Nel giugno 2011 il facente funzione di presidente del Consiglio della Federazione Aleksandr Toršin ha presentato alla Duma di Stato il disegno di legge “Legge costituzionale federale. Sull'introduzione di cambiamenti in singoli atti legislativi della Federazione Russa”. Questo documento si sarebbe potuto chiamare più semplicemente: “Legge sulla non esecuzione delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo da parte della Russia”. La reazione dell'Europa è la perplessità: là non credono alle proprie orecchie. C'è ragione di farlo. Come se fosse poco che il disegno di Toršin significhi il rifiuto selettivo (come vogliamo e quando vogliamo) della Russia di adempiere i propri obblighi internazionali, i deputati russi hanno deciso di formulare legalmente anche le regole secondo cui, a loro parere, deve operare la Corte di Strasburgo. C'è anche un terzo aspetto, che, pare, deve mettere in guardia il garante della Costituzione più degli europei, che possono semplicemente metterci fuori dalla loro casa – il progetto di Toršin di fatto cambia la Legge Fondamentale della Russia. Il motivo per l'aggressione legislativa è stata la decisione della CEDU sul caso del militare Markin, che voleva prendere un congedo di paternità perché era rimasto solo con il bimbo neonato. Glielo hanno negato tutti, compresa la Corte Costituzionale della Federazione Russa, per via di una possibile violazione degli interessi della sicurezza dello stato russo. Strasburgo ha deliberato: le sentenze “basate su pure supposizioni e prive di fondamento ragionevole” vanno cassate e nelle leggi vanno introdotti gli adeguati cambiamenti. E non si tratta del fatto che tutti si sono offesi e neanche del fatto che adesso migliaia di ufficiali decideranno di andare in congedo, ma del fatto che presto ci saranno le elezioni. E partiti non registrati con pretesti inventati e tolti dalle liste dei candidati, ma anche semplicemente rappresentanti dell'elettorato ingannati da brogli elettorali potranno mettere in discussione alla Corte Europea i principi della “democrazia sovrana” della Russia “basati su pure supposizioni e privi di fondamento ragionevole”. E perciò questo disegno di legge non è una sciocchezza, ma un passo politico meditato. Il documento secco, non passato da alcun dibattito, già in questa settimana potrebbe essere approvato dalla Duma di Stato. Il primo vice-presidente della Commissione per la legislazione costituzionale e l'organizzazione dello stato Aleksandr Moskalec si è affrettato a dichiarare ai mezzi di informazione di massa che martedì 28 giugno il disegno sarà sottoposto a esame in prima istanza e che “potrebbe essere approvato nelle tre sedute prima della fine della sessione primaverile della camera bassa” – cioè già il 6 luglio. Ma se dopo questo cacciassero la Russia dal Consiglio d'Europa, forse potrebbe anche essere la cosa migliore. Allora poi niente impedirebbe agli europei di bloccare i conti e gli immobili dei nostri funzionari e neanche di proibirgli di poltrire in Costa Azzurra e fare shopping in Oxford Street. E questo non significherà affatto che qualcuno ci impedisce “di alzarci dopo essere finiti in ginocchio” [1]. Noi stessi abbiamo chiesto di entrare nella Casa Europea, ci hanno permesso di entrare, ci hanno sopportati mentre guastavamo l'aria e torturavamo in cella i nostri familiari, ma una volta che abbiamo deciso di rompere i vetri al padrone di casa – allora merita prepararsi a una rapida discesa per le scale con le nostre cose.
Alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) e all'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa (PACE [2]) a Strasburgo si astengono dai commenti sugli “emendamenti di Toršin, secondo i quali, se saranno approvati, la Russia eseguirà solo le sentenze della Corte di Strasburgo che verranno timbrate dalla Corte Costituzionale della Federazione Russa. Alla PACE la gente è più disinvolta, ma anche questi hanno detto che attenderanno i testi ufficiali. Forse non vogliono abboccare all'amo delle versioni emotive della stampa. Non vogliono credere alle proprie orecchie. In sessantatré anni, da quando esiste il Consiglio d'Europa, non rammentano niente di simile. La Convenzione per la difesa dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali fu pensata come garanzia collettiva dei principi che l'Europa, senz'avere ancora rimosso le rovine, decise di seguire, prendendo spunto dalle lezioni della Seconda Guerra Mondiale. Il loro riconoscimento costò caro e sono ribaditi nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 10 dicembre 1948. Dopo la guerra parte del continente si trovò dietro la “cortina di ferro”. Quando crollò, gli ex membri del campo socialista presero a chiedere di entrare in Europa, promettendo solennemente di servire i suoi valori. La Russia fece richiesta nel maggio 1992… La garanzia dei principi è fondata non solo sulla volontà degli stati, che si sono obbligati con la propria firma a difendere alcuni valori universali, ma anche sull'interesse comune. E questo sta nella “sicurezza democratica” dell'Europa. Garantendo le condizioni per l'avvicinamento, gli stati europei devono rispettare i diritti dell'uomo, la supremazia della legge e il pluralismo politico. La firma sotto la Convenzione significa che il paese riconosce la priorità delle sentenze della Corte per i Diritti dell'Uomo. Oggi questa è la condizione per essere membri del Consiglio d'Europa. Una rinuncia a parte della sovranità? Sì, come pure all'ingresso in qualsiasi organizzazione internazionale. I dibattiti sul fatto che le sentenze della Corte di Strasburgo limitano la sovranità statale della Russia sono insensate. La Russia è entrata da sola nel Consiglio d'Europa e nessuno ce l'ha trascinata a forza. Secondo il professor Jean-Pierre Massias dell'Istituto Francese di Relazioni Internazionali (IFRI), l'ammissione della Russia nel Consiglio d'Europa nel 1996 minò l'organizzazione politica internazionale. Da una parte, nel Consiglio riconobbero l'“europeità” russa e incoraggiarono la democratizzazione. Dall'altra, le lacune nella democrazia russa e, cosa più seria, il suo lento spostamento verso l'autoritarismo indeboliscono il Consiglio d'Europa. La Russia è uno dei maggiori membri del CE con tutte le conseguenze derivanti. Quando entrò nel Consiglio sul suo conto c'era già la sparatoria sul parlamento, le dubbie elezioni presidenziali del 1996 e la prima guerra cecena (per via di questa il processo di ammissione fu bloccato nel 1995). Le discussioni al momento dell'ingresso furono aspre, ma la Russia fece richiesta con insistenza, assicurando che bramava la democrazia e i diritti dell'uomo. “Il Cremlino può aver fatto un passo falso, – giudicarono in Europa. – Ma non si possono punire quei cittadini che dopo secoli di mancanza di libertà aspirano alla democrazia e al potere della legge”. La maggior parte degli oratori alla PACE sostenne la candidatura della Russia “per la sua crescita”. Dissero che l'Europa non può tenere in disparte un paese così grande, le cui radici europee avrebbero portato da sole ai valori occidentali. Ciò sarebbe stato importante anche per l'autorità e l'influenza del CE come organizzazione. E il curriculum democratico di Mosca verso il 1996 era impressionante, se lo si paragonava ai tempi sovietici. “L'ammissione della Russia nel CE, – ritiene il professor Massias, – è stata un errore di fondo. La Russia e l'UE [3] hanno compreso diversamente le domande: “In cosa consiste l'interesse dell'Europa?” e “In cosa consiste l'interesse della democrazia?” E dall'aprile 2000 al gennaio 2001 per le violazioni dei diritti dell'uomo nella seconda guerra cecena la delegazione russa fu privata del diritto di voto alla PACE. Ma i partner del Consiglio d'Europa non dipingono tutto questo tempo a tinte nere. La Russia ha introdotto nella propria legislazione norme prescritte nei documenti del CE, la Corte Costituzionale della Federazione Russia ha usato sentenze della CEDU come fondamento delle proprie sentenze. Ma la cosa principale è che i cittadini russi hanno ottenuto la possibilità di rivolgersi direttamente a Strasburgo, se ritengono che un tribunale nazionale abbia violato i loro diritti. La Corte è