30 gennaio 2008

A proposito di Putin (VII)

Ma i suoi soldi vivono

La storia della JUKOS: gli amici del presidente “hanno preso tutto” e l’hanno spartito fra loro

La JUKOS non c’è più. E’ stata esclusa dal registro unico delle persone giuridiche e le sue azioni non sono più quotate nelle borse. Sono rimaste ancora delle stazioni di servizio giallo-verdi sparse per il paese, ma i nuovi proprietari indubbiamente le ridipingeranno presto dei loro colori corporativi e ci incolleranno i loro loghi.

Se si conta dal 3 luglio 2003, data dell’arresto di Platon Lebedev[1], dall’annientamento della compagnia per mano degli agenti del fisco, degli agenti di polizia, dei procuratori, dei giudici e altra gente sono passati qualcosa meno di 4 anni e 133 giorni. In questo tempo la JUKOS è stata conseguentemente decapitata, smembrata, venduta a pezzi e finita.

La storia della JUKOS è la versione moderna della dottrina popolare in Russia “prendere tutto e spartire”. In questo caso è visibile al meglio cosa significhi “prendere” e soprattutto in quali proporzioni si usa spartire adesso.

Prima dell’inizio dell’attacco alla JUKOS il suo capitale consisteva in oltre 20 miliardi di dollari. Secondo gli esperti il valore della Rosneft’ prima dell’acquisizione della Juganskneftegaz[2] non raggiungeva i 5 miliardi. In meno di tre anni attraverso varie trattative e altre operazioni alla compagnia di Stato sono passate praticamente tutte le attività di estrazione e raffinazione della JUKOS e anche la parte del leone delle sue stazioni di servizio. Il valore di mercato della Rosneft’ assomma oggi a più di 90 miliardi di dollari. E’ la più grande compagnia petrolifera del paese. Solo di ricavo netto dalla liquidazione della JUKOS la compagnia, secondo le proprie stima, ha ricevuto più di 6 miliardi di dollari. Il suo consiglio di amministrazione è diretto dal vice capo dell’amministrazione presidenziale Igor’ Sečin, ma una parte significativa delle esportazioni è gestita dall’impresa commerciale Gunvor di un altro amico di Putin – il sig. Timčenko[3].

In poche parole, le voci sul fatto che la JUKOS sia stata tolta agli oligarchi[4] per essere data al popolo sono molto esagerati.

Al popolo, fra l’altro, è pure capitato qualcosa. Durante la liquidazione della compagnia alle casse statali sono stati assegnati 585 miliardi di rubli (più di 23 miliardi di dollari al cambio attuale), che la compagnia, secondo gli uomini del fisco e i giudici, doveva allo stato. Con questi soldi sarà formato il capitale di base della corporazione statale per lo sviluppo del ŽKCh[5], a cui è affidato il compito di finanziare le ristrutturazioni delle abitazioni e la distribuzione del vecchio fondo per le abitazioni. Cosa certamente buona, solo che i soldi non saranno suddivisi tra i cittadini che hanno necessità di migliorare le proprie condizioni abitative. I miliardi andranno alle TSŽ[6], alle ŽSK[7] e ad altre organizzazioni che amministrano le proprietà condominiali. E questo non direttamente, ma passando attraverso funzionari regionali e municipali.

Un’altra voce di spesa dei ricavi aggiuntivi delle casse statali dovuti alla liquidazione della JUKOS è l’aumento delle pensioni di quegli stessi 300 rubli[8], che in ogni caso avrebbe avuto luogo durante la campagna elettorale.

L’unica cosa che una certa parte dell’elettorato ha ottenuto alla fin fine è la soddisfazione morale derivante dal fatto che lo stato ha eliminato l’oligarchia. E non del tutto, a sentire l’ultimo intervento del presidente.

Aleksej Poluchin
capo redattore della sezione economia della “Novaja gazeta”

26.11.2007, “Novaja Gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/90/01.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)



[1] Platon Leonidovič Lebedev, membro influente del consiglio di amministrazione della JUKOS, che di fatto ne teneva le fila dopo l’arresto di Chodorkovskij.

