«LE STRUTTURE ARMATE[1] PROCEDONO SECONDO IL SOLITO SCENARIO: IN CITTÀ SONO ENTRATI TANTI MILITANTI, QUANTI NE SONO STATI UCCISI O CATTURATI»
Nel primo mattino del 13 ottobre nella città di Nal’čik, capitale della repubblica di Cabardia e Balcaria[2] è stato compiuto un attacco da parte di banditi[3]. Bersaglio dell’attacco sono state le forze armate — il ministero degli Interni, l’FSB[4], il ministero della Giustizia. Negli edifici della terza sezione dell’OVD[5] e del GUIN[6] e del negozio «Suveniry[7]» i terroristi hanno preso degli ostaggi. I comandi delle strutture armate[8] si sono sforzate di rendere la reazione all’attacco più spettacolare (di questo poi) di quanto fosse.
La notte prima del giorno della vittoria[9] era stata particolarmente calma. I soldati a contratto[10], che stavano su un BTR[11] non lontano dai «Suveniry», erano stati disturbati solo da un cecchino che si trovava nel negozio. Tra l’altro il cecchino non aveva neanche disturbato gli abitanti delle case le cui finestre danno sulla piazza[12]. Non avevano neanche spento la luce alle finestre.
Raramente sparavano i militanti che si erano impossessati dell’edificio del terzo OVD[13]. Dai due piani superiori le persone riuscivano a fuggire e al primo si sentivo un certo tramestio. All’interno c’erano otto terroristi e sette ostaggi. L’intero quartiere di Iskož viene circondato. Nelle vie giacciono i corpi dei militanti. Molti di loro sono molto giovani — sembrano avere sui diciassette anni. Un ufficiale della direzione «Т» (per la lotta con il terrorismo) esamina i cadaveri:
— Sono proprio bambini. E chi se l’aspettava?
Al mattino il ministro degli Interni della repubblica di Cabardia e Balcaria, il generale di divisione[14] Chačim Šogenov è riuscito a convincere i terroristi a rilasciare tre ostaggi tenuti nell’edificio del terzo OVD. Ai terroristi è stato dato in cambio un «Gazel’[15]», nel quale si sono nascosti. Ed ecco che subito è avvenuto un prodigio: il «Gazel’» è stato raggiunto, perché si era messo in fila all’incrocio più vicino. Gli ostaggi, è chiaro, sono stati liberati, i terroristi, si dice, sono stati uccisi. Alla domanda “Come spiegare un così sorprendente corso degli eventi?”, Šogenov risponde che l’operazione col «Gazel’» era stata programmata nei dettagli:
— Ci sono specialisti per questo. Tutto è avvenuto grazie alla precisa collaborazione di diversi servizi.
Lo stesso generale, pare, è un po’ sorpreso, riesce a nasconderlo con difficoltà.
L’operazione per la liberazione delle donne tenute in ostaggio nel negozio «Suveniry» in piazza Marija è terminata verso le dieci di mattina del 14 ottobre. Gli stessi terroristi hanno rilasciato le donne, dopo di che sono stati eliminati[16].
Nelle vie intorno alla piazza ancora non fanno passare i mezzi a motore, ma si può già andare a piedi. In via Nogmov giacciono cadaveri di banditi. I soldati fanno loro la guardia. Non sono i terroristi che erano nel negozio. Questi sono stati uccisi già duranti gli scontri della sera prima. Inizialmente non li hanno portati via perché temevano che i corpi fossero minati[17]. Quando gli artificieri hanno controllato tutto, alcuni cadaveri sono stati lasciati sul terreno perché fossero visti. Il paese intero, perfino il mondo intero devono vedere che abbiamo imparato a lottare col terrorismo.
Era stato pianificato di liberare la città dagli occupanti il 14 ottobre verso le due di pomeriggio. Perlomeno, proprio a quest’ora era stata fissata una conferenza stampa dedicata al felice esito dell’operazione. Tuttavia la liberazione dell’edificio del GUIN si era trascinata un po’ troppo a lungo, perciò la riunione per il resoconto era stata spostata alle cinque.
