26 dicembre 2006

A proposito della giustizia in Cecenia

La pace nel Caucaso: cronaca di guerra

Da sette anni in Cecenia ufficialmente c’è la pace. Ma “Memorial” da sette anni scrive un resoconto non ufficiale (cioè non censurato) di una guerra.
Anna Politkovskaja collaborava attivamente con “Memorial” e utilizzava le sue informazioni per stendere i propri articoli. Adesso che Anja non c’è più abbiamo deciso di aprire una nuova rubrica (iniziata con il n. 93): due volte al mese pubblicheremo estratti della “Cronaca della violenza” della zona del conflitto armato nel Caucaso settentrionale, che viene portata avanti da quelli di “Memorial”.
In
questo numero altre due storie.

UN CASO MAI AVVENUTO NELLA CECENIA DI OGGI: HANNO TORTURATO, MA HANNO ASSOLTO
Gli abitanti della Cecenia tentano di lottare contro l’arbitrio e l’impunità. A volte hanno successo

Di cosa scriveva la Politkovskaja
L’11 dicembre 2006 la Corte Suprema della Repubblica Cecena ha sancito la condanna di Ali Tečiev, anno di nascita 1985, accusato di aver preso parte all’attacco contro Groznyj del 21 agosto 2004 e di omicidio. In quel giorno i militanti avevano preso sotto il loro controllo molte strade e incroci di Groznyj e avevano ucciso uomini delle forze armate.
Il 30 settembre 2005 Ali Tečiev era già stato condannato con la condizionale per aver fatto parte di formazioni armate illegali (secondo l’art. 208 del codice penale). Le prove consistevano fondamentalmente in testimonianze rese sotto tortura, com’era stato confermato da documenti e dimostrato durante il processo (Anna Politkovskaja aveva scritto delle torture che Tečiev aveva subito). Ali fu nuovamente sequestrato[1] il 29 novembre 2005 e portato all’ORB-2[2]. Dopo pestaggi, torture e una finta fucilazione[3], “confessò” e il 30 novembre fu dichiarato in arresto.
Durante il processo apparve evidente, che il “procedimento” era basato su falsificazioni, torture e false testimonianze.
Durante l’udienza del 19 settembre fu resa nota la deposizione scritta di Chamid Arsabiev, ma questi in precedenza aveva dichiarato che gli agenti dell’ORB-2 l’avevano costretto a testimoniare il falso contro Tečiev, promettendogli che al processo avrebbe reso la sua deposizione sotto pseudonimo da dietro uno schermo protettivo.
Il 3 ottobre comparve al processo Chasanbek Achmadov, che era stato sequestrato e torturato insieme ad Ali. Nonostante la costrizione, Achmadov rifiutò di testimoniare il falso contro Tečiev. Ben presto Chasanbek fu “invitato” a comparire al comando. Evidentemente, a causa dei presentimenti riguardanti le “conversazioni” con gli uomini delle forze armate il 33enne Achmadov morì il 23 ottobre per un attacco cardiaco.
Il
17 ottobre comparve Ruslan Očerchadžiev. Questi raccontò di due giorni di torture (che erano confermate da documenti!), con cui lo avevano costretto non solo ad accusare Ali, ma anche a “confessare” egli stesso di aver preso parte all’attacco contro Groznyj, nonostante avesse un alibi.
Il 30 ottobre l’accusa presentò un testimone, la cui identità fu tenuta segreta, che parlò sotto pseudonimo da dietro uno schermo protettivo. Questi disse che aveva “casualmente” incontrato un agente dell’ORB-2 in un cafè, dove “si ricordò improvvisamente” di aver visto Tečiev il 21 agosto.
Divenne evidente che invece di cercare i veri colpevoli gli inquirenti avevano montato un’accusa contro un ex militante.
L’11 dicembre il tribunale emise un verdetto assolutorio – un caso mai avvenuto nella Cecenia di oggi. Ali
Tečiev uscì libero dallaula del tribunale.