travolta dalle denunce dalla Russia. Inizialmente questa ha superato la Polonia, poi la Turchia. Togliere ai cittadini russi questo diritto significa tarpare l'ultimo significativo legame della Russia con il Consiglio d'Europa. Questo diventerà inutile per loro. Resterà il rituale, i viaggi della grande delegazione russa a spese dello stato per una settimana a Strasburgo con una fermata alle terme di Baden-Baden sulla strada per l'aeroporto di Francoforte. Ci si può chiedere, ma perché restare, quando i profitti da gas e petrolio permettono di guardare gli europei dall'alto, quando Mosca arricchita si è staccata dalle “romantiche”, secondo l'espressione dello stesso Kosačëv (presidente della Commissione della Duma per le questioni internazionali), illusioni degli anni '90? Ma pochi dell'élite fanno appello per uscire dal Consiglio d'Europa. Il motivo è lo stesso degli inizi degli anni “feroci” [3] con Boris El'cin: per loro è importante la rispettabilità internazionale. Essere membro del Consiglio d'Europa è come vivere a Rublëvka [4]. L'importante non è il contenuto, ma l'immagine. Ma non solo. E' sufficiente ricordare come lo scorso anno la grande delegazione dell'Assemblea Federale si gettò a Strasburgo per convincere i deputati europei a non introdurre il divieto di visto e a non bloccare i conti dei funzionari russi inseriti nella “lista di Magnitskij” [5]. “Il Consiglio d'Europa si divide come prima tra l'indispensabilità politico-geografica di non escludere la Russia e i principi dei padri fondatori sul rispetto dei diritti dell'uomo e delle norme democratiche, – nota il professor Massias. – Ma se nel 1996 l'argomento della futura democratizzazione della Russia ancora andava, oggi appare debole. I regolari conflitti tra Russia e CE legati alla violazione dei diritti dell'uomo sono impossibili da mettere sul conto di un futuro migliore. In realtà questa è la manifestazione di due diverse concezioni della democrazia e di una diversa comprensione delle relazioni tra il CE e i paesi membri”. Secondo il politologo, oggi non si può parlare di escludere la Russia dal Consiglio d'Europa. “Uno choc del genere destabilizzerebbe fortemente il Consiglio e danneggerebbe la democrazia in Russia, dove anche senza questo si è in presenza di un chiaro discorso anti-occidentale. D'altra parte, sarebbe un'infedeltà ignorare i principi del Consiglio d'Europa in nome di una “realpolitik” europea”. Alcuni mezzi d'informazione di massa europei hanno già reagito al “piano Toršin”. “La Russia vuole garantirsi il diritto di ignorare la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo. Per questo, alla fine, possono punirla con la privazione del diritto di voto al Consiglio d'Europa o perfino con la privazione dello status di membro”, – scrive il “Tagesspiegel” di Berlino. “Se tale decisione entrerà in vigore, considerando i due terzi dei voti in parlamento di “Russia Unita” al governo, la Russia rischia di essere cacciata dal Consiglio d'Europa già nel prossimo autunno. Perché la nuova legge da alla Russia la possibilità di decidere da sola quali delibere della CEDU eseguire e quali no”, – nota il giornale. Questa è una violazione della Convenzione che la Russia ha firmato. La pena potrebbe essere la temporanea privazione del diritto di voto al Consiglio d'Europa e perfino la privazione dello status di membro. Una cosa del genere è stata applicata una sola volta: contro l'“ultimo dittatore d'Europa” Aleksandr Lukašenko. Lo scandalo e l'isolamento nel Consiglio d'Europa porteranno al risultato opposto a quello che cercava l'élite russa entrando nell'organizzazione. Ne soffrirà il prestigio internazionale della Russia. In primo luogo, le sue relazioni con il principale partner internazionale – l'Unione Europea. Questi negli ultimi tempi non sono già così lieti. – Quando un paese entra nel Consiglio d'Europa, si obbliga ad eseguire le sue decisioni, tra cui quelle della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo, a porle al di sopra delle decisioni prese a livello nazionale. E' la condizione immancabile della partecipazione al CE, – è