In quei minuti, mentre i ministri si preparavano a comparire davanti alla stampa, presso la terza sezione dell’OVD uno stanco ufficiale si faceva largo tra la folla là raccoltasi, cercando i propri soldati:
— Majkop, Astrachan’[18], siete qui? Majkop, Astrachan’, siete qui?
— Siamo qui, — hanno risposto alla fine.
— Preparate le liste dei morti con le iniziali[19].
Già al mattino del 14 l’ufficio stampa del ministero degli Interni si era trasformato in un comitato addetto ai preparativi di una festa. Il primo canale, senza tener conto del fatto che l’operazione per la liberazione della città non si era ancora conclusa, già ordinava gli ingredienti per il reportage di congratulazioni. L’addetto stampa del ministero degli Interni della repubblica di Cabardia e Balcaria Marina Kjasova grida per telefono ai propri sottoposti:
— Quanti siete là? E allora, tutti insieme non ce la fate? Fai come vuoi, ma che ci siano le immagini quando l’esercito se ne andrà. Riprendi i terroristi messi in fila, mi senti? Che stiano stesi in fila. E bisogna far alzare gli elicotteri. Hanno chiesto gli elicotteri.
Nelle «Vesti[20]» locali cabardine dal mattino vanno in onda reportage sulla liberazione della città. Il corrispondente comunica in tono solenne:
— Tutti gli ostaggi sono stati liberati. I parenti piangono di gioia, vedendo che è passato il pericolo per i loro cari.
In primo piano si mostrano volti infantili felici. Ma una donna, che piange su una pozzanghera di sangue in via Nogmov, per qualche motivo non viene mostrata. Come non mostrano un ragazzo giovanissimo con il forellino fattogli da una pallottola sopra il sopracciglio sinistro. E neanche sua madre, proveniente da una cittadina siberiana, sarà mai mostrata.
La notizia che già il 9 la polizia sapeva che si stava preparando l’attacco a Nal’čik si diffonde rapidamente per la città. La gente non si capacita: com’è possibile? Sapevano dell’attacco e hanno mobilitato l’esercito solo quando è già avvenuto? Bisogna salvare la situazione e il viceministro degli Interni Andrei Novikov prende in mano la faccenda. Dichiara che il 10 i suoi sottoposti avevano cominciato a controllare indirizzi sospetti. L’attenzione da parte della polizia ha fatto infuriare i terroristi e questi hanno attaccato la città.
Novikov spiega perché sono state le strutture armate a subire l’attacco e non, per esempio, le scuole. Non c’è nulla da nascondere, i militanti avevano questa possibilità. E’ evidente che i banditi hanno scelto le strutture armate come vittime perché avevano capito che da queste veniva una minaccia non trascurabile al terrorismo in generale. I delinquenti hanno attaccato i tutori dell’ordine, e questi, pagando con una trentina di vite, hanno dimostrato che la legalità russa muore, ma non si arrende. Ragionando con la logica di Novikov, si può supporre che per i terroristi più pericolosi dei poliziotti cabardini possano essere solo i bambini di Beslan.
Gli agenti della polizia locale di rango inferiore a Novikov parlano altrimenti, rifiutando di addentrarsi nelle finezze mentali dei funzionari moscoviti. Alla domanda “Perché non avete schiacciato sul nascere l’attacco che veniva preparato?”, rispondono:
— Speravamo che sarebbe andata bene, che ce la saremmo cavata.
