Krasnovišersk. La città che non si è perdonata nulla
La prima “Norimberga” nella storia della Russia
Qualsiasi inferno può tornare.
Varlam Šalamov[1]
– Bambolina, il tuo pòljak[2] (accento sulla prima sillaba – nota dell’autore) arriva… Prepara la razione di pane – gridavano i ragazzini.
Questo significava che il polacco recluso era strisciato attraverso i fili metallici e veniva verso la nostra baracca. Portava un fascio di legna legato con il filo metallico. Per questo avrebbe ricevuto una razione di pane e io e la mamma avremmo mangiato il pane il giorno dopo o avremmo fatto durare la razione giornaliera per due giorni.
Gli uomini della VOCHR[3], evidentemente, consideravano le nostre baracche “zona”[4]. In effetti lo era: quando iniziò la costruzione della TÈC[5]-3 di Novosibirsk[6] risultò che non c’era dove alloggiare gli operai. La questione si risolse semplicemente: alcune delle nuove baracche del lager, che stavano nel punto di carico e scarico del legname, furono poste fuori dal filo spinato. Ruppero i pancacci e misero dei tramezzi. Si ottennero tredici stanze da un lato e tredici dall’altro. Il lungo corridoio aveva due uscite. Una veniva tappata in inverno. Non c’era luce elettrica. I movimenti della persone nel corridoio buio erano insolitamente precisi.
Ho raccontato due volte la mia infanzia nelle baracche. La prima volta in Polonia – in una scuola per bambini ipovedenti che è stata creata dal regista Krzysztof Zanussi. Per tutta la vita non mi ha mai lasciata il pensiero di trovare gli eredi di quel polacco a cui io e la mamma per un giorno davamo la nostra razione di pane. Sapevo che non li avrei mai trovati, ma guardavo caparbiamente i volti dei polacchi. Mi sembrava che avrei trovato qual polacco tra mille persone. Ora so che il mio smisurato amore per il cinema polacco si è nutrito di ricordi d’infanzia. Quella lingua sovraccarica di sibilanti l’ascoltavo senza traduzione. Il polacco non sapeva il russo né la mamma il polacco. Eppure conversavano.
Racconto per la seconda volta delle baracche del lager a Krasnovišersk nel distretto di Perm’[7]. La nota drammatica del mio racconto improvvisamente si muta quasi in entusiasmo.
– Sì-sì, tutto era proprio così, – esclama con gioia l’insegnante Svetlana Sartakova.
– Ma ricorda, – rammento io, – c’era anche una terza porta. In mezzo alla baracca. Dove c’era il bagno. Uno per tutti. E nessuna fognatura.
– Ma si apriva solo a primavera, – ha precisato lei.
E così ho incontrato la mia infanzia da lager. Molti di coloro con cui parlo sono nati dopo che il noto lager sulla Višera[8]. Ma le baracche continuarono ad esistere ancora a lungo. Quelli che erano nati in esse, parlavano di se così: “Io vengo dal lager” (il villaggio di Vižaicha, da cui più tardi si sviluppò Krasnovišersk, è chiamato da Šalamov Višera).
Perché non sono giunta là dieci anni fa? C’era la possibilità di parlare con i reclusi stessi. Beh, per esempio con Aleksandr Morozov, ingegnere delle comunicazioni di grande talento. Ha lasciato i suoi appunti sulla costruzione del complesso industriale. Ho delle domande per lui, ma non c’è a chi farle. E’ morto circa cinque anni fa.
21 luglio. Krasnovišersk. Mezzogiorno. Inaugurazione del monumento a Šalamov.
– E’ giunto il nostro giorno – dice Ekaterina Vidjukova, figlia di un “nemico del popolo”. Suo padre giunse sulla Višera con un trasferimento speciale. E una volta qui fu messo nel campo di concentramento secondo il noto articolo 58[9], comma 10. Una tipografia clandestina – ecco di cosa lo accusavano minacciosamente. Maksim Ivanovič aveva una passione: voleva che dopo la sua firma di contabile ci fosse un qualche timbro che desse affidabilità alla firma. La tipografia clandestina stava in una scatola di fiammiferi.
…Si parlava di ciò che è radicale, importante: della doppia morale della politica dello stato, della propria verità, che deve diventare un ammonimento per la giovane generazione; del silenzio dei padri, a cui fu imposto l’obbligo di tacere; del silenzio dei figli, a cui nessuno impose quest’obbligo, ma i figli sapevano che bisognava tenere la bocca chiusa[10]; del silenzio dello stato come modo per nascondere il mostruoso crimine. L’idea dominante di tutti gli interventi è la protesta contro la politica, che proibisce alle persone di avere la propria opinione su ciò che accade e limita la libertà dell’uomo.
