20 giugno 2012

A proposito di Russia e Caucaso (II)

NADIRA ISAEVA: C'è richiesta di giustizia, ma non di separatismo o di nazionalismo
Ingushetia.Ru, 19.06.2012, 17.39
Parla l'ex direttrice del noto giornale daghestano "Černovik" [1]
Il Daghestan manifesta, ma non nello stile di piazza Bolotnaja [2] e non con i suoi slogan. L'ultima manifestazione ha avuto luogo domenica scorsa a Machačkala [3], 600 persone hanno richiesto che si indaghi sull'omicidio dei fratelli Gamzatov, le indagini sul quale, tre mesi dopo la loro pubblica esecuzione non hanno portato alcun risultato.
Non di meno, la repubblica non si unisce al movimento di protesta generale russo. Quale sia la causa di tale stato di cose, chi va in strada e quale ruolo in questo giochi il "progetto islamico" ha valutato l'ex direttrice del giornale "Černovik" Nadira Isaeva.
Secondo Lei, perché il Daghestan non si unisce alle manifestazioni dell'opposizione, anche se ora la stessa repubblica si trova in stato di agitazione?
– Per reciproca sfiducia ed estraneità. C'è un muro di estraneità tra i daghestani, gli abitanti delle repubbliche del Caucaso del Nord nel loro complesso e la popolazione del resto della Russia. Considerare il Caucaso del Nord una zavorra per il paese è diventato un luogo comune nella coscienza dei russi, come sembra a molti in Daghestan. Ma i caucasici hanno cose da mostrare allo stato e alla società russi in questo secolo e mezzo di vita comune.
La lealtà di molti leader della protesta nei confronti dei nazionalisti, il cui principale strumento politico è l'odio per i caucasici, favorisce solo lo scetticismo.
Anche se non credo che i leader dei nazionalisti non capiscano che i problemi della Russia non iniziano nel Caucaso e non finiscono là.
In generale gli abitanti del Daghestan sono indifferenti alle elezioni come alle istituzioni e al potere per tutta una serie di motivi stabili. La gente semplicemente non va alle elezioni, non ne tiene conto. Non di meno, ogni volta il Daghestan "mostra" un'affluenza mai vista. Di cosa si può ancora parlare qui? I daghestani hanno problemi di altro ordine – viviamo secondo le leggi dei tempi di guerra, non ci interessano questa politica e queste elezioni. E andando alle manifestazioni la gente non propone richieste politiche, ma richiede al potere garanzie di vita e libertà.
E che dire della manifestazione dei cinquemila salafiti, senza precedenti per dimensioni, svoltasi nel novembre dell'anno scorso a Machačkala? In essa è risuonata proprio una richiesta politica: l'introduzione della shari'a.
– La protesta fu causata da altri motivi. Già da dieci anni le persone vengono sequestrate, torturate e uccise, gli mettono addosso armi e fabbricano procedimenti penali. Alla maggior parte di quelli che andarono alla manifestazione era stato sequestrato, torturato o semplicemente ucciso a colpi d'arma da fuoco un familiare solo per un motivo – mantenevano convinzioni salafite. Questo faceva male e si era accumulato. Gli appelli alle autorità federali e della repubblica nello spirito "smettete di torturarci" e il ricorso ai diritti umani fondamentali non funzionano: che senso ha chiedere, se non vi ascoltano? Ecco che la gente è andata in massa per strada con questa richiesta radicale.
Dopo la nomina a presidente di Magomedsalam Magomedov la situazione ha preso a cambiare. Le autorità hanno preso a parlare apertamente dell'indispensabilità del dialogo: è comparsa un'ala legale salafita, "Achlju-Sunna", si è svolto il congresso dei popoli del Daghestan, dove sono intervenuti anche i salafiti, ha avuto luogo una seduta in trasferta della commissione per i diritti umani presso il presidente della Federazione Russa, è stata formata una commissione per il riadattamento dei militanti. Tutte queste iniziative sono state curate da Mosca tramite il Comitato Antiterroristico Nazionale e il potere della repubblica gli ha dato vita. Ciò significa che c'è comprensione del problema, forse poca?