[2] Una delle imprese principali del gruppo JUKOS.

[3] Amicizia che risale al tempo in cui l’uomo d’affari Gennadij Nikolaevič Timčenko era un dirigente del KGB…

[4] I potenti miliardari russi come, per esempio, Roman Abramovič.

[5] Žiliščno-Kommunal’noe Chozjajstvo (Risorse per le Abitazioni e le Infrastrutture).

[6] Tovariščestva sobstvennikov žil’ja (Associazioni dei Proprietari di Abitazioni).

[7] Žiliščno-Stroitelnye Kooperativy (Cooperative per la Costruzione di Abitazioni).

22 gennaio 2008

A proposito di Russia e Caucaso

Livellano il Caucaso

Recensione all’intervista di un tipico “uomo delle forze federali” sull’unico approccio imperiale a repubbliche molto diverse

L’eroe della Russia[1], l’amico del colonnello Budanov[2], l’ex governatore della regione di Ul’janovsk[3], il generale di corpo d’armata Šamanov, tornato al ministero della Difesa ha rilasciato recentemente un’intervista alle “Moskovskie Novosti”[4].

Penso che a molti sarebbe parso strano veder comparire sulla carta stampata un’intervista, mettiamo, a Kaltenbrunner[5] sulla questione dei rapporti tra la RFT e lo stato di Israele. In un’intervista dello stesso generale Šamanov sulle questioni del Caucaso, a quanto pare, non c’è niente – anche se è difficile rispondere quale esercito sia stato più efficace: quello tedesco nella soluzione della questione ebraica o il generale Šamanov nella soluzione di quella cecena. In ogni caso, quando vedi in Cecenia un villaggio di cui sono rimaste solo le fondamenta, 1800 fondamenta o 1500, come Staryj Ačchoj o Bamut, senza guardare si può dire: “Qui c’è stato Šamanov”. Gli altri generali non risolvevano la questione in modo così definitivo.

Ecco, a ben vedere, il corrispondente avrebbe potuto anche chiedere al generale se questa soluzione definitiva della questione cecena sia stata efficace o se, al contrario, abbia creato alcune complicazioni (a dirla più semplice, un bambino ceceno di sei anni di età di solito dice: crescerò e ucciderò i russi).

O chiedere: è vero che il suo favorito Budanov quando Šamanov era governatore della regione di Ul’janovsk stava in prigione come in albergo? Che i ristoranti cittadini rivaleggiavano per il diritto di portare il cibo a Budanov?

Macché. Hanno chiesto al nostro esperto nella soluzione definitiva della questione cecena della situazione del Caucaso. E naturalmente hanno ottenuto come risposta che “la situazione resterà preoccupante come minimo fino a metà del prossimo anno. Questo è legato alla prossima campagna elettorale negli USA”.

E che pensavate? I terroristi nascono da Bamut distrutta fino alle fondamenta? No, sono gli americani che tramano.

L’intervista a Šamanov è curiosa perché riproduce con purezza cristallina il tipico corredo federale di idee sul Caucaso. Ecco come la pensano anche al Cremlino. Ecco su che basi prendono decisioni.

In cosa consiste il corredo a parte il fatto che “gli americani tramano”?

Per prima cosa si parla del Caucaso settentrionale in generale.

“Oggi nel Caucaso settentrionale c’è un livello d’istruzione terribilmente basso”, – dice Šamanov. “Le elite delle repubbliche del Caucaso settentrionale si formano con l’aiuto di logiche tribali”. “Nelle repubbliche caucasiche si sviluppano furiosamente le comunità religiose”.

Certo, capisco, quando in una risposta di un minuto risuona la parola “Caucaso”, è qualcosa di comune a tutte le repubbliche. Ma in un’intervista dettagliata la parola “Caucaso” è come il primo piccolo suono di parola vuota, perché le repubbliche sono diverse e vanno in diverse direzioni e proprio confrontando una repubblica con l’altra si può vedere la differenza e quello che si deve o non si deve fare.

Ecco due casi, tanto per fare un confronto.