Il refrain di tutti gli interventi è: perché? Non è un’esclamazione retorica, è la necessità dell’uomo di sapere perché è stato rovinato un destino e versato del sangue. A quale diavolo è stato dato perché ci si divertisse un dono senza prezzo – la vita.
– Questo è un fatto storico per la nostra provincia – ha detto lo scrittore di Perm’ Jurij Aslan’jan – Dare un senso ai segreti e non nasconderli – ecco di cosa noi tutti oggi abbiamo bisogno.
A volte sembrava di essere a una manifestazione dell’opposizione. Fra l’altro non era così. Qui c’era altro: non l’attuale lotta contro il potere, ma la verità per cui ha sofferto più di una generazione: l’uomo è libero. E non può, non deve essere altro.
E così il monumento a Varlam Šalamov viene inaugurato nel luogo in cui si trovava il PRIMO campo di concentramento modello, dove si elaborava la tecnica di annientamento di quanto c’è di umano nell’uomo, dove la libera personalità si trasformava in muta forza lavoro. I primi costruttori giunsero a Vižaicha nel 1928. Erano 150 persone. Era la quarta sezione dello SLON[11], creata nel 1928 (la comparsa del primo lager alle Solovki risale al 1924).
Capo dell’amministrazione della VIŠCHIMZ (la costruzione delle Višerskie Chimičeskie zavody[12]) fu nominato Èduard Berzin. Il lager fu dato all’amministrazione in qualità di forza lavoro. Commissario del 9° plotone dei tiratori scelti della Lettonia, coinvolto a suo tempo nel famoso caso dell’ambasciatore inglese Lockhart[13], Berzin aveva i suoi ispiratori. Inizialmente Dzeržinskij[14], poi Menžinskij[15].
Il tipo di lager, che più tardi fu stabilito come norma del Gulag, si formò proprio qui, sulla Višera. Il lager come significativo soggetto economico dello stato. Le basi dell’economia criminale furono poste qui.
…Šalamov fu arrestato il 19 febbraio 1929. Il 13 aprile entrò dai cancelli del Višlag[16], dopo essere stato picchiato durante il tragitto solo per aver difeso un giovane appartenente a una setta religiosa che veniva deriso dalle guardie. Già il 6 luglio fu spedita dal Višlag una lettera al CC del partito con la richiesta di far cessare gli insulti alla dignità umana.
Passò qui tre anni (per poi andare a Bereznjaki, Solikamsk e altri luoghi del distretto di Perm’). Era in trasferta, come qui dicevano allora e dicono ancora.
Già le prime poche ore sono sufficienti per percepire l’atmosfera particolare di Krasnovišersk. Si abbracciano, piangono, si baciano… E’ giunta da Tallinn Evgenija Alekseeva, insegnante. Secondo l’articolo 58 furono deportati sua madre, suo padre, suo fratello… Piange di dolore e di gioia.
– Non puoi contarli tutti, – dice.
– Ma perché li deportarono?
Evgenija Alekseeva ride:
– Perché non erano andati al kolchoz, ma ad uccidere Kirov[17].
Racconta degli estoni che furono deportati sulla Višera – questi furono grati per tutta la vita alla popolazione locale. Qualcuno manda un saluto dalla Sassonia meridionale da parte dei tedeschi, il cui destino fu insolitamente tragico: quando il nostro esercito arretrò, i tedeschi furono mandati in Germania. Quando ci fu la liberazione dei territori tedeschi, i tedeschi subirono la deportazione, cioè il ritorno nella loro patria storica. Li riportarono nel Gulag.
…Piange il prigioniero Grigorij Vesel’skij – insegnante di matematica. E’ un artista.
Ma ci sono anche quelli che non sono venuti. Per un motivo: “Non tornerò. Lo so con precisione”.
Sì, questo è il loro giorno.
Ecco, è così: l’atmosfera di Krasnovišersk è creata da persone con una particolare biografia e un particolare destino.
– Membri della criminalità organizzata e criminali comuni, – dice l’insegnante Nina Djukova, – erano amici del popolo e del potere, perciò dopo aver scontato la pena lasciavano i nostri posti. I deportati secondo l’articolo 58 erano sottoposti a un regime di colonia penale – dopo la condanna passavano, come si diceva allora, a un regime di deportazione. Molti restavano qui.