– Nessuna delle parti del dialogo, a mio parere, si fida dell'altra. I salafiti di "Achlju Sunna" possono prendere tutte queste iniziative come un tentativo del potere di lottare con loro, ma già a livello politico-ideologico e ritenere la lealtà nei loro confronti un metodo della carota in contrapposizione a un progetto islamico che acquista contorni reali. E' molto importante, a mio parere, il recente incontro dei rappresentanti dei salafiti con l'Amministrazione Spirituale dei Musulmani [4] a Machačkala e in seguito lo stesso, ma già con i rappresentanti dei salafiti nel distretto di Cumada [5]. Entrambe le parti hanno siglato una risoluzione, secondo cui le parti in conflitto si obbligano d'ora in avanti a risolvere le liti in ambito teorico. Ma con questa iniziativa gli agenti delle strutture armate e Mosca non hanno niente a che fare.
Come si presenta il “progetto islamico alternativo”?
– Soluzioni semplici e comprensibili a tutti, senza lungaggini e burocrazia. Si mostrano più nettamente nelle corti shariatiche. Di fatto nella repubblica buona parte delle liti su divorzi, eredità e terre si risolvono così.
Un noto avvocato, un laico, mi disse in qualche modo che seguiva solo cause penali, quelle civili non le seguiva per principio. "In un processo civile si può dividere una casa per anni: si spende un mucchio di soldi in bustarelle e alla fine non si ottiene niente, tutte le parti si odieranno soltanto a vicenda", – disse. Perciò ha avuto casi in cui ha mandato dall'imam della moschea clienti che si erano rivolti a lui con cause civili. Inoltre alle corti shariatiche, certo non pubblicamente, si rivolgono sempre più spesso funzionari e uomini d'affari. E' una pratica diffusa, che si amplia sempre di più. Se fosse riconosciuta ufficialmente, placherebbe il problema della terra, il più sanguinoso nella repubblica. Nelle corti shariatiche non c'è niente di pericoloso per lo stato, si prenda l'esempio della Gran Bretagna, dove non tanto tempo fa sono state riconosciute ufficialmente.
Accanto al problema dei tribunali da noi c'è un acuto deficit di servizi statali e municipali nei distretti. La gente è lasciata a se stessa, perciò risolve i propri problemi come può.
Porterò qualche esempio. Nel villaggio di Mucalaul nel distretto di Chasavjurt [6] un tempo c'era uno dei migliori ospedali del distretto, il personale l'ha letteralmente portato via fino all'ultima vite e la cucina per i bambini è stata saccheggiata dalle infermiere. La gente si è rivolta a tutte le istanze – silenzio. Allora sono giunti "quelli dei boschi" [7] e hanno spiegato ai lavoratori della cucina per i bambini che non è corretto comportarsi così. La cucina per i bambini ha preso a funzionare senza guasti. O la storia del capo di una delle MSĖK [8] distrettuali, dove danno i certificati di invalidità, che aveva superato ogni limite: denunciarlo era inutile, in quanto per i certificati falsi ricevevano la loro parte sia gli agenti dell'OVD [9] locale, sia la commissione inquirente e la procura. Ho sentito che tra la popolazione c'erano conversazioni su come denunciarlo a "quelli del bosco".
Di tali esempi nella repubblica ce ne sono a decine, la gente ha bisogno che qualcuno risolva i suoi problemi sociali e qui giunge il potere alternativo.
A metà degli anni '90 in Cecenia ci fu questo esperimento di governo islamico alternativo, la repubblica non ce la fece.
– Perché inizialmente l'Ičkerija [10] fu costruita sull'idea del nazionalismo. E quando scoprirono che era un'idea vuota, allora puntarono sull'Islam, ma, a dire il vero, sorse subito un altro problema. Quando a Džochar Dudaev [11] dissero che in Cecenia bisognava introdurre la shari'a, questi, a quanto si dice, rispose: "Introdurrò la shari'a, ma dove troverò tanti musulmani?" L'Ičkerija non ispirò nessuna delle repubbliche del Caucaso del Nord a unirsi alla lotta per uno stato nazionale. Ecco che l'idea dell'Islam si consolida e prende forza non dal numero dei suoi sostenitori, ma dalla loro passionalità.
Bisogna capire precisamente che quando parliamo di corti shariatiche o di un progetto alternativo, questo non è sinonimo di distacco del Daghestan dalla Russia. A livello di repubblica non ci sono davvero tali umori, invece c'è una richiesta di giustizia, di giustizia sociale che si amplia sempre di più. E qui molto negli umori della maggior parte dei daghestani dipenderà da come si comporterà Mosca nel futuro prossimo.
Dall'omicidio del proprietario del giornale "Černovik" Chadžimurad Kamalov sono passati sei mesi, ma finora non abbiamo sentito versioni ufficiali del suo omicidio. Lei ha lavorato per sette anni fianco a fianco con lui e per quattro anni è stata direttrice del giornale, quali versioni ha, a chi dava fastidio Chadžimurad?