La procura si è insediata in casa d’altri
Il 5 ottobre 2006 presso il tribunale interprovinciale di Urus-Martan ha avuto luogo l’udienza per dirimere la causa intentata da Muchadi Gazimagomaev nei confronti della procura della provincia di Urus-Martan, in cui questi richiedeva l’espulsione della procura dall’abitazione a lui appartenente.
Nel 1944 la famiglia Gazimagomaev fu deportata in Kazakistan[4]. Al loro ritorno nel 1957 questi non poterono rientrare nella propria casa in via Kalančakskaja. La casa era stata occupata da una biblioteca e da una sala per giochi infantili fatti costruire dalla polizia[5]. La famiglia del 25enne Muchadi non poté trovar casa in Cecenia e si trasferì a Mosca.
Negli anni ’90 la casa finì con l’essere rovinata dal tempo, la biblioteca e la sala per i giochi infantili furono trasferite. Dopo aver ricevuto gli atti per la restituzione delle proprietà delle vittime delle repressioni gli ex padroni di casa decisero di ristabilire i propri diritti. Nel 1992 il sessantenne Muchadi Gazimagomaev ottenne un verdetto favorevole dal tribunale, ristrutturò da cima a fondo le rovine della casa e si stabilì là con sua moglie.
Dopo l’inizio della guerra, nel 1994 ripararono a Mosca. Nel 1999 la casa aveva nuovamente bisogno di riparazioni. Gazimagomaev
assunse degli operai. All’inizio del 2000 giunsero nella casa gli uomini della procura e cacciarono gli operai. Muchadi tentò di farsi restituire la sua proprietà, ma senza successo: per entrare nel cortile della propria casa avrebbe avuto bisogno di un permesso che non sempre veniva dato. Gazimagomaev presentò una querela al tribunale della città di Urus-Martan. La querela non fu accolta. Questi si rivolse al tribunale di Mosca – là decisero che della vicenda avrebbe dovuto occuparsi il tribunale interprovinciale di Urus-Martan, che ricevette i documenti nel marzo 2006. Il 5 ottobre ebbe luogo la prima udienza.
Gli avvocati del querelante acclusero alla querela leggi e decreti che non lasciavano spazio a dubbi sul diritto di Muchadi sulla casa. L’arringa dell’avvocato della procura fu stupefacente: questi non pronunciò una sola volta la parola “legge” – disse che tutti gli atti del parlamento della Repubblica Cecena negli anni 1992-1995 “non hanno alcun valore” e che Gazimagomaev “non è l’unica persona, a cui non è stato restituito qualcosa”.
Il giudice propose di portare prove del fatto che Muchadi avesse investito risorse nella ristrutturazione. Gazimagomaev non poté presentare conti, ma la difesa invitò a comparire gli operai che avevano ristrutturato la casa; questi raccontarono dei lavori e confermarono che Muchadi aveva pagato le loro prestazioni.
Il giudice ha preso una decisione: obbligare la procura a liberare l’edificio occupato illegalmente. La procura è intenzionata a presentare un esposto alla Corte Suprema.

"Novaja Gazeta" n. 97,
http://2006.novayagazeta.ru/nomer/2006/97n/n97n-s11.shtml
21.12.2006 (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

http://matteobloggato.blogspot.com/2006/12/si-pu-avere-un-po
-di-giustizia-anche.html#links


[1] Traduco alla lettera. Dire “arrestato illegalmente” non mi sembrerebbe del tutto corretto.

[2] Operativno-Rozysknoe Bjuro, “Ufficio Operativo di Ricerca”.

[3] La storia si ripete? Nel 1849 i membri del circolo socialista di Michail Vasil’evič Petraševskij-Butasevič (i cosiddetti petraševcy, tra cui spiccava lo scrittore Dostoevskij), furono processati, condannati a morte e condotti alla fucilazione, ma quando il plotone d’esecuzione stava per sparare, fu letto un proclama dello zar, che faceva loro grazia della vita e li inviava al confino. Uno dei condannati, sconvolto da questa ignobile farsa, impazzì. In “Arcipelago GULag” Solženicyn racconta che ai danni generale Konstantin Konstantinovič Rokossovskij (rinchiuso in un lager e poi riesumato perché contribuisse alla vittoria sovietica sui nazisti) fu inscenata più di una falsa fucilazione.

[4] Nel 1944 Stalin fece deportare praticamente l’intera popolazione della Cecenia, accusata (fra l’altro in modo del tutto infondato) di aver collaborato con gli invasori nazifascisti. I ceceni sopravvissuti poterono tornare in patria solo nel 1957, dopo che il famoso rapporto segreto di Nikita Serheevič Chruščëv rivelò i crimini di Stalin e avviò la destalinizzazione.

[5] Ad uso dei poliziotti e dei loro figli, suppongo.

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