05 marzo 2011

A proposito di Putin (XVII)

Il petrolio sceglie il presidente russo




Il paese rischia di tornare al 2008 – l'anno della crisi


Le rivoluzioni arancio-verdi [1] in Medio Oriente [2] cambiano il mondo. Qualcuno parla della minaccia di una nuovo unità araba sotto forma di califfato mondiale; qualcuno per inerzia accusa di tutto gli USA, che, se le accuse fossero giuste, agirebbero a proprio danno, in quanto l'accaduto mina prima di tutto gli interessi americani; qualcuno aspetta lo scontro tra Arabia Saudita e Iran – due leader regionali da tempo nemici, il cui aperto conflitto sarebbe gravido di una crisi dell'Islam e cioè di una nuova esplosione di terrorismo.

Ma cosa cambierà in Russia?

Per noi hanno un significato primario non tanto le conseguenze geopolitiche dell'accaduto, quanto quelle economiche.

Il petrolio del profeta

Non passa giorno che le quotazioni in Borsa del petrolio sui mercati mondiali non decollino verticalmente. Alle rivoluzioni in Tunisia e in Egitto il mercato ha reagito con calma. Ma quando è scoppiata in Libia, si è messo a ribollire.

Perché l'innesco fosse in Libia è chiaro. Questo paese occupa il quinto posto nell'OPEC per risorse petrolifere comprovate (5,1 miliardi di tonnellate), là c'è anche gas naturale (1490 miliardi di metri cubi). L'estrazione giornaliera di petrolio in Libia a gennaio ha raggiunto 1,585 milioni di barili, che ammontano a circa il 6% dell'estrazione dell'OPEC e l'1,8% dell'estrazione mondiale. Né Egitto, né Tunisia possono vantarsi di alcunché di simile.

Il 21 febbraio, quando la rivoluzione araba si è spostata in Libia e presto ha preso giri una massiccia guerra civile, le forniture di petrolio libico ai mercati mondiali sono state bloccate. Anche il volume di gas che giunge in Europa dalla Libia attraverso condutture che passano sul fondo del mar Mediterraneo sta cadendo. ВР, Royal Dutch-Shell, l'italiana Eni, la francese Total, l'austriaca OMV, la norvegese Statoil hanno annunciato la cessazione dei lavori in Libia.

I prezzi hanno sicuramente superato i 100 $ al barile, hanno oscillato vicino a quota 120 $, ma tutti aspettano una crescita ulteriore.

La minaccia dell'inizio di azioni militari contro il regime di Gheddafi sprona ancor più i prezzi. Ma il domino arancio-verde continua la sua corsa. Sono tornati in Algeria. Il 24 febbraio gli analisti dei mercati della compagnia di investimenti “Nomura Holdings Inc.” sono intervenuti con la prognosi: “Se Libia e Algeria fermeranno contemporaneamente la produzione di petrolio, i prezzi potrebbero andare a 220 $ al barile e il potenziale di riserva dell'OPEC cadrebbe a 2,1 milioni di barili al giorno, il che è paragonabile ai livelli segnalati nel periodo della guerra nel Golfo Persico e al 2008, quando i prezzi raggiunsero i 147 $” – si dice nel resoconto analitico degli specialisti della Nomura. Nel periodo della guerra nel Golfo Persico (1990-1991) i prezzi del petrolio crebbero del 130% in sette mesi e fra l'altro il potenziale di riserva dell'OPEC si ridusse a 1,8 milioni di barili al giorno, hanno ricordato gli analisti.

WikiLeaks ammonisce

Ma le agitazioni si notano già nel principale magazzino petrolifero del mondo – i paesi del Golfo Persico, nel Kuwait e nel Bahrein del tutto felici. Gli analisti cercano di prevedere se sia possibile una diffusione delle agitazioni in Arabia Saudita. Nel Bahrein sono andati per le strade gli sciiti, insoddisfatti del governo sunnita e intervenuti per chiedere una forma di governo parlamentare, la loro lotta può una risposta solidale in Arabia Saudita, dove la minoranza sciita ritiene limitati i propri diritti. Finora proprio i potenziali di riserva dell'Arabia Saudita trattengono il crescente panico dei mercati petroliferi, ma se si avranno interruzioni del petrolio saudita, la situazione sul mercato alla fine andrà fuori controllo.

La situazione, peraltro, può rivelarsi ancor più esplosiva. L'onnipresente sito WikiLeaks già il 9 febbraio pubblicò una notizia sensazionale dai resoconti dei diplomatici americani a Riyad. Da questa consegue che le riserve petrolifere dell'Arabia Saudita realmente comprovate potrebbero essere inferiori a quelle annunciate ufficialmente di 300 miliardi di barili o del 40%. I diplomatici, e a loro seguito anche WikiLeaks rimandano a conversazioni dell'ex capo dell'intelligence geologica del monopolio petrolifero saudita Aramco Al-Husseini con il console generale degli USA, che ebbero luogo già nel novembre 2007. Al-Husseini allora dichiarò che l'Arabia Saudita non è fisicamente in grado di garantire un livello di estrazione di 12,5 milioni di barili al giorno.

Secondo Husseini, il volume di estrazione dell'Arabia Saudita può raggiungere 12 milioni di barili al giorno, ma anche per tale risultato saranno necessari 10 anno. Ha aggiunto che verso il 2012 l'estrazione di petrolio a livello mondiale raggiungerà il suo punto più alto, dopodiché si stabilizzerà o calerà.

Com'è tradizione, non sono seguite risposte ufficiali alla pubblicazione di WikiLeaks. Ma è del tutto evidente che, indipendentemente da quanto il suo contenuto rifletta il reale stato delle cose, questa può eccitare ancor di più il panico petrolifero.