– Negli ultimi 20 anni non ricordo un solo caso di omicidio politico in Daghestan in cui gli inquirenti abbiano proposto versioni concrete.
Le fonti probabili della commissione dell'omicidio di Chadžimurad si possono dividere per livello di potere: municipale, della repubblica e federale. Quello chiave, a mio parere, è quello federale. Ciò non significa che qualcuno da Mosca abbia detto che bisognava uccidere Kamalov. Ciò significa che è sorta una situazione politica in cui era diventato possibile uccidere una persona come Kamalov.
Prima delle elezioni presidenziali Mosca voleva chiudere il campo informativo del Caucaso. E Chadžimurad e il giornale "Černovik" non solo formavano molto dello spazio informativo del Daghestan, egli stesso era un potenziale fattore di dialogo tra le parti in conflitto.
E questa disposizione federale si accorda strettamente con gli interessi della leadership locale, che ora è molto debole. Le altre versioni sono secondarie. In generale non è poi così importante se complici dell'omicidio di Kamalov siano gli agenti delle strutture armate della repubblica con cui aveva un aspro conflitto, in particolare il vice-capo del ministero degli Interni per il Daghestan Magomed Magomedov considerava Kamalov un nemico personale, o se qui si sia segnalato un politico influente. In decenni di attivo operato socio-politico Chadžimurad si era fatto un sacco di nemici, ma hanno osato ucciderlo solo ora perché era stato dato un segnale non verbale dalle autorità federali. Proprio per questo penso che gli inquirenti non troveranno i mandanti del suo omicidio.
So che gli inquirenti hanno controllato anche Lei quanto a complicità nell'omicidio. Il motivo erano delle intercettazioni di telefonate tra Kamalov e Lei. Nella conversazione discutevate di una grossa somma di denaro che era diventato motivo di conflitto tra voi.
– Sì, ebbi un conflitto con Chadžimurad per la parte monetaria di un premio congiunto norvegese-tedesco al giornale "Černovik". Ma la discussione non era per i soldi in se. Era una discussione di posizioni. In quel momento avevo appena scritto una dichiarazione di uscita dalla redazione. Chadžimurad era una figura complessa. E se sorgeva un conflitto con lui su questioni di principio, era sempre un conflitto aspro perché fargli cambiare idea su qualcosa o insistere sulla propria posizione con lui era incredibilmente difficile. E gli inquirenti hanno preso volentieri un nastro anonimo da Internet montato con elementi di intercettazioni delle nostre trattative telefoniche e condito di commenti falsi come base per una versione. Tra l'altro la fonte della fuga di notizie – fattore essenziale, che aiuterebbe a evidenziare gli interessati a indirizzare gli inquirenti su una falsa pista – non tentano neanche di chiarirla. Una cerchia ristretta di servizi segreti può intercettare le telefonate in Daghestan. Questo fatto e alcuni altri, come, per esempio, le telecamere di videosorveglianza spente al momento dell'omicidio di Chadžimurad nella via forse più protetta di Machačkala, la mancanza tra i materiali del caso dei dati del cartellino di traffico dei telefoni dei presunti assassini testimoniano che alcuni alti rappresentanti delle strutture armate con accesso di lavoro ai servizi operativi hanno a che fare con il suo omicidio.
E le "fughe di notizie" su Internet nell'ultimo anno e mezzo sono diventate un luogo comune nella repubblica. La blogosfera daghestana e i social network si sono molto sviluppati e sono diventati luoghi per ogni possibile discussione, là fuggono tonnellate di articoli anonimi su chi non è leale nei confronti del potere e peraltro anche sugli stessi rappresentanti del potere. Sono convinta che con l'insudiciamento dello spazio su Internet abbia direttamente a che fare anche la direzione informativa del presidente della repubblica, parallelamente ad essa su Internet lavorano gli "specialisti" del ministero degli Interni e dello FSB [11], che non lo nascondono neanche particolarmente.
Per più di dieci anni la situazione nella repubblica è stata descritta con termini da guerra. Una parte della popolazione spinge l'altra a darsi alla macchia, provocando un conflitto. Tuttavia ora una simile "carta del mondo" già non riflette più del tutto la realtà. La guerra va avanti come prima, ma la disposizione delle forze è già un'altra, cos'è cambiato?
