Il 5 settembre c.a. il tribunale del quartiere Sovetskij [3] della città di Tomsk ha soddisfatto la richiesta del querelante – l’imprenditore Igor’ Skorobogatov [4], riconoscendo sua proprietà il sotterraneo del condominio al n. 44 del viale Lenin. Il secondo punto della sentenza impone al fruitore del sotterraneo di liberare gli spazi occupati. Ma questi sono occupati già da sedici anni dal Museo in memoria delle repressioni politiche. Questo è come uno sfratto della storia, che non ha più dove andare – è troppo terribile perché nel nostro tempo glamour sia accolta da qualche parte. Non ci sono più musei del genere in Russia Il Museo “Carcere preventivo dell’NKVD [5]” è stato istituito nel 1989 su iniziativa dell’associazione “Memorial” [6] di Tomsk e per ordine del responsabile del dipartimento per la cultura del Comitato esecutivo regionale come filiale del museo etnografico regionale. Quattro anni dopo sulla base di una delibera del consiglio comunale fu fornita al museo la parte sotterranea dell’edificio, dove dal 1923 al 1944 si trovava il carcere interno della sezione cittadina dell’OGPU [7], che nel 1934 entrò a far parte del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD). Sotto l’insegna con questa abbreviazione gli arrestati scendevano nel sotterraneo, di regola senza tornarvi. Nel corso di un solo anno, dal ’37 al ‘38, da qui furono inviate sul monte Kaštačnaja (ai margini della città), dove si eseguivano le condanne a morte, circa 11000 persone. Nel complesso negli anni del terrore, gli anni ‘20-‘50, secondo gli storici di Tomsk, su di esso sono state fucilate “molte decine di migliaia” di rappresentanti di tutti gli strati sociali e di tutte le condizioni di vita. In particolare hanno sofferto i contadini, il clero e la nobiltà deportati nella regione di Tomsk (a quel tempo distretto di Narym [8]). I “trasferiti speciali”, distribuiti nei suoi lager, ammontavano, secondo i dati della sezione di “Memorial” di Tomsk, a mezzo milione di persone. Ne è sopravvissuta appena la metà… Non ci sono più musei del genere nel nostro paese. Nel villaggio di Jagodnoe nella regione di Magadan [9] il giornalista Ivan Panikarov ha creato nella propria casa il museo del Gulag della Kolyma [10], raccogliendo centinaia di reperti – attrezzi da lavoro, oggetti di uso comune nel lager, migliaia di fotografie, disegni di prigionieri, lettere inviate alle loro case, originali di procedimenti penali… Ma Jagodnoe è un posto lontano dal centro della regione, che a sua volta è lontana dal resto della Russia. Ma il “Carcere preventivo…” è nella via principale di una grande città siberiana (il viale Lenin), sulla strada per il municipio. Qui tutto è simbolico, incluso il fatto che nei tempi più recenti il viale è rimasto fedele al proprio nome. In questa via non ci sono nuove costruzioni, che coprirebbero la vista in lontananza (anche storica), peraltro appaiono subito cinque scuole superiori, ci sono giovani visi intelligenti. E all’improvviso – il carcere dell’NKVD. Prego, entrate in prigione, la porta è aperta ogni giorno dalle 9 alle 18. La ripida scalinata è un’immersione nel grande terrore di stato. All’ingresso nel sotterraneo c’è un cekista [11] con pantaloni neri a sbuffo e cinturone. Per fortuna è un manichino, tuttavia la mano istintivamente fruga in tasca – per cercare il passaporto [12]. Questo museo si distingue dagli altri per il fatto che in esso si conservano non solo i segni del tempo, i suoi dettagli culturali e di vita quotidiana, ma, pare, anche il tempo stesso – a grandezza naturale. Un reality-show del genere. Le cifre non penetrano la coscienza, tanto più quella delle masse – se anche si fermano nel