La rivoluzione tradita
Alla generazione che leggeva avidamente gli stenogrammi
Dei Congressi dei Deputati del Popolo [1], si dedica…
Se un popolo che 20 anni fa sognava la libertà oggi
 sceglie la schiavitù, se è nauseato dalle parole "uguaglianza"
 e "fraternità", se si annoia quando parlano di democrazia
 e si addormenta quando si tratta della Costituzione, ciò non
 significa ancora che vi è andata male con il popolo. Significa solo
 che qualcuno ha ingannato bene questo popolo e ora questo non crede
 a nessuno.
Il peccato originale della rivoluzione russa
Il 4 febbraio 1990 a Mosca si svolse l'azione di
 protesta più massiccia nella storia dell'URSS, a cui presero parte,
 secondo varie stime, da 300 mila a 1 milione di persone, che
 richiedevano l'abolizione del 6° articolo della Costituzione, che
 fissava la posizione dominante del partito comunista nel sistema
 politico del paese. I sondaggi dell'opinione pubblica mostravano che
 più di metà della popolazione della Russia e più del 70 per cento
 degli abitanti di Mosca e Leningrado sostenevano le richieste dei
 manifestanti. Tre giorni dopo, il 7 febbraio 1990, al Plenum del CC
 del PCUS fu presa la decisione di rinunciare al ruolo guida del
 PCUS, di stabilire un sistema multipartitico e introdurre il posto
 di presidente dell'URSS. Questo fu il prologo della futura
 rivoluzione.
Il 24 dicembre 2011 alla più massiccia
 manifestazione di protesta contro le "elezioni disoneste"
 sono andate, secondo varie stime, da 30 a 130 mila persone. Leader
 della protesta sono risultati in senso proprio e figurato i figli di
 chi portò la gente in piazza 20 anni fa. Tuttavia questo movimento
 non ha ottenuto alcuno sviluppo, né un vero sostegno di massa. Dopo
 letteralmente qualche mese l'attività politica della popolazione è
 calata e l'iniziativa è passata al potere. Un anno dopo,
 nell'autunno 2012, il governo ha compiuto l'ennesimo ciclo di
 controriforme costituzionali, mettendosi convinto "sotto i
 piedi" non solo lo "spirito della Costituzione", ma
 anche la lettera. Così è stato finito di scrivere l'epilogo della
 controrivoluzione, che si preparava da almeno 10 anni.
Perché ai figli non è riuscito fare ciò che
 seppero fare i loro padri? Oso supporre che sia successo perché i
 padri hanno tradito quella stessa rivoluzione che hanno compiuto.
 Hanno scambiato la libertà con la privatizzazione e in tal modo
 hanno scelto per la nuova Russia il destino che si merita.
La privatizzazione è il peccato originale della
 rivoluzione anticomunista (liberale) in Russia. Senza pentirsene la
 Russia non potrà mai tornare indietro nell'alveo del movimento
 costituzionale e democratico. Proprio la barbarica privatizzazione,
 in pari grado socialmente immorale ed economicamente insensata, ha
 minato per molti decenni la fede del popolo russo nei valori
 liberali.
Paradossalmente i più sfrenati sostenitori del
 regime e i suoi più scatenati avversari nelle questioni della
 privatizzazione sono un fronte unito. La privatizzazione è uno di
 temi più tabù nella società russa contemporanea. I suoi critici
 vengono immutabilmente messi ai margini della discussione sul futuro
 della Russia. Richiedere un riesame degli esiti della
 privatizzazione è ritenuto perfino più indecente che dichiarare
 inevitabili la rivoluzione e la dittatura. La privatizzazione è
 diventata silenziosamente la "vacca sacra" del
 post-comunismo russo. La invocano sia il Cremlino, sia molte guide
 di piazza Bolotnaja [2].
 E' giunto il tempo di macellarla.
