Chi sono gli abreki [1]?
25.12.10•15:56
 
Da più di sei secoli  nella letteratura mondiale vive la leggenda del nobile brigante  Robin Hood e agli studiosi finora non è ancora riuscito stabilire  se Robin Hood sia esistito in realtà. “Robin un fiero brigante  era, visse egli, visse egli senza conoscer paura e allegre canzoni  amò” – scrisse  l'ignoto autore della “Ballata di Robin Hood”  della fine del XV secolo, presentando il proprio eroe. La maggior  parte dei ricercatori concorda sull'idea che Robin Hood sia un  simbolo letterario di eroe fiero e indipendente – il brigante, che  aiutava gli orfani e i diseredati. Ma per i ragazzini caucasici  idoli della lotta per la giustizia sono diventati delle persone  reali, che hanno costituito la gloria leggendaria del movimento di  liberazione del Caucaso.
Dopo il compimento della conquista del  Caucaso nel XIX secolo, le rivolte, scoppiando una dopo l'altra,  facevano venire la febbre alla società caucasica, la regione  periodicamente esplodeva e bruciava da Derbent [2]  all'Abcasia. Una delle forme di resistenza alla politica dello  zarismo diventò il movimento partigiano montanaro – quello degli  abreki. Gli abreki c'erano in ogni popolo caucasico,  ma i più noti erano il ceceno Zelimchan, il lezgino [3]  Kiri Buba, il georgiano Data Tutašchi,  l'inguscio Achmed Chučbarov.  Gli abreki erano guerrieri solitari, vendicatori, che,  disperando di ottenere giustizia, fuggivano sui monti e cominciavano  la propria guerra con un sistema estraneo.
Il destino dell'abrek  ceceno Chasuch [4]  Magomadov, ucciso da agenti del KGB nel marzo del 1976, è diventata  una delle più chiare e tragiche storie del movimento di resistenza.  Negli anni '30, quando l'enorme paese era coperto da un'ondata di  repressione, al potente stato totalitario dichiarò guerra il ceceno  Chasucha e per quarant'anni condusse una lotta impari in nome del  diritto di vivere liberamente sulla terra dei suoi avi. Era nato in  un piccolo paese di alta montagna del distretto di  Šatoj  [5] nel maggio del 1905 in una famiglia numerosa. I dieci  figli dei Magomadov crebbero, come in tutti i villaggi montani,  senza lussi: il vestito del maggiore passava al minore e così  finché non si consumava del tutto. Chasucha voleva istruirsi e lo  mandarono a studiare da un mullah, tuttavia di un'istruzione  ulteriore non si poteva neanche parlare, poiché la famiglia tirava  a campare a fatica. Sapendo l'arabo, il giovane cominciò a studiare  da solo il Corano e le basi della religione musulmana. A diciannove  anni mise su famiglia. Conosceva non male la lingua russa, perciò  la dirigenza locale non di rado lo invitò come traduttore. Così  Chasucha fu testimone di molti drammi umani.
Alla fine degli  anni '30 cominciò l'epoca del grande terrore, l'intellighenzia e il  clero furono sterminati senza pietà: furono fucilati i letterati  Baduev, Dudaev, Ajsachanov, Oziev, Šadiev.  Per tutte le torture dei carnefici staliniani passò Abdurachman  Avtorchanov, futuro politologo di fama mondiale. Ma Magomadov non  ebbe forza di cambiare il corso degli eventi. 1939 fu l'anno delle  sue vittorie e infelicità personali. Per mano sua muore un  compaesano, lontano parente di Magomadov. Da allora Chasucha divenne  nemico di sangue per i parenti del defunto, anche se questi prima  della morte aveva detto che dell'accaduto era colpevole egli stesso.  Il caso fu trasmesso a una corte shariatica. Chasucha fu  riconosciuto innocente. Lo perdonarono anche i parenti del morto, la  vendetta di sangue fu tolta. Ma i rappresentanti del potere  arrestarono Magomadov e lo portarono nella prigione di Groznyj.  L'incubo della breve reclusione in prigione spinge l'arrestato alla  fuga. In qualche modo Chasucha chiese a una delle guardie se si  potesse fuggire da questa prigione. Questi rispose che in cento anni  e passa da lì era riuscita a fuggire solo una persona – l'abrek  Zelimchan. Magomadov divenne il secondo evaso dalla prigione di  Groznyj. Si unì al reparto di insorti di Chasan Israilov, ex  corrispondente della “Krest'janskaja gazeta” [6],  condannato a 10 anni per “propaganda controrivoluzionaria”. In  una delle battaglie Israilov fu ucciso. Chasucha e i suoi compagni  organizzano una trappola e dodici persone restano a giacere sulla  strada di montagna. Il giorno seguente nella gola viene gettata  un'intera divisione, tuttavia senza risultati. Magomadov è  imprendibile.
