo sociale?

- Non ho paura di rilasciare interviste. Intendo continuare l’attività in campo sociale, non l’abbandonerò.

- Cosa vorrebbe dire ai lettori della “Novaja Gazeta”?

- Voglio augurargli ogni successo e ringraziarli tutti per il loro appoggio. Ringrazio Elena Vasil’eva e altre persone che mi hanno difesa. Ringrazio l’Associazione Psichiatrica Indipendente per la visita – mi hanno sostenuta, forse questo ha influito perché mi dimettessero. Io non sapevo proprio che mi stavano difendendo.

Il mio caso non è l’unico. Da noi la psichiatria è punitiva e questo sistema rinascerà, ha già cominciato. I medici stessi non lo nascondono. Solo la trasparenza può contrastare ciò, bisogna che tutti sappiano.

Commento

Elena Vasil’eva, leader dell’OGF di Murmansk:

“Mi pare che la cosa più importante di tutta questa storia sia la totale, totale impunità dei medici, questi si sentono degli zar, degli eroi. Hanno ricattato Larisa fino all’ultimo momento, fino all’ultimo momento ci hanno detto delle cose schifose. Non hanno idea del fatto che esiste la legislazione federale, che esistono i diritti umani. Non hanno semplicemente tali concezioni. Ritengono che il comandamento medico “non nuocere” non li riguardi. Ho parlato con il vice primario, ha detto: “Io non ho prestato il giuramento di Ippocrate, nessuno di noi l’ha fatto. Noi abbiamo prestato il giuramento del medico sovietico. Perciò la mia anima è tranquilla”.

Sono assolutamente tranquilli.

Aleksandr Podrabinek[5]
osservatore della “Novaja Gazeta”

“Novaja Gazeta”, 23/8/2007, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/64/03.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)



[1] Il giuramento prestato dai medici sovietici poneva l’accento sui loro doveri nei confronti dello stato sovietico.

[2] Città dell’estremo nord della Carelia, sul Mar Glaciale Artico.

[3] Ob’’edinënnyj Graždanskij Front (Fronte Civico Unito), organizzazione fondata dall’ex campione di scacchi Garri Kimovič Kasparov che riunisce le forze di opposizione a Putin e al suo establishment.

[4] Città della Carelia che prende il nome dai giacimenti di apatite della zona.

[5] Aleksandr Pinchosovič Podrabinek, ex dissidente sovietico.


http://matteobloggato.blogspot.com/2007/10/ma-allora-non-
cambiato-nulla-da-quelle.html