convinto Fraser Cameron, direttore di uno dei principali brain trust di Bruxelles – il Centro UE-Russia. – La Russia non è un membro dell'Unione Europea, ma l'approvazione da parte del parlamento russo di leggi che permettono di non riconoscere le sentenze della CEDU probabilmente avrà conseguenze molto serie per le sue relazioni con l'UE. Tutti i paesi dell'UE sono membri del Consiglio d'Europa e giocano un ruolo decisivo là, perciò tali leggi lanciano una sfida all'UE. In quale grado questo guasterà le relazioni UE-Russia si potrà dire solo avendo in mano i testi ufficiali delle nuove leggi. Ma delle conseguenze ci saranno di certo. Questo inciderà anche sui colloqui per il nuovo accordo di base, che vanno avanti già da due anni, e su altre piste di interazione tra Russia e UE. – Fra queste anche il dialogo sugli scambi senza visti? – Indubbiamente. Anche un altro interlocutore della “Novaja gazeta”, il principale esperto del Centro di Politica Europea (CEPS [6]), l'ex ambasciatore dell'UE a Mosca Michael Emerson ritiene che con un tale sviluppi degli eventi le relazioni UE-Russia non potranno non soffrire. – La Corte di Strasburgo nella sua sfera di giurisdizione è la più alta corte di tutti i membri del Consiglio d'Europa. Cancellare le sue sentenze significa ignorare le norme del diritto internazionale. Di conseguenza aumenta molto fortemente il divario tra le dichiarazioni del presidente Medvedev e la pratica di fatto russa. Questo tema sarà continuamente all'ordine del giorno delle relazioni UE-Russia e degli incontri ad altissimo livello. Toccherà attendere la reazione critica di tutte le istituzioni dell'UE e in particolare un inasprimento della retorica del Parlamento Europeo. – Sentiamo comunque una dura retorica negli ultimi giorni. Sulla questione delle elezioni, per esempio. Cosa ci si può aspettare oltre alla retorica? – L'UE cercherà di pensare qualcosa perché Mosca cambi le decisioni illegali. Ma così, per non gonfiare la polemica quando diventerà incontrollabile. Posso immaginarmi che il Presidente del Consiglio Europeo Herman van Rompuy si metterà direttamente in contatto con Medvedev, gli chiederà di chiarire la posizione e prendere una decisione accettabile. Il potere esecutivo dell'UE, che ha in testa la dipendenza dal gas russo e la possibilità di usare la Russia per svolgere i propri compiti internazionali, si sforza di non litigare con Mosca e pronuncia parole spiacevoli per l'élite russa solo sotto la pressione dei deputati, stavolta è orientato abbastanza decisamente. Il più alto rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Catherine Ashton ha espresso preoccupazione per il rifiuto delle autorità russe di registrare il partito PARNAS [7]. Questa ha ricordato che la Corte Europea per i Diritti Umani il 12 aprile a seguito dell'istanza del Partito Repubblicano di Vladimir Ryžkov ha emesso una sentenza che critica la farraginosa procedura di registrazione dei partiti in Russia. – Il pluralismo politico nella società contemporanea è la fonte della legittimità politica, – ha notato. In realtà il tono è molto più importante della valutazione pragmatica e della formula giuridica. Questo, alla fine, determina le relazioni con un paese, l'atmosfera degli accordi e, se è davvero alto, l'appartenenza a un'unica Europa. I diplomatici russi, descrivendo i processi delle trattative con l'Unione Europea, di solito li riconducono a schemi formali, giuridici – come dire gli europei cercano di legare alla questione cose secondarie, che non sono in relazione diretta con l'oggetto trattato. Il più delle volte queste cose “secondarie”, dal punto di vista dei funzionari russi, sono i diritti dell'uomo, la democrazia, la supremazia della legge. I nostri diplomatici si sforzano di ricondurre qualsiasi discussione al nudo pragmatismo. Ma l'Europa, con tutti i debiti greci e altri disordini, non è pronta a un trattare puramente pragmatico. Aleksandr Mineev nostro corrispondente, Bruxelles 26.06.2011, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2011/068/00.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni) |