Il nucleo fondamentale sono gli eredi dei “nemici del popolo”. Ma anche quelli che hanno evitato questa sorte sono felici di aver avuto la possibilità di aver avuto a che fare con queste persone durante la loro infanzia e la loro adolescenza.
Uno di essi è l’insegnante di storia Igor’ Jakovlev. Ha ricordato molte persone, ma un ruolo particolare nella sua vita l’ha avuto il greco Konstantin Gagasi. Un uomo coltissimo, un eccellente agronomo. Dopo una condanna a dieci anni non aveva diritto di tornare in Crimea. Lavorò in un sovchoz[18] come economista.
– Ho imparato molto da lui. Beh, per esempio, ho acquisito questo: per quanto odi una persona, proprio tu devi dire per primo “Salve!”. Oh! Adesso so cos’è la fredda gentilezza aristocratica.
E ancora ha ricordato che questi hanno tracciato un confine netto tra il bene e il male.
Da quella parte del fiume Višera si trovava un centro agricolo – un “figlio” del noto eroe del racconto di Šalamov “Chan-Girej”.
– Il mio centro agricolo, – dice Igor’. – Qui io ho saputo per la prima volta che i detenuti non erano delinquenti e briganti. Ecco i cerchi dell’Inferno dantesco: il centro agricolo, l’imbarcadero, Baranij Log[19], l’officina automobilistica – queste sono le mie università. Qui c’erano cosacchi del Don, tedeschi del Povolž’e[20], tatari di Crimea, abitanti di Tjumen’, Čeljabinsk[21], Kurgan[22], armeni, bulgari, polacchi… Era la costruzione della torre di Babele.
Chiedo a Igor’, come si sentivano i detenuti una volta in libertà. Con un marchio del genere.
– Ho acquisito dall’infanzia una verità: il nemico è chi ha ucciso, rapinato, stuprato. Noi sapevamo che i detenuti secondo l’articolo 58 non avevano ucciso nessuno, non avevano rapinato nessuno. Tra il popolo c’era questa opinione: “E’ dentro[23] senza motivo”. Ecco questo “è dentro senza motivo” determinava i nostri rapporti con loro.
Igor’ ha ricordato in qualche modo che qui viveva un uomo di Vlasov[24] e i ragazzini a volte lo chiamavano traditore. Però questo era l’unico caso.
– Tornerei a quel tempo. Adesso mi sentirei in colpa. Mi sono molto interessato al destino dei soldati che andarono con Vlasov. Una terribile tragedia, ma allora che ne sapevamo?
I prigionieri erano bibliofili. Una delle più ricche biblioteche della città era quella dell’ingegnere prigioniero Morozov, che lavorava con Berzin. Quando il nipote vendette la biblioteca del nonno, Igor’ comprò molti libri. Per mezzo di questi ha potuto farsi un’idea degli interessi dell’ingegnere caduto in disgrazia.
– Non vi preoccupate, – ha detto Igor’. – Difficilmente avreste conversato con lui. Era chiuso. Taciturno.
Lo scrittore Jurij Aslan’jan è grato a suo padre per averlo convinto a incontrarsi con i prigionieri e a trascrivere i loro racconti. Il padre disse al figlio: “Solo la conoscenza della verità rende l’uomo libero”.
Una schiena dritta è la principale impressione che si ha dall’incontro con chi è passato per il lager.
Una schiena dritta è la principale qualità degli abitanti di Krasnovišersk, ereditata dai padri e dai nonni.
Dopo, quando sono andata in giro per Solikamsk, Borovsk[25], Bereznjaki, molti mi hanno chiesto:
– Ha fatto caso che città colta è Krasnovišersk?
Ecco che tipo di selezione sociale è stata fatta. Si può solo supporre in quale sciagura biologica si sia trasformato il Gulag per la Russia.
Proprio da qui, dalla Višera, il più grande luogo di deportazione di quei tempi, come ritiene lo storico di Perm’ Viktor Šmyrov, “cominciò la lunga strada per Solikamsk, per il luogo di detenzione “Partizan”[26], per i lager di lavoro forzato e per i lager speciali dello MGB[27] dell’URSS. Probabilmente la strada più terribile della storia dell’umanità. La strada dell’assassinio, dello stupro e della degradazione di milioni di persone”.