Quando si fermeranno i prezzi del petrolio

Alcuni economisti si occupano di calcoli febbrili e in buona misura speculativi su quanto potrà costare il petrolio nei prossimi tempi, altri riflettono già su cosa possa fermare la sua crescita.

La logica è semplice. L'economia mondiale è appena entrata in una fase di prudente ripresa dopo i colpi distruttivi della crisi. Tuttavia i prezzi del petrolio, che sono nettamente cresciuti e continuano a crescere, aumentando i costi di produzione, possono facilmente far tornare la crisi. Molti ricordano che la crescita dei prezzi del petrolio permette anche una politica monetaria morbida – il principale mezzo anti-crisi della Federal Reserve degli USA. Ma questo processo ha anche un rovescio. Se la crisi tornerà, alla caduta della produzione dovrà seguire anche il ritorno “a terra” dei prezzi del petrolio. Cosicché l'economia mondiale ha davanti una corsa in tondo.

Già c'è una prima risposta all'attuale domanda su quando tornerà la crisi. Il “Wall Street Journal” ha calcolato: la ripresa dell'economia verrà fermata da un prezzo medio su base annua di 127 $ al barile. Per i prezzi questo confine, come abbiamo visto, non è un limite. Cosicché il ritorno della crisi è più che probabile.

Déja-vu alla russa

Mosca per ora festeggia: uno stato da 127 $ le va del tutto bene, in particolare considerando che il 24 febbraio lo FMI ha innalzato la prognosi del prezzo medio del petrolio nel 2011 da 89,5 a 95 $.

Il ministro delle Finanze Aleksej Kudrin ha già dichiarato che il deficit del bilancio potrà essere liquidato anticipatamente – verso il 2014. Il premier Vladimir Putin, a sua volta, ha salutato il probabile raddoppio del Fondo di Riserva dagli attuali 775 miliardi di rubli [3] a 1454 miliardi [4] per la fine dell'anno con un prezzo medio su base annuale di 93 $.

Ma questa è la reazione alla prima fase di un processo a tre fasi: crescita dei prezzi del petrolio – ritorno della crisi mondiale – caduta dei prezzi del petrolio.

Se poi non si perde di vista tutta la combinazione, allora il quadro appare angoscioso. Alla molto probabile seconda venuta della crisi la Russia risponde con lo sforzo di ristabilire il modello economico di prima della crisi, che, per ammissione degli stessi funzionari, nonostante la presenza del Fondo di Riserva e del Fondo per il Benessere Nazionale, ha testimoniato il rafforzamento della dipendenza dell'economia dalla congiuntura petrolifera e non l'ha salvato dalla più profonda caduta del PIL tra paesi del G-20.

Non bisogna aspettarsi una riduzione delle tasse – il ministero delle Finanze difende con tutte le forze il bilancio da quella congiuntura imprevista. La crescita delle spese per l'innovazione e la modernizzazione, contenuta nello “scenario innovativo” della prognosi di sviluppo della Russia proposta dal ministero per lo Sviluppo Economico, è stata silurata dagli sforzi di Kudrin, che è stato sostenuto da Putin. Il premier e il suo vice si sono preoccupati della liquidazione del deficit del bilancio. Ma per l'economia è pericoloso non tanto lo stesso deficit, quanto l'inflazione, conservatasi ad alto livello, che non solo è socialmente pericolosa, ma è anche capace di deformare gli orientamenti di mercato dello sviluppo. Tuttavia non bisogna evidentemente aspettarsi qualche tipo di successo nella lotta all'inflazione. Della rapida crescita dei prezzi, che continua, si preoccupano i prezzi del petrolio e non bisogna dimenticare neanche le prossime elezioni.

Cosa cambierà dunque? La Russia potrà rafforzare le proprie posizioni di fornitore di idrocarburi. E' pronta a rafforzare l'impeto sul mercato del gas europeo. I politici russi potranno di nuovo esaltare alle stelle [5], apertamente o no, la vecchia idea di Vladimir Putin sulla trasformazione della Russia in una superpotenza energetica. Tuttavia tutto ciò non esce dall'ambito del modello di sviluppo basato sull'esportazione e sulle materie prime, quello stesso modello che nei documenti del governo è stato riconosciuto superato. Cioè, quando la crisi tornata alla fin fine farà crollare i prezzi del petrolio, la Russia rischia di accoglierla come nel 2008.

Questa dolorosa sensazione si diffonde, fra l'altro, non solo nell'economia. Se questa non ha grande fortuna, si può ricordare la storia di una fortuna. Sarete d'accordo che, con tutte le difficoltà della situazione, nel 2000 all'allora divenuto presidente Putin andò indicibilmente bene quando i prezzi del petrolio, iniziata la propria ascesa nella seconda metà del 1999, non presero respiro praticamente fino alla fine del suo secondo mandato. E di nuovo, ancor prima della metà dell'anno pre-elettorale 2011, i prezzi del petrolio si sono lanciati in alto e sono evidentemente intenzionati a non fermarsi a ciò che hanno già raggiunto una volta nel 2008. Cosicché, se si seguono le leggi della fortuna, I prezzi del petrolio hanno già scelto il prossimo presidente russo.

Nikolaj Vardul'

03.03.2011, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2011/023/06.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] L'arancione è il colore della rivolta ucraina del 2004 contro il presidente filo-russo Janukovič e per estensione di tutte le rivolte dell'ex URSS contro i capi filo-russi, il verde è il colore dell'Islam.

[2] Letteralmente “Vicino Oriente”.

[3] Oltre 19,7 miliardi di euro.

[4] Quasi 37 miliardi di euro.

[5] Letteralmente “sollevare sullo scudo”.


http://matteobloggato.blogspot.com/2011/03/putin-le-rivoluzioni-del-medio-oriente.html

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