La privatizzazione barbarica
Si usa ritenere che nel XX secolo la Russia per due
 volte, all'inizio e alla fine, abbia sperimentato la più grande
 rivoluzione politica e sociale. Tuttavia, se la rivoluzione
 bolscevica, senza alcun dubbio, si può ritenere sia politica sia
 sociale, a dire una cosa del genere della perestrojka e dei
 susseguenti cataclismi la lingua non si muove. Che sia stato un
 rivolgimento politico non causa dubbi, ma che sia stata una
 rivoluzione sociale pare una forte esagerazione. Il potere e la
 proprietà in Russia dopo la perestrojka di fatto sono rimasti nelle
 mani della stessa classe (o più delicatamente della stessa élite)
 che li possedeva prima del rivolgimento. Sono cambiate solo le forme
 della sua signoria politica.
All'inizio della perestrojka l'élite sovietica
 consisteva della nomenklatura, dei vertici dell'intellighenzia e
 delle autorità criminali. Questi in essenza hanno costituito anche
 il nucleo dell'odierna élite russa. Non si è verificata alcuna
 "rivoluzione sociale" in Russia né negli anni '90, né
 negli "anni Zero". Se si cerca un vero rivoluzionario in
 questo senso, risulterà esserlo Brežnev,
 sotto cui si verificò un cambiamento radicale nella posizione della
 "corte sovietica", che fu separata dallo stato e prese
 coscienza dei propri interessi di clan particolari (privati). Il
 principale di questi consisteva nel difendere il diritto di fatto di
 disporre del patrimonio dello stato come del proprio. La
 privatizzazione è stata il metodo con l'aiuto del quale l'élite
 sovietica ha potuto trasformare il proprio "diritto de facto"
 in diritto "de iure".
Gli apologeti della privatizzazione cercano di porre
 il segno di uguaglianza tra questa e il riconoscimento del diritto
 alla proprietà privata, senza cui l'ulteriore sviluppo della
 società russa (sovietica) era davvero impossibile. In realtà la
 privatizzazione, nella forma in cui fu condotta, non ha niente a che
 fare né con lo sviluppo dell'istituto della proprietà privata, né
 con lo sviluppo di un'economia di mercato concorrenziale, né con lo
 sviluppo della democrazia. Al contrario, tutto ciò che in 20 e più
 anni è stato raggiunto in Russia in questi ambiti, è stato fatto
 non grazie alla privatizzazione, ma suo malgrado. Se si parla di
 democratizzazione della società, il picco di questo processo fu
 superato già ai tempi di Gorbačëv
 e con lo sviluppo della privatizzazione per l'appunto coincise
 l'involuzione della democrazia. La nuova Costituzione fu scritta con
 il sangue del parlamentarismo russo sulla coscienza privatizzata
 della nazione.
Proprio la privatizzazione è il demiurgo della
 società russa contemporanea e dello stato con tutti i suoi problemi
 e disfunzioni. Conseguenze dell'"accelerata"
 privatizzazione sono state la disuguaglianza sociale (che ha trovato
 incarnazione nell'oligarchia post-sovietica) che paralizza la
 società e la totale trasformazione della vita economica, sociale e
 politica in qualcosa di criminale. La privatizzazione ha rallentato
 tutte le riforme di mercato e democratiche in Russia e ha reso
 impossibili alcune di esse. E' stata la maggiore catastrofe sociale
 dai tempi della rivoluzione bolscevica e della Guerra Civile.
Una nazionalizzazione da gangster
Non c'è niente di stupefacente nel fatto che già a
 metà degli anni '90 del secolo scorso il rifiuto della
 privatizzazione da parte della maggior parte della popolazione sia
 stato il leitmotiv fondamentale della protesta politica. Verso il
 1996 su questo terreno sorse perfino la minaccia di un cambio di
 potere, che al Cremlino riuscì neutralizzare solo grazie al
 tradimento dei leader del partito comunista, che a quel tempo era
 riuscito a "privatizzare" di soppiatto il movimento di
 sinistra.
Gli odierni comunisti hanno insieme al governo la
 responsabilità diretta di tutto ciò che si è verificato in Russia
 a partire dalla metà degli anni '90. Scuotendo a parole gli stracci
 polverosi di dogmi pseudo-marxisti, in pratica hanno riconosciuto
 gli esiti della privatizzazione e si sono inseriti comodamente nel
 sistema economico e politico da essa sviluppatosi. Proprio la
 posizione concordante dei comunisti ha permesso di evitare il
 puntuale riesame degli esiti della privatizzazione e di conseguenza
 lo sviluppo storico della Russia è entrato in un vicolo cieco.