Il lager
A tarda sera navighiamo su un piccolo piroscafo, che è a disposizione del provveditorato agli studi per il trasporto degli alunni dei villaggi sulle rive. Eccolo, il famoso centro agricolo dove Chan-Girej faceva crescere un tipo di cavolo che fino ad allora nessuno aveva mai visto. Ci volevano due persone per abbracciarlo. Questi era un principe tataro, generale al seguito di Nicola II. Fin dall’infanzia Chan-Girej era dominato da un sogno – far crescere le rose. Se si crede a quanto dice Šalamov, i fiori fatti crescere da Chan-Girej veniva portato a Sverdlovsk[28] per essere esposti. “I fiori al Nord sono una strada per la libertà” – pensava il principe tataro. E si ingannava. Durante il primo anno di permanenza nel lager Šalamov fece visita a Chan-Girej grazie a un permesso speciale. Successe d’estate. Berzin esigeva sul suo tavolo una rosa fresca ogni giorno, indipendentemente dalla stagione. E ogni giorno una rosa fresca giungeva sul tavolo del cekista[29]. Chan-Girej era un grande selezionatore. Berzin lo portò con se sulla Kolyma[30] e Chan-Girej fondò un’intera serie di istituzioni agricole al Nord. Il 16 settembre 1938 fu condannato alla fucilazione.
Ecco la cava di pietre. Le condizioni di lavoro – puro medioevo. Qui lavorò Ivan Saenko, qui si distrusse i polmoni. Passiamo oltre Bachari – in tutto qualche caso sul bordo del fiume. Assolutamente lontane da tutto.
– Perché lontane da tutto? – chiede Nina Djukova. – Vivono, crescono i figli, pescano. Questo non è essere lontani da tutte. Questa è vita dentro di se.
Il Nord insegna che la solitudine è la condizione ottimale dell’uomo. Anche Šalamov.
Nina Djukova è nata presso la foce della Višera – a Petrunichi e la c’era una baracca. Quando giunse là Šalamov, c’erano in tutto dieci baracche per duemila persone. Poi comparvero 44 baracche e 11000 detenuti. Secondo i dati di “Memorial”[31], per il lager sulla Višera passarono 70000 persone.
Finora si può ancora vedere molto. Finché ci sono coloro che possono testimoniare.
Igor’ ha disegnato la pianta del lager secondo i racconti dei testimoni oculari. I vecchi abitanti conoscono i luoghi di sepoltura. Talvolta si può sentire: “Sì, seppellivano dietro il decimo magazzino e dietro il secondo bagno a vapore”, “Ma dietro l’azzurro Dunaj[32] quante sepolture, senza parlare degli stagni, dove affogavano i vivi”.
Mi sono fermata a Teplovka. Il nome della località è stato dato da uno dei comandanti del lager, Teplov, che si distingueva per la particolare crudeltà.
– Ma chi era a Pesčanka fu trattato in modo ancora più terribile da Teplov… Là tutto il villaggio morì.
E’ del tutto probabile che sotto i miei piedi ci siano delle ossa. C’erano così tanti cadaveri che non riuscivano a seppellirli. Di solito ammucchiavano i cadaveri, ci versavano sopra della calce e li gettavano nelle depressioni del terreno. Dopo Cristo, secondo Pasternak, l’uomo non muore in un cortile o per la strada, ma presso di se nella storia. Ora sappiamo come siamo morti nella nostra storia.
– Sì, seppelliva in tutto il perimetro di Vižaicha, – dice un vecchio abitante.
Ekaterina Vidjukova ricorda che una volta suo padre vide due vecchietti asiatici seduti sulla neve. Li avevano appena portati là. C’era un vero freddo uralico. I vecchietti portavano vestaglie di seta imbottite. Non parlavano in russo. Sedevano immobili. Suo padre cercò di fargli capire che non dovevano sedersi. Bisognava battere le mani tra loro e battere i piedi per terra. I vecchietti continuavano a stare seduti. Al ritorno vide i cadaveri irrigiditi e quella notte stessa i membri della criminalità organizzata si coprivano di vestaglie asiatiche.
Il giorno dopo andiamo nel territorio del lager. Ancora ieri sfavillava il chiaro sole uralico. Oggi fa freddo. Piove. Luglio è come autunno avanzato. Siamo in quattro: l’insegnante Igor’ Jakovlev, Ekaterina Vidjukova, il direttore della casa-museo di Šalamov a Vologda Rimma Rožina e io.