cervello, decadono come detriti, come pure le parole “repressioni”, “terrore”, consumate dall’uso frequente. Nel nostro paese – troppo frequente. Ma è necessario che al visitatore corrano i brividi per la schiena. Negli anni ’37-‘38 da questo corridoio grigio scuro c’era una sola uscita. Sulla superficie di mattoni nudi c’è una scultura – una schiena e una nuca: l’ultima strada. Qui, dice il direttore del museo Vasilij Chanevič, durante i lavori di ristrutturazione di due anni fa fu trovato un passaggio sotterraneo, che univa il carcere preventivo alla direzione dell’NKVD. Gli operai hanno trovato dei bossoli. In precedenze, a quanto testimoniano gli etnografi, qui furono trovati anche dei resti umani. E’ sorto il sospetto che le fucilazioni venissero eseguite anche qui, nel sotterraneo – forse per economizzare le forze e le risorse. Nello stesso ‘37, quando i piani per la liquidazione degli “elementi ostili” furono bruscamente accelerati, all’NKVD avrebbero potuto sorgere problemi di mezzi per il trasporto di persone sul monte Kaštačnaja. Un carico particolarmente gravoso cadde sui poveri inquirenti, questi sgobbavano senza dormire – ogni notti bisognava preparare 10-12 procedimenti per la “misura estrema” [13]. Negli anni ‘60 intendevano porre in questo posto la “tabella d’onore” [14] cittadina, ma a causa dei resti ritrovati ci ripensarono. Negli anni ‘80 decisero di erigervi un monumento al famoso bolscevico siberiano Nikolaj Jakovlev (nel 1918 fu presidente del CIK [15] della Siberia sovietica). Il Comitato esecutivo cancellò questa decisione nel 1989, deliberando di creare il Museo delle repressioni politiche: in quell’anno sopra l’entrata nel sotterraneo fu posta la “Pietra del dolore” e tre anni dopo il monumento alle vittime del terrore bolscevico nella terra di Tomsk. …Lungo il corridoio ci sono cinque celle. Chanevič apre una di esse. I dettagli della vita quotidiana in cella, racconta, sono stati ricreati con esasperata precisione sulla base dei ricordi degli ex reclusi. Alcuni sono tornati vivi da qui. Tra quelli a cui è andata bene, alcune persone sono arrivate a vivere fino all’apertura del museo (Valentina Mutina, Georgij Uspenskij, i fratelli Franc e Pëtr Romančuk). Questi sono divenuti anche i principali esperti. In particolare hanno indicato, che come bugliolo nelle celle si utilizzava una botticella e non un secchio. Una per 20 persone. Tanto era affollato là nel pieno del grande Terrore. Nelle celle c’erano tre brande. Su di esse ci si può sedere. Ma non si riesce a immaginare come trovasse posto tanta gente qui. …A Tomsk sono giunto da Omsk [16] in un vagone cuccetta pieno come un uovo. Là per ogni posto c’erano sei persone. Per non soffocare ho passato la notte nel passaggio tra i vagoni. Se nel vagone ci fosse stata anche quella botticella… Il viaggio da Omsk a Tomsk dura 16 ore. Gli arrestati del ’37 attendevano in cella il verdetto per 2-3 settimane. Dormivano su nude assi, coperte con le giubbe. Sono passati per queste brande i principi Golicyn (tenente, prima dell’arresto recitava nel teatro drammatico di Tomsk), Urusov (pure attore, in verità dilettante, nel teatro del kolchoz), Volkonskij, Volkonskaja, Dolgorukov, Širinskij-Šichmatov – gli ultimi quattro ci passarono per il caso dell’“Unione per la salvezza della Russia” “dei cadetti [17] e dei monarchici, che preparava un colpo di stato”. Senzatetto in eterno Come capo di questa organizzazione inventata dall’NKVD (per aver preso parte alla quale furono fucilate migliaia di persone) i cekisti “designarono” Nikolaj Kljuev, che la Achmatova definì “un poeta molto significativo” e Brodskij “un grande”, che contava tra i propri maestri. Kljuev fu