Si può perfino pensare: se i terroristi fossero stati eliminati di nascosto, utilizzando i dati ottenuti con lo spionaggio e le informazioni operative, l’operazione di Nal’čik non sarebbe riuscita così pittoresca e convincente. C’era bisogno di qualcosa di intrigante. Forse per questo gli agenti del GAI[21], che erano stati inviati a Nal’čik già il 10 dalle regioni e dalle repubbliche circostanti non sapevano di alcun attacco. Anton, agente del GAI di Volgograd[22], racconta:
— Nel mio documento di invio nella riga «scopo della trasferta» c’era scritto: «Appoggio a reparti con compiti analoghi». Come possiamo appoggiare noi? Noi siamo il GAI. Noi garantiamo il rispetto delle norme della circolazione[23]. Come facevamo a sapere che da Belaja Rečka[24] sarebbero entrati in città dei militanti?
Šogenov, ministro di Cabardia e Balcaria, così come altre alte personalità, riconosce assai malvolentieri: sì, i terroristi, che hanno attaccato la città, non sono venuti da lontano. Non avevano bisogno di sobbalzare su camion per vie polverose né di aggirare posti di blocco. Erano sempre stati qui — a Nal’čik, a Chasan’ja, a Čegem[25]. Erano persone di diversi gruppi etnici[26] — balcari, cabardini, ceceni — vivevano tra la pacifica popolazione[27]. Non erano semplicemente delle persone anormali, a cui all’improvviso è saltato in testa di sparare per la strada. Era una struttura ben organizzata, che, a dire il vero, è stata assai più efficace della polizia di Cabardia e Balcaria. E’ chiaro perché adesso Šogenov non vuole concentrarsi su questo aspetto. Se si chiarisse che i banditi vivono tra la pacifica popolazione, la storia della piccola guerra vittoriosa coi terroristi in Cabardia e Balcaria non risulterebbe tanto bella. Possono apparire dubbie le dichiarazioni secondo cui tutti i terroristi sarebbero stati uccisi o catturati. Come fanno i militari a distinguere i civili dai terroristi disseminati per la città? Non portano neanche le tute mimetiche. Ma le strutture armate procedono secondo lo scenario standard: in città sono giunti esattamente tanti militanti quanti ne sono stati uccisi o catturati. Neanche uno in più.
Il tassista Ruslan, che nella notte dopo la vittoria era l’unico al lavoro, dopo pochi minuti ha sbugiardato le conclusioni delle autorità militari, secondo cui erano riusciti a eliminare tutti i terroristi. A sera l’avevano chiamato a Chasan’ja — un villaggio vicino a Nal’čik. Per strada Ruslan aveva deciso di caricare un passeggero — un ragazzino, che non si distingueva in nulla dagli altri ragazzini della Cabardia. Un minuto dopo Ruslan era venuto a sapere che il ragazzo era un wahhabita[28] e che aveva una pistola nascosta. Aveva bisogno del taxi per evitare i posti di blocco all’uscita da Nal’čik. I tassisti non vengono particolarmente controllati.
Ruslan ha colpito il proprio passeggero per primo. Per tali evenienze porta con se un grosso coltello da cacciatore. Non l’ha ucciso, ma l’ha sopraffatto. Subito dopo ha chiamato la polizia, perché inserissero nelle liste degli arrestati un altro terrorista, che era riuscito uscire dal cordone di polizia.
Nei boschi attorno al villaggio di Belaja Rečka ci sono tanti quei wahhabiti che i cercatori di funghi più accaniti già li salutano. All’ingresso del villaggio ci sono in tutto due poliziotti. Danno un’occhiata alla macchina per formalità e fanno un cenno con la mano — andate pure. Qui Ruslan d’un tratto dice:
— Eppure potevamo essere terroristi. Io un wahhabita, tu una cecchina. L’avremmo scampata comunque.
Sabato in alcune case di Chasan’ja, Čegem e Belaja Rečka c’erano una specie di funerali silenziosi. Non erano veri funerali perché per legge i corpi dei terroristi non vengono restituiti ai parenti.