Il Višlag è veramente il modello classico del Gulag. Con l’impianto igienico, l’obitorio, la casa di appuntamenti, le vie di baracche che portavano tutte il nome dello scrittore proletario Gor’kij (1.a, 2.a, 3.a, 4.a e così via). C’era la zona speciale dell’amministrazione. La cosiddetta montagnola: una fontana, una pista per il pattinaggio sul ghiaccio, un bestiario (due orsi e un alce), un teatro e perfino una gabbia per gli uccelli. Qui, evidentemente, nacque la geniale formula di Šalamov “Il lager è simile al mondo”. Resta da chiarire come il Gulag influenzi la nostra organizzazione del mondo. In quali forme resta nella nostra vita.
Qui, nel teatro, la mamma di Ekaterina Vidjukova vide per la prima volta il suo fidanzato. Interpretava Nesčastlivcev nel “Bosco” di Ostrovskij[33]. Sua madre, sedendo in sala, proferì ad alta voce: “Ma tu non parli così, niente affatto”. Al momento di andare in scena il teatro bruciò con attori e spettatori, poiché c’era una sola uscita.
…Il luogo occupato un tempo dalle baracche del lager è vuoto e abbandonato, anche se è molto vicino al centro. Finora nessuno ha costruito qui: tale è la reputazione del posto. Ho visto due persone che si agitavano nel loro spazio. Nella notte qualcuno aveva bruciato la loro capanna.
– Sì, io sono Sljusareva. Sono di Višera. Deportata speciale. Come tutti, anch’io. Costringevano mio padre a portar via i cavalli alla gente, ma lui – niente da fare!.. C’era il lager. Questa è la mia casa natale. Nel ‘30 deportarono il babbo dalla regione del Kuban’[34]. Li nutrivano di bucce di patate. Era tutto qui. Mio marito ha avuto sette paralisi. Come lo salvo? Beh, lo massaggio e vive. Si alza.
Di tutte le disgrazie qui parlano a bassa voce. Senza pathos o esaltazione, letteralmente davvero l’essenza del mondo non è scritta per noi, come disse Šalamov. La disgrazia è letteralmente l’essenza della vita. E’ come un altro livello di percezione del mondo, dove i nostri ahi e ohi sono ridicoli o blasfemi.
Ekaterina Vidjukova ricorda come vivevano liberamente nel lager i membri della criminalità organizzata e i delinquenti comuni. Rubavano la biancheria fuori dalla zona. Potevano giocarsi un uomo e perderlo, ma in nessun caso ci sono state indagini.
Non c’era alcun mezzo meccanico – piccone e pala. Scavarono fondamenta della profondità di 25 metri. Sotto smottamenti e crolli morirono delle persone. I lavori di preparazione del legname erano particolarmente pesanti. La presenza di legname era la condizione fondamentale per costruire una cartiera. I contadini giunti dalle regioni del Don e del Kuban’ venivano cacciati nella taiga. Non avevano esperienza di lavoro in grandi boschi. Spesso morivano semplicemente. Lasciavano un uomo nella taiga finché non adempiva la norma. Senza cibo. Senza possibilità di riscaldarsi. Perfino dopo esser tornati nel lager, molti non ricevevano cibo. La razione era il mezzo per ottenere l’adempimento della norma. Il mezzo per costringere l’uomo a “dimenticare di essere un uomo” (Šalamov).
C’è ancora, questa cartiera, che a giugno doveva ai lavoratori 24 milioni di rubli[35] di stipendi arretrati. L’anno scorso hanno bloccato la strada. Molti giovani se ne vanno a Solikamsk e a Bereznjaki. Il direttore della cartiera non è andato all’inaugurazione del monumento. Cioè non ha capito nulla né della storia del nostro paese né della storia della cartiera. Il suo cognome è Belkin.
Voglio trovare il luogo delle esecuzioni.
Ecco la strada da qui andava a nord, saliva “e in questa strada in un afoso giorno d’estate qualcosa si mosse”[36]. Ma si mosse una nube di polvere, sollevandosi lentamente da qualche posto in lontananza.
Conto dieci passi dal presunto luogo delle esecuzioni. Ecco che qui la nube si è fermata.
“Questa era una tappa che si faceva venendo dal nord – giubbe grigie, pantaloni grigi, tutti impolverati. Occhi sfavillanti, denti di persone sconosciute e in qualche modo terribili”.