arrestato nel ‘34 come autore del “poema da kulak” Pogorel’ščina [18] e deportato nel villaggio di Kolpaševo nel distretto di Narym, da cui per l’intervento di uno sconosciuto (ci sono varie versioni – Gor’kij, il poeta Klyčkov [19], l’Unione degli Scrittori e perfino lo stesso Jagoda [20]) alla fine dello stesso anno fu trasferito a Tomsk, dove non gli fu più facile sopravvivere. Da una lettera agli amici: “…il freddo è sotto i 40 gradi sotto zero. Sono senza stivali imbottiti e nei giorni di mercato mi riesce più di rado di andare a chiedere l’elemosina. Danno patate, molto di rado pane… Sono in arrivo geli fino a 60 gradi sotto zero, temo che morirò per strada. Ah, se fossi al caldo vicino alla stufa!” Nel ‘36 c’è un nuovo arresto e il poeta già paralizzato viene posto nel carcere preventivo. Nel protocollo dell’interrogatorio sono indicati erroneamente il suo anno di nascita e quello del primo arresto (invece del 1934 il 1930). L’inquirente Torbenko aveva fretta. Kljuev non si riconobbe colpevole e firmò il protocollo. Lev Pičurin, professore di matematica, primo presidente della sezione regionale di “Memorial”, ha dato da esaminare la firma ai criminologi. La conclusione del primo inquirente dell’UVD [21], il maggiore Golyšev: “colui che ha firmato si trovava in difficili condizioni psicofisiche”. Su delibera della “troica” dell’NKVD fu condannato alla fucilazione nell’ottobre del ‘37. Da una lettera a Sergej Klyčkov: “Sono stato bruciato sulla mia “Pogorel’ščina” come il mio avo, il protopope Avvakum [22] sul rogo di Pustozërsk [23]… il mio sangue lega due epoche”. La casa in cui il poeta visse a Tomsk è stata demolita due anni fa. Non con cattive intenzioni, dice il co-presidente di “Memorial” Boris Trenin, piuttosto per incomprensione. Era una vecchia costruzione di legno, in essa vivevano due famiglie, bisognava sistemarle. Si capisce, lo stesso comune non poteva farlo – da dove poteva prendere i mezzi per dare un’abitazione a dei semplici cittadini? Lo schema è tradizionale: la municipalità ha venduto la terra sotto la casa all’impresa costruttrice, questa ha comprato degli appartamenti ai residenti nell’edifico demolito. E la società ha taciuto, in quanto non sapeva della demolizione – le informazioni su di essa le sono giunte a cose fatte. Neanche il comune sapeva cosa dava il permesso di fare: la casa non era nel registro dei monumenti storici. Eppure Kljuev è onorato a Tomsk – una delle vie porta il suo nome, su di lui è stato girato un documentario e su questa casa negli anni ’90 fu posta una targa in memoria. Ben presto, a dire il vero, l’hanno svitata i “metalmeccanici” locali – l’hanno data a un punto di raccolta di metallo lucido, dove è stata trovata in tempo e adesso è conservata nel museo “Carcere preventivo dell’NKVD”. Contesa con la storia Nella sentenza del tribunale sullo sfratto del museo, secondo Boris Trenin, non ci sono risvolti politici. E’ stata emessa secondo il codice sulle abitazioni, secondo cui i “i luoghi di uso comune” (sotterranei, tetti, scale, mansarde) devono appartenere ai proprietari delle abitazioni. L’imprenditore Igor’ Skorobogatov possiede due piani, posti sopra l’ex carcere e la maggior parte dei metri quadrati (568 su 812). Di abitazioni vere e proprie qui è rimasto poco – due appartamenti in tutto. Le restanti abitazioni, acquistate dall’imprenditore negli anni 2003-2005, vengono ristrutturate da questi come spazi commerciali e uffici. Non di meno ha fatto causa in qualità di presidente del TSŽ [24]. Chi ne faccia parte, a parte il querelante, non sono riuscito a chiarire. Come mi hanno detto i residenti in uno degli appartamenti (il loro cognome è Bel’skij), non sono