Circa un mese fa nel villaggio di Gonoda nella provincia di Gunib nella repubblica del Daghestan i militanti hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco nove persone. Gonoda è il villaggio natale del capo del ministero degli Interni del Daghestan Adil’gerej Magomedtagirov. Gli uccisi, ragazzi giovani, avevano notato una macchina che passava per il villaggio e che pareva sospetta. Quando la macchina è tornata indietro, le hanno bloccato la strada. I militanti hanno chiesto a lungo ai ragazzi di farli passare. Quando hanno visto che si avvicinava il capo della polizia locale, li hanno uccisi tutti a colpi d’arma da fuoco e se ne sono andati.

Letteralmente pochi giorni dopo nel villaggio di Starye Ačaluki, in Inguscezia, è avvenuto un caso del tutto diverso. All’ingresso del villaggio c’era un posto di blocco. Gli uomini al posto di blocco esaminavano ogni macchina e gli occupanti di una macchina hanno rifiutato di farsi esaminare. Ecominciata una lite. Gli uomini delle forze federali sono stati picchiati con violenza, sono stati caricati su dei camion, volevano dargli fuoco. Con grande sforzo la polizia locale, che è accorsa in qualche modo, ha convinto la folla furibonda a non uccidere e a non bruciare.

Non è difficile notare, che queste due storie non hanno avuto luogo semplicemente in due repubbliche diverse – hanno avuto luogo in due mondi diversi. In Daghestan la gente ha tentato di fermare i militanti. In Inguscezia la gente senza bisogno di militanti ha distrutto un posto di blocco. Non sono due repubbliche diverse. Sono due società diverse.

Perché ci sono queste due società diverse? Posso spiegare anche questo. Recentemente al presidente della repubblica del Daghestan Much Aliev è giunta una lettera da Sergokala[6]. Dal padre di un ragazzo arrestato come wahhabita[7]. Il padre scriveva che il ragazzo è questo e quello, è un campione e allena dei campioni e lo hanno preso del tutto senza motivo e promise di farsene carico. Il presidente dette la lettera al capo del ministero degli Interni: “Sistema la faccenda”. Questi sistemò la faccenda e il ragazzo fu rilasciato su cauzione prima del processo. (Ora notiamo questo: il capo del ministero degli Interni del Daghestan non è affatto un amante dei militanti. Negli ultimi due anni hanno cercato di farlo saltare in aria due volte, di avere il cuore tenero è più facile sospettare un coccodrillo che Adil’gerej.) Ed ecco che così lo rilasciarono. E qui accorse l’FSB[8]: “Ma come avete potuto! Ma noi sappiamo che è il capo principale di una grande banda!”.

Forse l’FSB dice la verità? Non penso. Perché, se proprio Adil’gerej, più del quale nessuno nella repubblica odia i wahhabiti, considera possibile fare uno sconto, allora in realtà non salta un’operazione, ma semplicemente delle nuove stellette.

Questo succede in Daghestan. Ma in Inguscezia? Dite un po’ dove e quando avete sentito che il presidente dell’Inguscezia, quando sparano sulla folla davanti ai suoi occhi, quando poi lasciano lì una granata pure davanti agli occhi della folla e fanno una foto con questa granata, – quando avete sentito dire che il presidente dell’Inguscezia abbia dubitato che quelli su cui era stato sparato fossero militanti?

Certo, non solo per questo in Daghestan e in Inguscezia la situazione è diversa. Ma anche per questo.

Questo spregiativo generalizzato “Caucaso” è il segno caratteristico dell’atteggiamento moscovita da signorotti imperiali. Sono colonie, che differenza c’è? E questo atteggiamento da signorotti deriva dal non voler notare che, per una strana coincidenza, più il presidente di una repubblica è una marionetta dell’FSB, meno ordine c’è in quella repubblica. Ma se pensa al proprio popolo e non a come accontentare i cekisti[9], allora per qualche motivo ci sono anche meno militanti.

C’è anche un altro eterno motivo – la “corruzione caucasica”.