All'inizio del 1944 nei villaggi della Cecenia  si acquartierarono, travestiti da soldati dell'Armata Rossa, gli  uomini dello NKVD [7]. E  dopo una settimana nei villaggi c'erano più soldati e cekisti [8]  che abitanti. Gli abitanti temporanei che vivevano nelle case dei  montanari si rivelarono reparti punitivi. 180 convogli, pieni zeppi  di montanari perduti, che non capivano niente, si portarono nelle  steppe del Kirghizistan e del Kazakistan. In questi giorni Magomadov  fu testimone di un crimine disumano nel paese di Chajbach [9],  dove nella stalla “Berija” (proprio così si chiamava la  costruzione colcosiana) furono bruciati vivi 705 abitanti dei  villaggi circostanti. Adesso al vendicatore non restava già più  nulla, il sangue degli uccisi lo invocherà fino alla fine della sua  vita. Essendo stato testimone di molti crimini compiuti dal primo  stato al mondo degli operai e dei contadini, si vendicò di questo  potere con tutti i mezzi possibili. Chasucha uccise a colpi d'arma  da fuoco i cekisti particolarmente zelanti, uccise a colpi d'arma da  fuoco anche gli sciacalli, che derubavano le proprietà abbandonate.  Ma non toccò mai donne, bambini e vecchi indifesi – questo era il  codice d'Onore. Se l'abrek  avesse raccontato tutto ciò che gli toccò sperimentare dal  giorno in cui si dette alla fuga, in questa confessione ci sarebbero  state abbastanza amarezza e tristezza per cento persone che  considerano tragico il proprio destino.
Bevuto l'amaro calice  fino al fondo, i ceceni dopo tredici pesanti anni torneranno in  patria. A Magomadov tolsero la patria per sempre. Con la famiglia  poté incontrarsi solo una volta ogni qualche mese e a volte anche  solo una volta l'anno. Passava la notte dove capitava: nelle grotte,  nel bosco, nella steppa. E sempre in guardia: dormiva esclusivamente  sulla schiena, ponendo una gamba sull'altra. Appena si addormentava,  la gamba destra scivolava ed egli apriva gli occhi. La terra umida e  le pietre fredde gli facevano da dimora fissa. Con il maltempo e il  gelo lo riscaldava il mantello di pelo, da cui Chasucha non si  separava mai. Questa era la vita di una persona fuori legge, che era  perseguitata di giorno in giorno, di anno in anno. Alla sua ricerca  si armavano intere spedizioni, che, impiantato un campo nel bosco,  per cinque-sei mesi passavano al pettine i dintorni. Gli inviavano  provocatori. Conducevano ispezioni dei luoghi con gli elicotteri.  Organizzavano trappole dove poteva essere stato ospitato. Esiliarono  dalla Cecenia intere famiglie sospettate di legami con lui ed egli  ancor più raramente prese a comparire nei villaggi, ma fra l'altro  si spostava liberamente sotto il naso dei nemici, gli scriveva  messaggi, perché non lo perseguitassero, se volevano vivere. E'  incredibile, ma gli riuscì stare per tre mesi in incognito  nell'Ospedale Centrale di Groznyj e curarsi. Uscendo dall'ospedale,  Chasucha lasciò un messaggio: “Grazie per le buone cure.  Chasucha”. Trovandosi in continuo pericolo, al confine tra la vita  e la morte, imparò ad essere più prudente di una bestia,  assomigliando al navigato lupo della leggenda cecena, che sta ritto  contro il crudele e spietato vento di uragano, che gli strappa la  pelle di dosso.