entrati a far parte di alcuna compagnie. “E i vostri vicini?” – “E’ improbabile”. Non sono riusciti a trovar loro un’altra casa. Così come incontrarsi con Igor’ Skorobogatov: questi è un uomo influente in città, molto occupato. Tra l’altro, sapeva dell’arrivo del corrispondente della “Novaja gazeta”. Il giorno prima glielo ha comunicato Boris Trenin e l’uomo d’affari gli ha trasmesso la sua opinione sulla situazione del museo “Carcere preventivo…” da dare al giornale: è necessario che tutte le parti interessate – il museo, “Memorial”, l’amministrazione cittadina ed egli stesso, come presidente del TSŽ – si siedano al tavolo delle trattative per prendere una decisione che permetta, da una parte di mantenere il museo, dall’altra di salvaguardare gli interessi dei proprietari, a nome dei quali è stato fatto causa. Cioè, a dirla esattamente, i suoi interessi, quelli di Igor’ Skorobogatov. Ma capire in cosa precisamente consistano, a leggere le sue dichiarazioni, pubblicate dai giornali di Tomsk, non è facile. Da tutto ciò che ha detto emerge l’immagine di un uomo contraddittorio. Altrettanto contraddittorie appaiono in queste pagine le autorità cittadine. Da una parte, grazie ad esse il museo 3 anni fa fu ristrutturato completamente. Alla vigilia del quadricentenario di Tomsk il municipio propose agli uomini d’affari locali di investire nel centro storico: riportare i vecchi edifici in uno stato accettabile, ottenendo in cambio il diritto a una loro parziale privatizzazione. Skorobogatov (la sua azienda “Noks”) sistemò tetti di abitazioni che si trovavano in stato pericolante, trasformò antiche vie di comunicazione, e riscattò gradualmente la maggior parte degli appartamenti dove negli anni ‘40-‘50 avevano vissuto le famiglie degli ufficiali dell’NKVD e a partire dagli anni ‘60 gli insegnanti delle scuole superiori di Tomsk. Fu ristrutturato anche il sotterraneo. “Ci siamo liberati dei tubi temporanei, – dice il direttore del museo Vasilij Chanevič, – da noi sono comparse nuove finestre, un uscita su una piazzetta, adesso possiamo accogliere senza vergogna qualsiasi comitiva o delegazione”. Il pagamento di queste buone azioni è consistito nel fatto che il museo ha perso un terzo dei propri spazi, dove poteva esporre molti reperti: sono andati a Skorobogatov 100 metri quadrati, in cui questi ha aperto un internet-caffè e adesso pretende i restanti 200. Ma nel frattempo dichiara, in particolare al canale televisivo ТV-2 [25], che è ben conscio di “cos’è questo museo per la città e per la Russia” e che in nessun caso intende sfrattarlo. Ma il verdetto del tribunale, emesso su sua istanza, prescrive alla “filiale del museo etnografico di Tomsk” (tale è lo status del “Carcere preventivo…”) di liberare il posto occupato. A cosa serviva all’imprenditore, se non intende venderlo, trarne un guadagno? Perché ha tirato avanti una contesa giudiziaria così rumorosa (il clamore suscitato da essa a Tomsk difficilmente andrà a vantaggio dell’azienda)? Una risposta più o meno chiara a questa domanda Igor’ Skorobogatov l’ha data al giornale “Severnaja storona” [26]: aveva bisogno di diventare proprietario di tutto il sotterraneo per avere continuo accesso alle vie di comunicazione. “Di quali comunicazioni si parla? – si stupisce Vasilij Chanevič. – Qui non ce ne sono, sono state tutte eliminate durante la ristrutturazione globale”, cosa di cui mi sono potuto convincere da solo: l’unica cosa che unisce il museo ai piani superiori è il tubo del riscaldamento, esso unisce il sotterraneo al summenzionato appartamento dei Bel’skie [27], dove Skorobogatov non è considerato un compagno, ma, al contrario, sono sconcertati dal suo operato. La ristrutturazione