 Direttamente legate al tradimento dei comunisti sono anche le aste
 dei pegni, che hanno contrassegnato la rapina del paese.
Vladimir Putin, giungendo al potere, intraprese
 immediatamente passi diretti al rafforzamento degli esiti della
 privatizzazione, in particolare introducendo i corrispondenti
 emendamenti al Codice Civile della Federazione Russa. Allo stesso
 tempo dovette reagire politicamente a una potentissima richiesta
 sociale, il cui senso portava allo svolgimento della
 ri-nazionalizzazione. L'intercettazione degli slogan del movimento
 di protesta non è cosa nuova per Putin. Già all'inizio degli "anni
 Zero" raccolse il guanto lanciatogli e rispose alla sfida.
 Proprio allo svolgimento di una nazionalizzazione nascosta porterà
 il contenuto di tutta la sua politica economica nel corso degli
 ultimi 10 anni.
Il rifiuto diretto della privatizzazione era
 impossibile per Putin, poiché aveva ricevuto il potere dalle mani
 di chi ne era il principale beneficiario Perciò dette inizio a una
 "nazionalizzazione storta", sotto cui la proprietà
 formalmente continuava a restare privata, ma disporne senza
 l'assenso del governo era già impossibile. Questa nazionalizzazione
 risultò tanto banditesca quanto lo fu la stessa privatizzazione. Lo
 stato, con l'aiuto dei servizi segreti e l'appoggio diretto della
 criminalità costruì un sistema di controllo informale sugli
 imprenditori, alla base del quale stava il terrore economico (il
 diritto del governo di togliere qualsiasi proprietà a qualsiasi
 proprietario e di reprimere il proprietario stesso).
La "nazionalizzazione storta" è un
 compromesso politico. Da una parte numerosi redditieri, sorti in
 seguito alla privatizzazione, hanno conservato la possibilità di
 ottenere ancora le proprie rendite. Questa classe parassitaria è
 perfino cresciuta di misura, riempiendosi di numerosi rappresentanti
 della "burocrazia delle strutture armate" che non erano
 giunti in tempo alla "prima distribuzione". D'altra parte
 tutti questi si sono trasformati in detentori condizionati di asset,
 che ne dispongono con il permesso del governo, che gli impone vari
 pesi di carattere tanto sociale quanto di corruzione.
Questo sistema mostruoso, fondato sulla nuda
 violenza appena drappeggiata, senza risolvere alcuno dei problemi
 generati dalla privatizzazione, ha aggiunto a questi nuovi problemi,
 conseguenza dell'abuso legale da questo generato. Proprio il
 tentativo di compiere una nazionalizzazione nascosta ha portato alla
 trasformazione finale della Russia in uno stato mafioso. Putin ha
 "curato" la Russia, ma non l'ha guarita. Con la sua
 politica a doppio senso ha solo cacciato la malattia all'interno.
Un ingorgo di sinistra sulla corsia di destra
Il ritorno della Russia a una politica liberale è
 possibile attraverso l'assoluzione di compiti che di solito spettano
 al movimento di sinistra. Dopo ciò che i riformatori hanno fatto
 con la Russia all'inizio degli anni '90, nella "corsia di
 destra" si è formato un "ingorgo di sinistra".
 Adesso in cambio del "vicolo cieco del comunismo" è
 venuto il "vicolo cieco della privatizzazione".
A un primo sguardo la situazione appare del tutto
 disperata. La privatizzazione è il conservante dell'attuale sistema
 economico e politico. Non si può cambiare senza riesaminare i suoi
 esiti. Allo stesso tempo il riesame degli esiti della
 privatizzazione 20 anni dopo potrebbe dare il via a una così dura
 redistribuzione della proprietà che nessun governo sarebbe in grado
 di controllarla.
Non c'è risposta neanche alla domanda su dove siano
 i limiti morali e legali entro cui si possa svolgere una
 nazionalizzazione oggi. Infatti non sono state privatizzate solo le
 compagnie estrattive e le grandi banche. Per tutto il paese milioni
 di persone per 20 anni hanno giocato alla "roulette russa".