– Se alla fine degli anni '90 e all'inizio degli anni 2000 si poteva dire che le repressioni crudeli contro i salafiti li costringevano alla lotta armata clandestina e che la società era fatta impaurire con l'idea dei wahhabiti [13] assetati di sangue, ora la gioventù va a combattere con lo stato, è cariche delle idee di jihad e ha anch'essa armi in mano. Il totale impaurimento dei musulmani ha favorito la crescita dell'autocoscienza islamica. La Cecenia iniziò dal nazionalismo puro.
Ma negli anni '90 in Daghestan è fiorito anche il nazionalismo.
– Sì. Ma a differenza della Cecenia, in Daghestan sono nati subito parallelamente due progetti: quello nazionalista e quello islamico. In una repubblica multietnica è comparsa una pleiade di leader nettamente nazionali. E tutti questi guadagnavano con la criminalità.
Negli anni '90, nel periodo di indebolimento dello stato russo, queste autorità criminali hanno riempito il vuoto dello stato, sono diventati un fattore di stabile lealtà della repubblica nei confronti dello stato russo, tra l'altro, per quanto sembri strano, ricattandolo di fatto con l'arma del separatismo. Perciò Mosca ha puntato su di loro del tutto consapevolmente. Ma appena la criminalità si è legalizzata su posizioni statali, il progetto nazionalista è finito.
Si sono inglobati nel sistema?
– Sì, è diventato chiaro che tutto il loro "nazionalismo" era necessario come strumento di ricatto allo scopo di accedere a cariche statali e alle tangenti con denaro pubblico.
Il nazionalismo in Daghestan è stato screditato e si è del tutto esaurito negli anni 2002-2003. Da quel tempo ha preso forza il fattore islamico.
Risulta che la posizione leale di Mosca, che ha sovvenzionato la repubblica con enormi somme di denaro, abbia favorito solo la fioritura dell'Islam radicale?
– Mosca è stata leale nei confronti delle autorità corrotte del Daghestan, che hanno utilizzato lo spauracchio del nazional-separatismo e adesso utilizzano già l'Islam radicale per convincere il Centro: "noi siamo una forza" e "solo noi arrestiamo il disfacimento della Russia".
Non si tratta delle sovvenzioni, ma del format di rapporti reciproci applicato fino a poco tempo fa da Mosca e dal Daghestan. Fino al 2006 circa, penso, vigeva un qualche tacito principio di non ingerenza dei funzionari federali negli affari che erano essenzialmente della regione. Noi vi diamo sovvenzioni – voi ci date lealtà, ma i metodi sceglieteli da soli, basta che là da voi non ci sia una seconda Cecenia.
E' andata come nella storia con i serpenti, per ogni testa dei quali il protettorato britannico in India promise di dare soldi. Così gli indiani presero ad allevare serpenti velenosi da soli e a venderli ai britannici, facendoli passare per catturati e uccisi. Dico questo perché, come con il nazionalismo, le autorità erano interessate a pompare l'isteria del "wahhabismo" e questo gli è riuscito.
In che modo è riuscito ai funzionari? Infatti la lotta con il "wahhabismo" è di competenza degli agenti delle strutture armate e praticamente in tutto il Caucaso le branche civili e armate del potere si trovano in conflitto permanente.
– Torniamo al '99, all'inizio della spirale di repressione. Chi iniziò la "guerra al terrorismo"? Proprio i funzionari daghestani. Grazie all'insistenza della nostra Casa Bianca [14] per la prima volta in Russia presso il ministero degli Interni del Daghestan comparve la Direzione per la Lotta all'Estremismo e al Terrorismo. In seguito fu approvata la legge sul divieto del cosiddetto wahhabismo.
Inizialmente in Daghestan inventarono la direzione per la lotta all'estremismo e al terrorismo, tacitamente le dettero poteri di inquisizione e poi cessarono di controllare questi "combattenti con il terrorismo". I metodi di questi ultimi provocarono una tale ondata di violenza in risposta da portare all'ingerenza delle unità speciali federali, degli agenti delle strutture armate generali già non si fidano.
Ora gli interessi del potere civile in Daghestan sono ben più strettamente legati agli interessi degli agenti delle strutture armate che a quelli della propria popolazione perché queste baionette lo difendono dalla rivolta popolare.
In epoca sovietica il Daghestan era una repubblica donatrice con fabbriche, stabilimenti e con branche fiorenti dell'agricoltura, ma dopo gli anni 2000 la repubblica è diventata sovvenzionata per più del 90%. Perché è andata così?