Mi sono ricordata di quando varcai per la prima volta la soglia di un lager a regime duro una quarantina di anni fa. Era una grande sala, c’erano circa quattrocento persone. Tenni la mia prima lezione di psicologia ai detenuti. Crani calvi, arcate sopraciliari basse, giubbe imbottite grigie. So con precisione che quella era in tutto e per tutto la sensazione di angoscia interiore che diviene paura narrata da Šalamov, anche se di Šalamov non sapevo nulla. Ecco come si può trasformare subito un uomo in una massa grigia incolore, mi venne da pensare.
All’improvviso, inaspettatamente, penetrò una forte luce. Tutto sfavillò ad un tratto. Erano gli zèki[37] che si alzavano dalle sedie di plastica colorate. Il contrasto feriva gli occhi: ciò che era vivo era senza colore, ciò che era morto – colorato.
A volte fermo Igor’ e Ekaterina Maksimovna con una domanda: davvero finora nessuno vi ha scritto?
– E a chi interessa questo? – dice Ekaterina Maksimovna.
Se ne sono andati nonni e nonne, padri e madri. Hanno portato via con se il segreto della loro vita.
– Interessa agli studenti, – ricorda Igor’. – Fate attenzione, interessa sempre. In quindici anni di lavoro non ho avuto una sola classe in cui non ci fossero bambini di famiglie di vittime delle repressioni.
L’allievo di Igor’ Roman Zajcev ha ricevuto il terzo premio al concorso nazionale “L’uomo nella storia – il XXI secolo”. “Così è nata la mia città. Dolore e gioia” è il tema svolto. Sapete come il lager delle Solovki si estese sul continente, dopo essere divenuto il primo lager industriale. Là c’è un passaggio del genere: “Insieme al lager è stato tolto il filo spinato ed esso è divenuto uno dei microquartieri del sobborgo operaio, che è rimasto fino ad oggi. Le strade del lager sono divenute le vie della città”. Insomma non c’è bisogno di nulla: basta togliere il filo. E siete nel nostro mondo.
– Io non divido le repressioni in periodi. Per me c’è un solo periodo – dagli anni ‘20 agli anni ‘50. Le ondate di repressioni si susseguivano, anche se ufficialmente il lager non esisteva più.
Igor’ porta avanti un lavoro di ricerca con gli studenti. Questi individuano i luoghi di deportazione speciale e vi pongono delle croci. Una volta ha detto:
– Sapete, ad Aralovo[38] c’è l’icona dal titolo “Allevia il mio dolore”.
Non posso sfuggire al senso del titolo.
A Krasnovišersk non c’è una chiesa né una libreria. Il dolore dell’insegnante di storia è uno solo. Tutti i documenti sono chiusi. I documenti sui detenuti del Višlag sono da qualche parte nei lager della Mordovia[39]. Ma nessuno si da per inteso.
Durante le giornate dedicate a Šalamov è stato donato un documento al museo di Krasnovišersk: l’atto di liquidazione. Il trasferimento di proprietà del lager. Proprio di questo parlano gli addetti ai musei di Solikamsk e Bereznjaki. In questi posti si sarebbero potuti creare centri di ricerca per lo studio di un terribile periodo della nostra storia. I tedeschi di Solikamsk hanno pubblicato tre volumi di materiale sconvolgente sul destino dei tedeschi del Prikam’e[40]. Rigorosi documenti si accompagnano a storie personali e destini privati che fanno rabbrividire. Questa è un’iniziativa privata. La direttrice di uno dei musei di Solikamsk ha detto: “Ho tentato di convincere le cattedre di storia. Che almeno gli studenti venissero coinvolti nel lavoro, che è tantissimo. Ecco solo uno strato sociale: i contadini deportati. Una famiglia poteva arrivare a 25 persone. Dove sono? Qual è stato il loro destino? Che diventasse chiara non solo la tragedia di una singola persona, ma anche il prezzo di tutte le nostre trasformazioni sociali”.
Un altro addetto a un museo mi ha detto mi ha detto che conosce perlomeno 20000 casi, la cui apertura non può essere rimandata. Ricordo: Solikamsk era la prigione di passaggio di tutta l’Unione Sovietica. Raramente qualcuno la evitava, se era diretto nell’est o in Siberia.
La figlia
– Il mio nido di nobili è la baracca numero tre, – dice Ekaterina Maksimovna Vidjukova.
