01 ottobre 2007

A proposito di ritorni al passato (II)

“Abbiamo prestato il giuramento del medico sovietico[1], non quello di Ippocrate”

Larisa Arap a proposito di quello che le è successo nell’ospedale psichiatrico

Il 20 agosto Larisa Arap, attivista della sezione di Murmansk[2] dell’OGF[3] ricoverata forzatamente il 5 luglio di quest’anno, è stata liberata dall’ospedale psichiatrico di Apatity[4]. Motivazioni formali per il ricovero forzato non sono state fornite né dagli psichiatri, né dal tribunale, che ha semplicemente buttato giù una sentenza che fa riferimento ad una qualche sua pericolosità per gli altri o per se stessa. In che cosa consistesse questa pericolosità non è neanche stato detto. Ma più di una volta nei 47 giorni di permanenza nell’ospedale psichiatrico hanno rammentato a Larisa un suo articolo di giornale “con calunnie sugli psichiatri”. L’hanno portata via brutalmente, senza chiedere il consenso né a lei stessa, né ai suo parenti più prossimi. E così l’hanno dimessa, senza rilasciare un referto, né una diagnosi, né indicazioni per ulteriori cure. Perché mai fare tante formalità?

- Come Lhanno dimessa?

- Alla vigilia il primario mi ha chiamata e mi ha fatto capire che i miei tentativi di uscire in qualche modo erano inutili. Sarebbe stato peggio per me e per i miei familiari. Non parlò di dimettermi. Lunedì mi hanno chiamata dal medico che mi aveva in cura e mi hanno detto che mi avrebbero dimessa. Posero la condizione che non dicessi niente di male su di loro. Ho promesso che non lavrei fatto. Mi fecero scrivere una dichiarazione, secondo cui chiedevo di essere dimessa dall’ospedale ed ora pronta a curarmi a casa e a recarmi all’ambulatorio. Mi è toccato farlo, altrimenti non mi avrebbero dimessa. Per fortuna, che ad Apatity quel giorno c’era mio marito, ho potuto telefonargli e mi è venuto a prendere.

- Le hanno fatto iniezioni, Le hanno dato delle pastiglie? Com’è stato?

- Orribile. Mi si intorpidiva la lingua, mi veniva il singhiozzo, mi bloccavo tutta. Dopo mi prendevano i crampi e la febbre.

- Ci si poteva rifiutare di assumere medicine?

- No, controllavano che ingoiassi, che le pastiglie non ti restassero in bocca. Se ti rifiutavi – cinghie (ti legavano al letto) e iniezioni.

- Come si comportava nei suoi confronti il personale medico?

- Vario. A Murmansk già il primo giorno mi misero alle cinghie. Nella sezione per l’accoglienza mi hanno picchiata. Mi costringevano a spogliarmi completamente in presenza di uomini. Mio marito ha fotografato le mie lacerazioni e i miei lividi. Ad Apatity all’inizio mi hanno messa a dormire su un materasso sporco e bagnato, ma poi me ne hanno dato uno normale. Con gli altri malati si comportavano in modo orribile. Mi meraviglio che non sia impazzita in quell’inferno. Ecco che oggi ho scoperto che sono incanutita.

- La portavano a passeggiare fuori dalle stanze?

- Sì, ho scritto una petizione, altre dieci persone l’hanno firmata e ci hanno portati fuori due volte per mezz’ora.

- Due volte al giorno?

- No, due volte in tutto quel tempo. In generale non portano a passeggiare. Le visite sono limitate, permettono di incontrare solo i familiari. Se cominci a “pretendere diritti” – cinghie e iniezioni.

- Com’era la situazione nelle stanze?

- Nella mia stanza c’erano otto persone. Gente tranquilla. In altre stanze era peggio, c’erano persone inquiete, aggressive. Il televisore viene acceso un’ora al giorno. Non c’era radio né giornali. Qualcuno sta così da 10 anni. Quando sono stata dimessa, alcuni piangevano, mi chiedevano di aiutarli ad uscire.

- Come La nutrivano?

- Il cibo è rivoltante, è impossibile mangiarlo. Le porzioni sono piccole, il pane è razionato – due pezzetti a colazione, a pranzo e a cena. Se non venisse mandato qualcosa, toccherebbe fare la fame. Alcuni non hanno nessun parente e neanche viene loro mandato nulla. Io condividevo le cose che mi venivano mandate – tutti ti guardano con occhi affamati, è impossibile non condividere.

- Come punivano e per cosa?

- Capita, che puniscano fisicamente – possono spingerti, colpirti, legarti al letto. C’è una cella di rigore, là l’isolamento è completo. Là mettono, a quanto ho capito, i più disobbedienti. Quando c’ero una donna si è ritrovata là.

- Dopo quello che è successo, non ha paura di rilasciare interviste? Intende continuare l’attività in campo sociale?

- Non ho paura di rilasciare interviste. Intendo continuare l’attività in campo sociale, non l’abbandonerò.

- Cosa vorrebbe dire ai lettori della “Novaja Gazeta”?

- Voglio augurargli ogni successo e ringraziarli tutti per il loro appoggio. Ringrazio Elena Vasil’eva e altre persone che mi hanno difesa. Ringrazio l’Associazione Psichiatrica Indipendente per la visita – mi hanno sostenuta, forse questo ha influito perché mi dimettessero. Io non sapevo proprio che mi stavano difendendo.

Il mio caso non è l’unico. Da noi la psichiatria è punitiva e questo sistema rinascerà, ha già cominciato. I medici stessi non lo nascondono. Solo la trasparenza può contrastare ciò, bisogna che tutti sappiano.

Commento

Elena Vasil’eva, leader dell’OGF di Murmansk:

“Mi pare che la cosa più importante di tutta questa storia sia la totale, totale impunità dei medici, questi si sentono degli zar, degli eroi. Hanno ricattato Larisa fino all’ultimo momento, fino all’ultimo momento ci hanno detto delle cose schifose. Non hanno idea del fatto che esiste la legislazione federale, che esistono i diritti umani. Non hanno semplicemente tali concezioni. Ritengono che il comandamento medico “non nuocere” non li riguardi. Ho parlato con il vice primario, ha detto: “Io non ho prestato il giuramento di Ippocrate, nessuno di noi l’ha fatto. Noi abbiamo prestato il giuramento del medico sovietico. Perciò la mia anima è tranquilla”.

Sono assolutamente tranquilli.

Aleksandr Podrabinek[5]
osservatore della “Novaja Gazeta”

“Novaja Gazeta”, 23/8/2007, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/64/03.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)



[1] Il giuramento prestato dai medici sovietici poneva l’accento sui loro doveri nei confronti dello stato sovietico.

[2] Città dell’estremo nord della Carelia, sul Mar Glaciale Artico.

[3] Ob’’edinënnyj Graždanskij Front (Fronte Civico Unito), organizzazione fondata dall’ex campione di scacchi Garri Kimovič Kasparov che riunisce le forze di opposizione a Putin e al suo establishment.

[4] Città della Carelia che prende il nome dai giacimenti di apatite della zona.

[5] Aleksandr Pinchosovič Podrabinek, ex dissidente sovietico.


http://matteobloggato.blogspot.com/2007/10/ma-allora-non-
cambiato-nulla-da-quelle.html

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