 E dal punto di vista del metodo di privatizzazione qualsiasi
 "Sibneft'" [3]
 si distingue poco dalla privatizzazione di una qualsiasi base per la
 produzione di verdura in un qualsiasi distretto. Inoltre posso
 supporre che intorno a una base di distretto talvolta siano
 ribollite passioni scespiriane più sferzanti che nel romanzo
 criminale di Abramovič
 con Berezovskij [4]. Ma
 non si può far tornare indietro la storia e togliere tutte le basi
 per la produzione di verdura agli attuali proprietari. La
 privatizzazione è andata avanti ovunque nello stesso modo
 criminale. Tutta la Russia posa su queste traballanti fondamenta.
 Toccale e l'edificio può semplicemente crollare come un castello di
 carte.
La difficoltà del compito, tuttavia, non libera
 dalla necessità di cercare una soluzione. La vita stessa ha
 suggerito una delle possibili soluzioni. Come nel noto film di
 Gajdaj [5] –  "Chi
 ci disturba ci aiuterà". La crisi economica degli anni
 2008-2009 ha confermato il fiasco totale dell'ideologia e della
 pratica della privatizzazione, mostrando che buona parte delle
 imprese "private" sviluppatesi su questo terreno sono
 economicamente inconsistenti e senza l'aiuto dello stato non possono
 esistere. Distribuire la proprietà in mani private non significa
 creare una classe di imprenditori. Sì, una qualche parte dei nuovi
 proprietari ha saputo creare imprese commerciali efficienti, ma la
 maggior parte in tutti questi anni ha semplicemente tagliato cedole
 finché la crisi stessa non li ha tosati [6]
 come pecore.
Oggi il governo, come in epoca sovietica, attraverso
 istituti speciali da esso creati come la VĖB
 [7] e la VTB [8],
 come pure con decine di altri metodi caccia enormi quantità di
 denaro in imprese formalmente private, tenendole artificialmente a
 galla, salvandole dall'inevitabile fallimento, ma al contempo non
 toglie queste imprese ai loro proprietari. In cosa consiste il ruolo
 dei proprietari di queste imprese un tempo privatizzate? Nel mettere
 nelle proprie tasche parte dei mezzi finanziari stanziati dallo
 stato. Difficile immaginarsi una situazione più assurda. In questo
 caso la natura parassitaria dell'oligarchia russa diventa evidente
 per tutti.
Ma ciò significa che la ri-nazionalizzazione può
 anche essere svolta in parte con la semplice inclusione dei
 meccanismi di mercato e di concorrenza. Se in seguito alla
 privatizzazione è sorta un'impresa redditizia che funziona
 efficacemente, che è piuttosto un'eccezione che conferma la regola
 generale, questa non ha bisogno di nazionalizzazione. Alla fin fine,
 con il tempo si possono costringere i proprietari a risarcire le
 spese con il pagamento delle tasse. A dire il vero, per questo è
 necessario tornare a un'aliquota differenziata di tassazione. Ma se
 un'impresa privatizzata si trova di fatto ad essere sovvenzionata
 dallo stato (attraverso crediti offerti a condizioni non di mercato,
 attraverso ordini di stato garantiti o perfino attraverso sussidi
 diretti), non c'è alcun fondamento per lasciarla nelle mani di
 proprietari inefficienti. La nazionalizzazione si compie in parte da
 sola, se lo stato cessa di tenere a galla ciò che è destinato ad
 affondare.
In un modo o nell'altro, la società si deve
 difendere da una classe parassitaria gonfiatasi a dismisura in
 seguito alla privatizzazione. Questa è oggi il principale freno al
 progresso storico della Russia. Putin era e resta il principale
 difensore e la principale espressione di questa classe. Perciò
 l'opposizione deve presentare alla società non un programma di
 lotta con Putin (con il regime putiniano), ma un piano strategico di
 superamento delle conseguenze di quella catastrofe economica,
 sociale e politica che è stata per la Russia la privatizzazione e
 che, in sostanza, ha generato anche Putin.
Alla nascosta nazionalizzazione mafiosa che Putin
 compie dal 2003 dev'essere contrapposto un programma alternativo di
 aperta e trasparente nazionalizzazione, il cui scopo non è il
 ritorno al passato sovietico, ma la preparazione del terreno per la
 creazione di una vera economia concorrenziale e libera. Solo in tal
 modo l'opposizione liberale (ma anche qualsiasi altra) potrà farsi
 ridare fiducia dal popolo e garantire il livello di sostegno che
 aveva il movimento democratico all'inizio degli anni '90.