Suo nonno aveva servito fedelmente lo zar per 25 anni nel Caucaso (a Tiflis[41]). Il distretto del Don di cui il nonno era originario passava da una banda all’altra. Per due volte il nonno fu messo al muro. Ma all’ultimo minuto si sentì “Ri-poso!” – e il nonno rimase in vita. Una volta vide che nella steppa correva un uomo a cavallo e due persone coi fucili lo rincorrevano. “Lo ammazzeranno!” – pensò il nonno e aprì il cancello. L’uomo a cavallo si nascose. Gli inseguitori restarono a mani vuote. Alcuni giorni dopo l’uomo salvato tornò a ringraziare – era Dybenko, noto rivoluzionario.
Giunse l’anno del grande trapasso. Il nonno non entrò nel kolchoz e divenne un deportato speciale. Ma aveva sei figli. Quattro già adulti, presero una decisione. Furono costretti a rinnegare il padre. In caso contrario sarebbero stato dei “giusti dei nord[42]”, come dicono qui. Il nonno andò verso il luogo di deportazione con due figli. Maksim aveva vent’anni, Trofim quattordici. Ma già da deportato speciale Maksim ebbe il suo articolo 58 per la tipografia clandestina.
Era nel lager per colpa di due lettere – “S” e “T”. Seguiva il movimento dei detenuti. Era impensabile per estensione.
C’era una cassa speciale, che si apriva da due lati. I cadaveri venivano subito gettati nelle depressioni del terreno. E non c’era bisogno di far girare il carro. Era comoda una cassa del genere.
Il nonno tentò di tornare a casa dopo la riabilitazione. Non riuscì a trovare una lingua comune con i figli che avevano rinnegato il padre. La ferita sanguinava da due parti.
Una volta un ex detenuto andò alla dacia dei Vidjukov. Raccontò come loro, gli operai, erano costretti a sparare gli zèk.
– Ci davano un bicchiere di vodka e una pistola. Io sparavo stringendo gli occhi, ma sapevo di colpire nel segno. Non si poteva non colpire nel segno. Le persone erano pigiate come acciughe.
– Piangeva, – dice Ekaterina Maksimovna. – Il carattere criminale del potere sta nel fatto che legava i condannati a se con il sangue.
Per il nonno, la nonna e il padre deportati Ekaterina Maksimovna riceve 400 rubli[43] al mese. Dopo operazioni molto complesse le proposero di prendere la pensione di invalidità, avvertendola: se prendi l’invalidità, ti toglieranno i quattrocento rubli. L’insegnante rifiutò l’invalidità.
Il volume di Šalamov che ama di più è il terzo. Si meraviglia che tutti noi abbiamo scoperto tardi il poeta Šalamov.
Ricorda sempre le parole di Varlam Tichonovič: i versi vanno letti lentamente.
– Ha ragione, quando dice che i versi acquisiscono il carattere del destino, – non domanda e non afferma l’insegnante.
Mette sullo stesso piano i versi di Puškin[44], Tjutčev[45], Fet[46] sulla primavera e legge quello che scriva Šalamov sulla primavera. Striscia con gli stracci erbosi dell’anno scorso, con la sola biancheria addosso. Con gengive, su cui appare sangue.
– C’è un’immagine del genere nella poesia mondiale? – domanda. Non so.
Il nipote
Di suo nonno Vladimir Grečucha può dire così: la sua vita è passata tra due scrittori. Andrian (o Andrej) Grečucha nacque a undici verste[47] da Dikan’ka[48]. Cioè vicino a Gogol’. La seconda parte della vita la passò a Vižaicha, vicino a un altro scrittore – Varlam Šalamov.
Erano tre fratelli: Vasilij, Ivan e Andrej. Il nipote guarda le fotografie. Sul recto di una leggiamo: “Noi tre siamo come uno. Insieme, seppure su una carta, perché ci ricordino”.
Adesso nessuno sa più come Ivan e Vasilij finirono a Parigi. Il fratello minore era destinato a passare per tutti i lager.
Talvolta il nipote dice: “Ho fatto i conti”, “Ho chiarito”. Vuole ristabilire il percorso di vita del nonno.
Le fotografie testimoniano che un contadino russo benestante all’inizio dello scorso secolo era indistinguibile da un parigino. Forse ha ragione anche chi ha detto: la vera aristocrazia è stampata nei volti dei contadini.