“In molte repubbliche sono cambiati i leader, ma questo ha portato solo alla sostituzione (e neanche dappertutto) di certi clan con altri – ma in nessun caso alla fine di un sistema”, – si lamenta Šamanov.
Che vuol dire, che non è cambiato niente?

In Kabardino-Balkaria, mettiamo, c’era il presidente Kokov; sotto la sua presidenza c’è stato uno scandalo quando il potere centrale ha mandato soldi per una funivia sull’Elbrus[10] e i soldi sono stati presi e sono spariti. (“Lei sa dove sono questi soldi”, – ha detto a Kokov con grande dignità il ministro competente, il consigliere più vicino alle autorità della Balkaria Kuanš, che pure aveva a che fare con quei soldi.) E adesso là c’è il presidente Arsen Kanokov, che con i propri soldi, non trovando quelli spariti, ha costruito quella funivia.

Come di può dire che non c’è differenza? No, non mi piace che Kanokov proibisca le manifestazioni dei balkari, ma la differenza è enorme. Come minimo per quanto riguarda la funivia.

Oppure prendiamo due presidenti: Batdyev della Karačaevo-Čerkesia e Mamsurov dell’Ossezia Settentrionale. Mustafa Batdyev è un ex consigliere di Čubajs[11], perfino un liberale, probabilmente. Non appena è giunto al potere nella repubblica, hanno cominciato a spartirsi gli affari e se li sono spartiti al punto che nella dacia del cognato del presidente hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco uno di quelli che si erano spartiti una fabbrica e sei suoi amici.

Ma Mamsurov non è un liberale. E’ di origine contadina[12]. Dietro a lui ci sono sia la vodka, sia i “samovar” per la raffinazione del petrolio. Non appena l’hanno attaccato i Kolesnikov[13] e il resto della procura e hanno preso a incarcerare le persone più vicine a lui, non ha permesso al presidente di sciogliere le “Madri di Beslan”[14] non le ha sciolte egli stesso. “Non è poco?” – dirà qualche liberale. Oltre che con le “Madri” non bisogna anche agire nei confronti di un regime criminale?

E’ facile dire “è poco”, quando stai a Mosca o addirittura a Londra. Ma provateci là – al posto del presidente di una repubblica che sa di dolore, petrolio e vodka. Ricordando che i tuoi figli erano a Beslan. Sapendo, che appena aprì un po’ più la bocca, nessuno ti aiuta più.

Non posso in alcun modo paragonare il presidente Batdyev al presidente Mamsurov. Non posso in alcun modo raccoglierli sotto la stessa definizione di “gente corrotta del Caucaso”. Euna faccenda strana. A me, una giornalista liberale, starebbe bene dare addosso alle autorità, ma non posso accomunare i diversi presidenti del Caucaso. Ma il fedele Šamanov può.

E infine la principale particolarità del pensiero federale, come appare nell’intervista a Šamanov. Questa – neanche una parola sugli uomini della federazione. Sono là, gente del posto con armi automatiche, corrotti. Da loro, dalla gente del posto, ci sono i clan (che in qualche modo permettono di sopravvivere in mancanza di uno stato), le vendette sanguinose (che in qualche modo si compiono, quando non c’è un sistema giudiziario) e la corruzione, con cui, è chiaro, le persone intelligenti del Cremlino non hanno nulla a che fare.

E questa è la principale falsità, perché il pesce puzza dalla testa e il Caucaso dal Cremlino.

In Daghestan è successo un caso del genere: è stato designato il nuovo presidente, Aliev, e questi ha designato il nuovo ministro dell’economia. Il nuovo ministro dell’economia è andato a Mosca. A chiedere soldi. “E dov’è?” – gli hanno chiesto al ministero specifico. “Dov’è cosa?” – “Quello che c’è sempre stato”. Il nuovo ministro è andato via e ha comprato una torta in un negozio. L’ha portata e ha detto: “Da noi adesso è una nuova era. Noi adesso siamo onesti”. Al ministero hanno pianto dalle risate.