– Perché lavorare, se ci sono le sovvenzioni? Russia e Daghestan in questo senso sono simili. In Russia c'è il petrolio e tutto il resto si è nascosto da qualche parte, in Daghestan ci sono le sovvenzioni e quanto c'era ancora ha cessato di esistere. Tutto nell'economia locale si muoverà intorno alle sovvenzioni: inventiamo cariche, non vogliamo privatizzare le imprese statali, curiamo ogni sviluppo dell'agricoltura – tutto per creare fiumi di denaro di corruzione.
Per tutto ciò la popolazione inizia semplicemente a degradarsi, si ingloba nei modelli corrotti per guadagnare soldi, compaiono molti falsi invalidi e persone a carico. Il commercio è tutto gioielleria e appartamenti di élite. Perfino sulle montagne hanno cessato di lavorare, di coltivare patate o cavoli, che ancora in epoca sovietica erano esportati in molte regioni del paese. Perché? Se è più conveniente e semplice portarli dalla zona di Stavropol' [15] e rivenderli... La corruzione è inimmaginabile, coltivare è pesante, trasportare anche; perché costruire fabbriche, se un mucchio di ispettori non ti farà lavorare? L'economia è atrofizzata, la gente ha disimparato a lavorare. E allo stesso tempo la nostra leadership chiede continuamente al Centro: date più sussidi a noi poveri, abbiamo bisogno di costruire scuole e ospedali.
Le sovvenzioni sono grandi, ma c'è l'idea fissa che la maggior parte stia a Mosca in forma di tangenti e nella repubblica arrivi solo la metà. Non ci sono meccanismi di controllo e di equa redistribuzione, la società è nettamente stratificata. Da una parte il lusso sfacciato di singoli quartieri cittadini e dall'altra centinaia di villaggi e paesi con scuole inagibili, senza acquedotti e con reti elettriche guaste all'80%.
Se domani le sovvenzioni cessassero, la repubblica farebbe la fame?
– Bella domanda. Come tornare all'inizio della nostra discussione. La rumorosa tesi dei nazionalisti: "Basta con il nutrire il Caucaso!". Così alzo due mani a favore. Basta con il nutrire una polizia caucasica corrotta da migliaia di persone che torturano, sequestrano, uccidono, aprono procedimenti penali illegali. Basta con il nutrire il potere daghestano, tra cui anche i capi delle strutture territoriali federali. Basta con il nutrire gli agenti delle strutture armate federali inviati nel Caucaso da tutta la Russia. Posso solo immaginare quanto ciò venga a costare al bilancio federale.
Comparirà tensione, certo, ma alla fine ciò costringerà la gente a tornare alla terra. La gente inizierà a coltivare patate, cavoli e carote, ad allevare capre e pecore, a far rinascere l'arte di fare ciò di cui si sono occupati con successo per secoli. Inizierà il commercio da zero – infatti vicino ci sono Iran, Azerbaijan, Turchia e vie di trasporto. Non morirà esattamente di fame. Ma qui si cela una domanda retorica per lo stato russo: se si da la libertà economica, si tolgono allo sviluppo le barriere, la principale delle quali sono le stesse sovvenzioni, la gente non diventerà troppo autonoma e non vorrà all'improvviso anche le libertà politiche? E' più sicuro riversare soldi e "schiacciare con i carri armati", perciò abbiamo ciò che abbiamo.
Per "Politica Caucasica" ha condotto l'intervista la corrispondente speciale della "Novaja gazeta" Irina Gordienko
http://ingushetiyaru.org/news/23041.html, traduzione e note di Matteo Mazzoni
[1] "Brutta copia", giornale di opposizione.
[2] Piazza del centro di Mosca nota come teatro delle manifestazioni dell'opposizione.
[3] Capitale del Daghestan.
[4] Ente islamico ufficiale del Daghestan.
[5] Villaggio del Daghestan sud-occidentale, che da nome a un distretto di cui non è capoluogo.
[6] Villaggio del Daghestan centro-occidentale.
[7] I militanti datisi alla macchia.
[8] Mediko-Social'naja Ėkspertnaja Komissija (Commissione di Esperti Medico-Sociale).
[9] Otdelenie Vnutrennich Del (Sezione degli Affari Interni), in pratica la polizia.
[10] Nome dell'autoproclamata repubblica indipendente cecena.
[11] Džochar Musaevič Dudaev, primo leader indipendentista ceceno.
[12] Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), il principale servizio segreto russo.
[13] Leggasi "estremisti islamici".
[14] Questo nome è dato a tutte le sedi dei governi dei soggetti della Federazione Russa, tutti massicci edifici bianchi o grigi chiari.
[15] Città della Russia meridionale.
 
 

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