La lunga storia del ritiro e dell’uscita dell’esercito russo dal territorio georgiano mette in disparte la questione essenziale: qual è in realtà in questo momento lo status delle forze di pace, sul futuro dislocamento delle quali si fanno adesso tante discussioni? Il presidente russo e il ministro degli Esteri dichiarano che sulla frontiera esterna della zona di sicurezza sarà dispiegato un contingente militare, consistente in tutto in non più di 500 uomini delle forze di pace e che i restanti reparti russi, che saranno inviati nella regione per appoggiare gli uomini delle forze di pace, saranno inviati nell’Ossezia del Sud. Contemporaneamente si dichiara che sul territorio del conflitto non ci saranno uomini delle forze di pace georgiane. Fra l’altro negli accordi di Soči (o di Dagomys [2]) del 24 giugno 1992, siglati da Boris El’cin ed Eduard Shevardnadze, ai quali i rappresentanti russi rimandano continuamente come base del loro “mandato di pace”, si parla in primo luogo di “smilitarizzazione dell’area del conflitto ed esclusione della possibilità di inserimento delle forze armate della Federazione Russa nel conflitto”. E in seguito della creazione di strutture “aventi lo scopo di garantire il controllo sul cessate il fuoco, sul ritiro delle milizie, lo scioglimento delle forze di autodifesa [3] e il ristabilimento di un regime di sicurezza” da parte di una Commissione di controllo mista formata dalle parti coinvolte nel conflitto (Georgia, Russia, Ossezia del Sud). Sotto l’egida della Commissione di controllo si dovevano creare forze miste per giungere a un accordo tra le parti, il ristabilimento della pace e la tutela dei diritti. Queste forze (cioè proprio gli uomini delle forze di pace) per decisione della Commissione di controllo mista dovevano essere costituite da militari georgiani, russi e osseti ed essere composte da 500 persone. Il 6 dicembre 1994 la Commissione di controllo mista stabilì la “Disposizione sui principi fondamentali dell’operato dei contingenti e degli osservatori militari addetti alla normalizzazione della situazione nella zona del conflitto georgiano-osseto”. Secondo queste disposizioni le SSPM [4] sarebbero state sottoposte al Comando militare unito, costituito da rappresentanti delle parti russa, georgiana e osseta (il comandante sarebbe stato stabilito dalla parte russa) e “la decisione sull’impiego di contingenti e di osservatori militari in caso di violazione delle condizioni del cessate il fuoco da parte di una delle parti [sarebbe stata] presa dal comandante delle SSPM allo scopo di ristabilire la pace e dopo averne informato il Comitato di controllo misto”. Fra l’altro “la prosecuzione e la conduzione di azioni di guerra contro elementi criminali oltre i confini della zona di conflitto [si sarebbe compiuta] con l’obbligo di informarne gli organi di potere e le forze dell’ordine locali”. Difficilmente sarà necessario dilungarsi a spiegare che in questo momento con le azioni di entrambe le parti sono stati violati sia gli accordi di Dagomys sia le suindicate disposizioni del Comitato di controllo misto. Né il comando russo né quello georgiano hanno minimamente pensato di “informare” il Comitato di controllo misto dell’inizio delle operazioni militari e hanno utilizzato l’artiglieria proibita da convenzioni reciproche, i carri armati e l’aviazione. E anche dire che i militari russi “hanno informato” le autorità georgiane della loro uscita dai confini della zona di conflitto è del tutto ridicolo. Ebbene, anche il rifiuto della parte russa (e anche delle autorità della non riconosciuta Ossezia del Sud) di far entrare gli uomini delle forze di pace georgiane nelle SSPM cancella del tutto gli accordi di Soči, qualunque cosa dichiari oggi la Russia. Questa è la prima, ma non l’ultima circostanza che mostra che l’attuale “mandato di pace” dell’esercito russo in Georgia non è nulla più di un mito. La seconda circostanza consiste nel fatto che sia per il “rafforzamento” del contingente di pace russo in Ossezia del Sud, sia per ciò che il Cremlino ha chiamato “costrizione alla pace” è necessario adempiere le norme della legge federale del 23 giugno 1995 n. 93-FЗ “Sulle regole per la fornitura da parte della Federazione Russa di personale militare e civile per la partecipazione ad azioni per il mantenimento o il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionali”. Secondo questa legge la decisione di inviare formazioni militari russe oltre i confini del territorio della Federazione Russa per prendere parte ad azioni di pace spetta al presidente sulla base delle disposizioni inerenti del Consiglio della Federazione [5] (il che è del tutto logico, visto l’articolo 102 della Costituzione della Federazione Russa, che stabilisce le condizioni per l’impiego dell’esercito russo oltre i confini del paese). Per quanto riguarda la “costrizione alla pace”, simili azione secondo la legge suindicata possono essere condotte solo “sulla base di decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, prese in accordo con lo Statuto dell’ONU per la rimozione delle minacce alla pace, la violazione della pace e gli atti di aggressione”. Ci sono precedenti di applicazione di questa legge nella pratica politica russa – infatti, il 25 giugno 1999 il Consiglio della Federazione dette il suo consenso all’“impiego fino al 10 giugno 2000 di formazioni militari delle forze armate della Federazione Russa per un numero totale di 3616 persone nella forza internazionale di sicurezza nel Kosovo”. Nel caso “georgiano” il fatto non è che non si è adempiuta questa legge – non la si è neanche ricordata. Così come si è fatto con l’articolo 102 della Costituzione. Certo, è difficile dubitare che il Consiglio della Federazione nel suo aspetto attuale voti in favore di qualsiasi proposta del presidente sull’impiego dell’esercito russo, ma non hanno neanche riunito. Hanno taciuto anche gli stessi membri del Consiglio della Federazione, i deputati della Duma [6] e la Procura generale, obbligata, parrebbe, a badare alla legalità. Ma non si trattava di qualcosa di inoffensivo – si trattava dell’invio in guerra di soldati e ufficiali russi. Boris Višnevskij [7] 25.08.2008, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/62/08.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni) |
[1] Il titolo originale c’è un gioco di parole assolutamente intraducibile. In luogo di mirotvorčeskie sily (“forze di pace”, letteralmente “forze creatrici di pace”) viene usate l’espressione mifotvorčeskie sily (“forze creatrici di miti”).
[2] In genere vengono chiamati “accordi di Dagomys”, dal nome del quartiere di Soči in cui furono siglati.
[3] Cioè delle milizie irregolari costituitesi sul territorio allo scopo di difenderlo.
[4] Smešannye Sily po Podderžaniju Mira (Forze Miste per il Mantenimento della Pace).
[5] La “camera alta” del parlamento russo, formata dai rappresentanti dei principali soggetti della Federazione Russa (governatorati, repubbliche autonome, ecc.).
[6] La “camera bassa” (elettiva) del parlamento russo.
[7] Boris Lazarevič Višnevskij, giornalista e membro del partito “Jabloko” (Mela) di orientamento liberale.
http://matteobloggato.blogspot.com/2008/09/si-vis-pacem-para
-bellum-secondo-putin.html
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