E i soldi? I soldi il programma presidenziale – la costruzione di infrastrutture a Botlich[15] – non li ha ricevuti per molti mesi

Ecco ancora un altro caso. Ho già detto che il capo del ministero degli Interni del Daghestan è il bersaglio preferito degli attentati. Negli ultimi due anni hanno attentato due volte alla sua vita. La prima volta per attirarlo hanno fatto saltare in aria il procuratore della provincia di Bujnaksk, Bitar Bitarov. Adil’gerej è giunto nella provincia e hanno cercato di far saltare in aria anche lui. L’esplosione è avvenuta un po’ troppo presto: è stata aperta una voragine dove c’era la macchina di scorta e il capo del ministero degli Interni si è lanciato fuori dalla macchina, si è seduto dietro una ruota e si è messo a rispondere al fuoco. Ha dovuto rispondere al fuoco a lungo e non c’era modo di chiamare aiuto: le comunicazioni in quel posto non funzionavano.

La seconda volta per attirarlo hanno ucciso il figlio del più caro amico di Adil’gerej. E’ successo a mezzanotte, Adil’gerej è andato a piedi sul luogo dell’omicidio, per strada gli ha dato un passaggio un parente. Giungono sul posto, stanno nel cortile, conversano. In quel momento per strada c’è un’esplosione. “Probabilmente è la mia macchina”, – dice tristemente il capo del ministero degli Interni. Ed era precisamente la sua macchina, che aveva richiesto con urgenza.

Ma ecco: gli esecutori di entrambi gli attentati sono stati arrestati. E poi sono stati rilasciati. I primi dagli inquirenti, i secondi dal tribunale. Non prenderò in considerazione quelli che hanno compiuto l’attentato: hanno i conti aperti con Adil’gerej. Ma dal fatto che sono stati rilasciati traggo due conclusioni: a) in questi attentati i wahhabiti sono stati usati come killer a basso costo; b) i mandanti non erano wahhabiti.

E ora chiedo una cosa. Signori, potete immaginarvi in Cina o in Tanzania una cosa del genere: i militanti sparano contro il ministro della polizia e questi militanti, arrestati e accusati sulla base di testimonianze vengono rilasciati? Non si tratta di democrazia. Non si tratta di totalitarismo. Semplicemente non esiste una cosa del genere.

E poi i generali Šamanov ci racconteranno che il numero di wahhabiti aumenta perché è legato alle elezioni negli USA.

Julija Latynina[16]
osservatrice della “Novaja gazeta”

22.11.2007, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/89/19.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)



[1] Titolo conferitogli da Putin.

[2] Jurij Dmitirievič Budanov, colonnello russo condannato per crimini di guerra in Cecenia.

[3] Città della Russia centrale, dove è nato Lenin.

[4] “Notizie Moscovite”, giornale russo d’informazione.

[5] Ernst Kaltenbrunner, numero due delle SS, giustiziato dopo il processo di Norimberga.

[6] Capoluogo di provincia del Daghestan.

[7] Il wahhabismo è una corrente islamica fondamentalista, ma per “wahhabiti” in Russia si intendono i terroristi islamici in generale…

[8] Federal’naja Služba Besopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), i servizi segreti russi.

[9] Cekisti erano detti i membri della prima polizia politica sovietica (la ČK – Črezvyčajnaja Komissija po bor’be s kontrrevoljucej i sabotažem, “Commissione Straordinaria per la lotta con la controrivoluzione e il sabotaggio – il cui spelling russo è če-ka) e per estensione vengono chiamati così gli agenti segreti.

[10] La più alta vetta del Caucaso.

[11] Anatolij Borisovič Čubajs, uomo politico che guidò le privatizzazioni sotto El’cin.

[12] Letteralmente “viene dal vomere”.

[13] Vladimir Kolesnikov, vice procuratore generale.

[14] Il comitato delle madri dei bambini uccisi a Beslan.

[15] Villaggio ai confini con la Cecenia.

[16] Julija Leonidovna Latynina, giornalista e scrittrice.


http://matteobloggato.blogspot.com/2008/01/amanov-la-russia-e-il
-caucaso.html