L'inverno 1975-1976 fu il più pesante per  Chasucha. Sembrava nevoso e freddo. Trovare cibo diventava ogni  giorno più difficile. E anche le malattie si facevano sentire. La  gente temeva punizioni da parte delle autorità ed evitava di  incontrare Chasucha. Questi capì che i suoi giorni erano contati.  Adesso aveva un solo sogno: morire da uomo ed essere sepolto com'è  stabilito per un fedele musulmano. Alla fine di marzo del 1976 mandò  un messaggio a suo fratello, perché venisse al cimitero e lo  seppellisse. Gravemente malato, passa qualche giorno là in attesa  della morte. Si scava la tomba da solo. Notato un vecchio armato,  alcuni scolari lo raccontano ai genitori e questi ne danno notizia  alla polizia. Saputo che lo hanno trovato, Chasucha decide di andare  in un altro cimitero. Ma qui lo circondano la polizia e i  compaesani. Chasucha sedeva sulla riva di un ruscello appoggiandosi  a un bastone, mormorava qualcosa. Dal collo pendeva un binocolo  legato a un cinturino, alla cintura ballonzolava un pugnale, da  sotto il mantello-tenda gettato sulle spalle sporgeva il fucile da  combattimento. Stavolta non c'era dove nascondersi e Chasucha lo  capiva. Un attivista del Komsomol [10]  gli gridava di arrendersi. Il vecchio non replicò. Aveva bisogno di  fare in tempo a scavarsi la tomba. Cominciava a fare buio. Gli  abitanti del posto, per la maggior parte semplicemente curiosi,  dettero fuoco a degli pneumatici e li gettarono giù, sperando di  vedere l'ultimo abrek. Nessuno si decideva ad avvicinarsi a  lui, anche se tutti sapevano che era gravemente malato e che era  venuto lì a morire. Di questo aveva avvertito i persecutori anche  lo stesso Chasucha. Non di meno, il giovane attivista gridò di  nuovo: “Sei circondato! Non ti lasceranno andare. Arrenditi,  Chasucha”. In risposta seguì uno sparo. Chasucha non avvertiva  due volte. Sajd-Selim, così si chiamava il ragazzo, fu ferito  mortalmente. Nell'oscurità era difficile distinguere qualcuno,  Chasucha sparò alla voce. Un agente di polizia che stava accanto al  ragazzo ferito sparò tutto il caricatore del fucile automatico. Per  tutta la notte gettarono giù pneumatici in fiamme. Per due giorni e  due notti nessuno si decise a scendere giù. Il terzo giorno le  autorità cercarono il fratello maggiore di Chasucha, gli dettero un  fucile automatico e, convinti che quello non avrebbe sparato al  fratello, lo costrinsero a scendere al cimitero. Chasucha era morto.  Una salva di proiettili di fucile automatico gli aveva crivellato la  testa. La morte era giunta all'istante. Questi giaceva non lontano  da un piccolo bastone biforcuto piantato in terra. Chasucha già non  poteva più tener saldo il fucile e per sparare senza fare cilecca  usava questo bastone biforcuto.
Con un senso di dovere  compiuto e di vittoria ottenuta, gli agenti del KGB portarono il  cadavere di Chasucha a Groznyj. Lo fotografarono con le armi e senza  e lo pesarono. Pesava trentasei chilogrammi. E aveva 71 anni. E per  Mosca in piazza Lubjanskaja [11]  partì un dispaccio rapido, che diceva che l'ultimo abrek del  paese era stato eliminato. Le autorità si rifiutarono di restituire  il suo corpo, ai parenti toccò riscattare il cadavere con denaro.  Il fenomeno degli abreki era diventato una sorta di reazione  nazionale di difesa dei montanari caucasici contro gli abusi delle  autorità, contro l'oppressione nazionale e sociale.
Tuttavia, se  sotto il potere zarista attorno ad essi si conservava ancora l'aura  di nobili vendicatori, i comunisti fecero tutto il possibile per  fissare sugli abreki l'immagine di “banditi” e “nemici  del potere sovietico” Comunque, gli abreki innaffiarono  generosamente del proprio sangue la terra del Caucaso, preferendo  morire lottando contro il sistema, ma non inginocchiarsi. Forse, se  il potere in Russia fosse stato più elastico e saggio, avrebbe  potuto volgere questo incredibile amore dei montanari per la  libertà, l'eroismo, il coraggio e l'impavidità anche a proprio  vantaggio. Ma alla luce dei fatti odierni che avvengono nel Caucaso,  si può constatare che l'unica lezione che la Russia ha tratto dalla  propria storia consiste nel fatto che non ha ancora imparato a  trarre alcuna lezione dalla storia.   
 
Roza Mal'sagova, “Ingushetia.Org”, http://www.ingushetia.org/ru/news/line/Kto-takie-abreki/ (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
 
[1] Il corsivo, qui e altrove, è mio.
[2] Città del Daghestan sulla costa del mar Caspio.
[3] Appartenente al popolo caucasico autoctono dei Lezgini.
[4] La forma corretta è Chasucha, usata in seguito.
[5] Villaggio della Cecenia meridionale.
[6] “Giornale contadino”.
[7] Narodnyj Komissariat Vnutrennich Del (Commissariato del Popolo degli Affari Interni), la polizia politica staliniana.
[8] Agenti della ČK, – nello spelling russo Čè-ka – (Črezvyčajnaja Komissija po bor'be s kontrrevoljucej i sabotažem, “Commissione Straordinaria per la lotta alla controrivoluzione e al sabotaggio”, la prima polizia politica sovietica), per estensione “agenti segreti”.
[9] Villaggio della Cecenia meridionale.
[10] KOMmunističeskij SOjuz MOLodëži (Unione della Gioventù Comunista), l'organizzazione giovanile comunista ufficiale.
[11] Più nota con il nome colloquiale di Lubjanka, sede del KGB.
http://matteobloggato.blogspot.com/2010/12/lultimo-robin-hood-caucasico.html

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