da lui condotta giunse sulla soglia di questo appartamento e senza troppe cerimonie entrò in esso. “Guardate cos’hanno combinato”, la docente di economia politica Galina Vladimirovna mi mostra la cucina: sui muri e sul soffitto ci sono macchie di stucco asportato. Nell’ingresso ci sono fori fatti dagli operai dal lato dell’ingresso condominiale, dove non ci sono sostegni sotto la trave di supporto. Qui i residenti vanno alla spera in Dio – il soffitto potrebbe crollare in qualsiasi momento. Per quanto strano, il Codice per le abitazioni permette a un imprenditore che ha comprato la maggior parte degli appartamenti di un condominio di nominare se stesso presidente del TSŽ da lui stesso creato. Manterrà questo status anche dopo la trasformazione di essi in locali non di abitazione. La questione è: quando è stato creato questo TSŽ – prima o dopo? Skorobogatov è divenuto proprietario degli appartamenti ancora prima della promulgazione del Codice per le abitazioni. Da qui sorgono i dubbi sulla legittimità della sua istanza. Tanto più che il sotterraneo fu dato in usufrutto gratuito al museo da parte del dipartimento immobiliare nel ‘98. “E ciò significa che nessuno ha diritto di avanzare pretese su questo spazio”, – mi hanno detto concordi al comitato regionale per i diritti umani. A dire il vero, non quello di Tomsk, ma di Omsk. Boris Trenin si è espresso con durezza sui locali difensori dei diritti umani: “Sono buoni solo a fare manifestazioni, ma di portare avanti una causa civile seria non sono in grado o non vogliono: tutto il loro operato è indirizzato a far rumore attorno a se”. Non avendo la possibilità di assumere avvocati costosi, la sezione di “Memorial” di Tomsk è rimasta sola con giuristi esperti del mondo degli affari ed è stata sconfitta. Tra l’altro nelle tappe successive di questa contesa giudiziaria (contro il verdetto del tribunale provinciale è già stato fatto ricorso in quello regionale) quelli di Tomsk potranno contare sulla partecipazione di quelli di Omsk – il presidente della KPČ [28] Valentin Kuchencov ha espresso solidarietà a quelli di “Memorial” e si è detto pronto ad appoggiarli nella lotta per un giusto processo. Ma le autorità di Tomsk e della regione in questa vicenda hanno mantenuto un atteggiamento neutrale – finché i mass media non hanno fatto rumore per il verdetto ai danni del “Carcere preventivo…”. I mass media in questa città significano molto. Da Omsk, dove non significano praticamente niente, giungi qui come in un altro paese: colpisce il coraggio dei giornali e della televisione locale. E la sezione di “Memorial” di qui è una delle più forti del paese. Nella regione ci sono decine di monumenti alle vittime delle repressioni. Di recente sul tristemente noto monte Kaštačnaja è stata posta una croce in loro omaggio e quest’anno è stato eretto un monumento sulla fossa comune. Ma per ottenere una nuova sepoltura per i resti in essa contenuti ci sono voluti molti anni. Con tutta la loro democraticità le autorità di Tomsk restano autorità e il loro atteggiamento al riguardo è cauto. Il capo del dipartimento regionale della Cultura Andrej Kuzničkin ha espresso preoccupazione per la sorte del “Carcere preventivo…” e ha detto che “ha fatto rapporto sulla situazione al governatore e che “nella soluzione della questione saranno coinvolti i giuristi della regione”. Quest’anno il museo ha compiuto 15 anni. Il capo della regione Viktor Kress la guida da ancora più tempo. Tuttavia in tutti questi anni di governo non ha visitato il museo una sola volta. “Certi bei volti…” Peraltro nel primo anno dalla sua creazione ci fu Aleksandr Solženicyn, che lasciò nel libro dei commenti questo appunto: “Mi rallegro della vostra impresa – la ricostruzione dei terribili dettagli del passato comunista”. Nikita Struve, professore di letteratura all’università di Parigi, direttore della nota casa editrice YMKA-PRESS [28], ha scritto così: “Sono sconvolto da questo museo. Questa memoria di una strage senza paragoni è necessaria a tutte le generazioni, perché non si ripetano catastrofi antropologiche не повторял...» Di appunti del genere, che cominciano con lo “sconvolgimento”, me ne sono capitati sotto gli occhi a decine. Ma io ho sfogliato solo un libro su quattro. Vasilij Chanevič ammette di non aver contato gli appunti. In media in un mese 1500 persone visitano il museo, la maggior parte sono alunni delle scuole elementari e studenti. – E cosa li sconvolge? – domando. – Ma tutto, – dice Vasilij Antonovič, – sanno proprio poco di questo. Nelle scuole e anche negli istituti superiori questa storia viene affrontata superficialmente, di sfuggita. E neanche noi sappiamo tutto, sebbene ci occupiamo di questo da tanti anni. Come prima questo tema è sconosciuto a molti. Non sappiamo i nomi delle persone fucilate, per non parlare dei nomi dei carnefici. La storia della resistenza al regime è ancora proibita. Negli archivi non si può accedere ad essa. Ci furono scioperi della fame e rivolte, ma questo materiale è segreto. – In particolare, a quanto osservo, i giovani sono impressionati da quante persone capitarono qui, – dice Boris Trenin, – ecclesiastici, letterati, studiosi, professori degli istituti superiori dove studiano. E queste persone innocenti, tra cui anche molte eccellenti, furono calate qui sotto l’ingresso al sotterraneo. Proprio questo causa uno shock ai giovani. L’arcivescovo di Rjazan’ [30] Iuvenalij, il geologo Rostislav Il’in (che all’inizio degli anni ‘30 previde che in Siberia sarebbe stato trovato il petrolio), il linguista Gustav Špet, libero docente della MGU [31], che parlava fluentemente 19 lingue, il giurista e letterato Gerbert Zukkau, traduttore del “Soldato Švejk”, il professore di balistica Miron Globus (passò di qui con Tuchačevskij [32] per lo stesso motivo)… Sui volti di queste persone numerate c’è la dignità del dolore e del destino fatale, su alcuni c’è uno stupore infantile. Volti come quelli che si vedono in questi stand, non li ho praticamente mai visti in vita mia. Un’impronta di nobiltà non cancellata da alcunché, da alcuna circostanza della vita. Nelle successive generazioni sovietiche volti del genere, probabilmente, non potevano già più esserci. Mi sembra che appaiano adesso. Li ho visti a Tomsk, in questo museo, tra i suoi visitatori. Con me è passato un gruppo di studenti, condotti là dall’insegnante Elena Vil’gel’movna Klassen. Questa ha deciso che era necessario che fossero qui, sebbene la storia non sia la sua materia, insegna inglese. – Una cosa del genere non ci sarà nel nostro paese, – hanno detto Nadežda Černyš e Evgenij Kim di Seversk [33]. – E perché la pensate così? – Non lo permetteremo. Il nostro paese è ancora enorme. Si estende in lontananza – da destra a sinistra e da sinistra a destra. E non è affatto obbligatorio tenere il conto delle verste [34] di distanza da Mosca, dalle mura del Cremlino. Può cominciare da qui – dall’ultima stazione, da un binario morto. Da un carcere-museo, l’unico del paese. Che non ci sarà, se un uomo d’affari locale riuscirà a trasformare questo antimiracolo del mondo, per esempio in un magazzino. Come – in tempi ancora recenti! – fu fatto con migliaia di chiese. Georgij Borodjanskij nostro corrispondente, Omsk 16.10.2008, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/gulag09/02.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni) |