— Per me e per te sono terroristi, — sostiene Ruslan. — Ma per le loro madri sono figli. Qui le cose vanno così: chi non ha trovato lavoro, è andato coi wahhabiti. Non hanno lasciato una bella vita — bisogna mantenere la famiglia in qualche modo.
Il ministro Šogenov non ha parlato di questo, ma da alcune fonti l’hanno confermato: esaminando i cadaveri hanno trovato addosso ad alcuni militanti fino a centomila rubli[29] — una quantità di denaro colossale in questa repubblica, per la quale molti accetterebbero di rischiare la vita.
Ol’ga BOBROVA, nostro corrispondente speciale, Nal’čik
“Novaja Gazeta”, http://2005.novayagazeta.ru/nomer/2005/77n/n77n-s00.shtml, 17.10.2005 (traduzione e note di Matteo M.)
[1] E’ difficile tradurre il termine russo siloviki (derivato da sila, “forza”), che designa tutte le strutture statali deputate all’uso della forza, dal Ministero della Giustizia ai servizi segreti…
[2] Forse la traduzione più esatta sarebbe “Repubblica dei Cabardini e dei Balcari”, entità “autonoma” della Federazione Russa.
[3] I comunicati ufficiali definiscono spesso “banditi” i terroristi ceceni…
[4] Federal’naja Služba Bezopasnosti (Servizio di Sicurezza Federale), i servizi segreti russi.
[5] Otdel Vnutrennich Del (Sezione del Ministero degli Interni – in pratica della polizia).
[6] Glavnoe Upravlenie Ispolnenija Nakazanij (Direzione Generale per l’Esecuzione delle Pene), l’ente del ministero della Giustizia russo che controlla i luoghi di detenzione.
[7] Cioè “Souvenirs”, ça va sans dire…
[8] Vedi nota 1
[9] Sarcastico; il Giorno della Vittoria per i russi è il 9 maggio, quando si ricorda la vittoria sovietica sulla Germania nazista.
[10] Cioè quelli né di leva né di carriera, che firmano un contratto a tempo con l’esercito.
[11] BroneTankovyj Rezerv (“Riserva Carristi”), nome industriale dei mezzi blindati russi.
[12] La complessità sintattica è quella dell’originale.
[13] Sic.
[14] Traduzione a senso del termine russo general-lejtenant, letteralmente “generale-tenente”.
[15] “Gazzella”, nome di un furgone costruito dall’industria automobilistica GAZ (Gor’kovskij Avtomobil’nyj Zavod – “Industria automobilistica della città di Gor’kij”, tornata a chiamarsi Nižnij Novgorod con la caduta del regime sovietico)
[16] Il terribile termine uničtožennyj (letteralmente “annientato”) è utilizzato abitualmente in Russia a proposito dei terroristi ceceni uccisi.
[17] Kamikaze post-mortem?
[18] Nomi di città della Russia meridionale.
[19] Cioè indicandoli con le iniziali.
[20] “Notizie”, titolo del telegiornale della televisione di Stato russa.
[21] Gosudarstvennaja Avtomobil’naja Inspekcija (Ispettorato Automobilistico Statale), la polizia stradale russa.
[22] L’ex Stalingrado.
[23] Forse l’agente parla “come un libro stampato” per far risaltare l’assurdità della situazione.
[24] Letteralmente “Fiumiciattolo Bianco”, nome di un villaggio presso Nal’čik di cui si dirà poi.
[25] Cioè a Nal’čik e nei villaggi vicini.
[26] In generale, poi, è sorprendente quanta poca affinità vi sia, a tutti i livelli, tra i numerosissimi gruppi etnici del Caucaso.
[27] Traduzione letterale che ho già visto usare altrove. Noi diremmo forse “gente comune”.
[28] “Wahhabiti” si chiamano i seguaci delle idee del fondamentalista islamico Muhammad ibn al Wahhab al Temimi, ma in Russia il termine vachchabity designa in generale i fondamentalisti islamici dediti al terrorismo.
[29] Oltre 2900 euro.
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