La nazionalizzazione della libertà
Paradossalmente in Russia la via per la democrazia e
 il mercato passa attraverso la nazionalizzazione. Per la Russia
 contemporanea la nazionalizzazione non è affatto un programma di
 sinistra, ma di destra, tra l'altro radicalmente liberale. Il
 compito della nazionalizzazione sta nel togliere la Russia da questo
 zigzag in cui l'ha contorta la privatizzazione criminale. Non ho un
 programma di nazionalizzazione, ma ho il preciso concetto che questo
 programma dev'essere preparato. Perché quella nazionalizzazione che
 Putin ha organizzato in società con la cooperativa "Ozero"
 [9] non mi va assolutamente.
 E solo dopo, quando tutte le rovine saranno rimosse, la Russia potrà
 tornare all'idea di privatizzazione, ma a condizioni di mercato e
 legali.
La necessità della nazionalizzazione in Russia è
 condizionata non tanto da motivi economici, quanto politici ed
 etici. E' una questione di conservazione della salute morale della
 nazione. E ciò non riguarda affatto solo gli oligarchi, che hanno
 strappato in questo affare il boccone più grosso. Riguarda tutti e
 ognuno. Perché alla fine del secolo scorso, come pure all'inizio,
 tutta la Russia si è appassionatamente gettata in un avvitamento di
 rapina. Come giustamente ha notato a questo riguardo Jurij Pivovarov
 [10], in tutto il paese
 iniziò il duvan (la riunione dei cosacchi per la divisione
 del bottino). E se in senso economico-finanziario c'è differenza
 tra l'appropriazione di un qualche GOK [11]
 e la divisione in parti di un qualche kolchoz, in ambito morale non
 c'è alcuna differenza tra queste.
La privatizzazione è stata un grande tentativo che
 la rivoluzione russa non ha retto. Oggi si vede tutto nero e il
 tempo dell'autentico entusiasmo e del grande sollievo dello spirito
 che accompagnarono la perestrojka sembra un'epoca di continui
 errori, menzogne e passioni meschine. Ma non bisogna ingannarsi, la
 gente che andò in piazza del Maneggio [12]
 nel febbraio 1990 aspirava davvero alla libertà e credeva in essa.
 Tuttavia dopo qualche anno privatizzò la propria libertà,
 trasformò la libertà in un'industria privata. Perché il popolo
 creda di nuovo nella libertà, bisogna nazionalizzarla. Come pure
 tutto ciò che è stato rubato.
Vladimir Pastuchov [13], http://www.novayagazeta.ru/politics/56123.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1]
Il Congresso dei Deputati del Popolo era la "camera alta"
del parlamento sovietico.
[2]
"Del Pantano" (quello che c'era prima della sua
costruzione), piazza del centro di Mosca, sede di manifestazioni
contro il regime di Putin.
[3]
Qualcosa come "Petrolio Siberiano", compagnia petrolifera.
[4]
Boris Abramovič Berezovskij, faccendiere che ebbe una breve carriera
politica sotto El'cin per poi sfuggire a Putin nel Regno Unito.
[5]
Leonid Iovič Gajdaj, regista russo. Il film è "Una vergine da
rubare" (in russo La prigioniera del Caucaso o le nuove
avventure di Šurik).
[6]
Nell'originale c'è un gioco di parole difficile da rendere perché
strič' significa sia
"tagliare" che "tosare".
[7]
VnešĖkonomBank
(qualcosa come "Banca per i Rapporti Economici con l'Estero").
[8]
VnešTorgBank (qualcosa
come "Banca per il Commercio Estero").
[9]
"Lago", cooperativa per la gestione di dacie che
costituisce in realtà il nucleo del gruppo di potere di Putin.
[10]
Jurij Sergeevič Pivovarov, storico russo.
[11]
Gorno-Obogatitel'nyj Kombinat
(Complesso di Estrazione ed Elaborazione), complesso in cui si
estraggono minerali e li si trasforma in oggetti.
[12]
Piazza del centro di Mosca non lontana dalla Piazza Rossa.
[13]
Politologo, professore invitato a Oxford.

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