Al momento dell’arresto la famiglia si disperse. Alcuni finirono alle Solovki, altri nel governatorato di Archangel’sk[49]. Dopo aver scontato la condanna il nonno fu confinato a Vižaicha. Passò tutta la vita sulla Višera. Amministrò un garage. Si occupava di lavori di ingegneria. Quando gli fu proposto di iscriversi al partito disse: “Non riesco a bere quanto bevete voi”. E questo fu tutto!
La pronipote di Andrian ha ottenuto il documento che decise il destino di un’enorme famiglia. In esso sta scritto che Grečucha è un achlement[50] antisovietico. Signore, perdona noi peccatori! Un contadino alacre e benestante e un delinquente semianalfabeta.
Fino agli ultimi giorni Grečucha mantenne la schiena dritta.
Ma i fratelli parigini cercarono caparbiamente il minore. E lo trovarono! Negli ultimi tempi gli hanno inviato dei pacchi (sapone, semola, tè, stoffa). Andrian vide le loro fotografie. La moglie di un fratello era una top-model. L’uno e l’altro avevano delle villette.
Una volta il nonno non resse e portò il nipote per negozi. Comprarono caramelle costose, per dimostrare che esisteva il paradiso staliniano.
Per diciassette anni il nonno si prese cura della moglie paralizzata Efimija Jakovlevna, quella da cui lo separarono con l’arresto.
Il nipote ha parlato alla conferenza. Era agitato. Va in giro con un’Oka[51] scassata. E’ felice che ci sia lavoro. E’ aiuto bulldozerista alla Uralalmaz[52]. Sta12 ore nell’argilla con gli stivali di gomma. Lo stipendio è di 11000 rubli[53]. Un tempo la Uralalmaz era un’impresa ad azionariato popolare e i cottage che sono stati costruiti qui, appartenevano non solo alla dirigenza, ma anche ai lavoratori. Ma qualcosa, come sempre da noi, è successo. I lavoratori sono stati costretti a vendere le azioni… Dove e a chi vadano i diamanti – adesso nessuno lo sa.
Che strano: gli Urali sono il magazzino del mondo. Nella provincia di Krasnovišersk estraggono gas, petrolio, oro, diamanti. Intorno ci sono possenti boschi, un’aria inebriante, bellezze naturali meravigliose e alla gente resta un solo privilegio – mantenere la propria dignità. Se è stata lasciata in eredità.
– Vede, – mi dice un funzionario, – il nostro popolo vuole avere molto e subito.
Sì, davvero, questo popolo ha ricevuto appieno. Molto e subito. Allora nella cartiera lavoravano gratis. Adesso trattengono la paga. E la persona di nuovo non è un soggetto della storia. E’ di nuovo un oggetto di manipolazioni. La coscienza da Gulag del funzionario russo è indistruttibile.
Sappiamo e ricordiamo
…Bajadin Fëdor Fëdorovič[54]. Contadino. La famiglia fu mandata sulla Pečora[55] e questi sulla Višera. C’erano quattro figli nella famiglia. Due figlie morirono. Una in segheria, l’altra di fame. A Krasnovišersk vive una sua pronipote…
…Filipp Dmitrievič Šiškin. Partecipante al processo di liquidazione dei cosacchi. Paramedico. Per i confinati fu un grande[56] dottore. I suoi pronipoti vivono sulla Višera.
…Efim Aleksandrovič Račkovskij. Confinato per deviazione dalla linea di credito del partito. Lavorò come agronomo nel kolchoz. Non c’è nessuno a cui si possa raccontare di lui.
…Abaturov Ivan Nazarovič. Arrestato secondo l’articolo 58 nel 1928. A febbraio fu inviato sotto scorta a Vižaicha. Lavorò in segheria. Prima della fine della sua condanna giunse da lui la famiglia, che in patria era passata attraverso le repressioni. Nel 1933 morirono di tifo il padre, la madre, la sorella e due figlie in tenera età. Il figlio maggiore e una figlia vivono a Perm’.
...L’insegnante Nina Djukova – principale guida delle manifestazioni in onore di Šalamov sulla Višera – legge la lista delle vittime delle repressioni. Vengono i brividi. Questo ricorda la lettura delle liste dei fucilati nel lager. Manca la banda.
C’è una conferenza su Šalamov, che potrebbe competere con qualsiasi simposio internazionale. A Krasnovišersk studiano Šalamov per davvero. Nelle scuole lo si studia già da dieci anni. Il 30 ottobre, nel giorno della commemorazione dei detenuti politici, ha luogo un concorso per la migliore illustrazione dell’antiutopia “Višera”.
…Merita ascoltare la relazioni dell’insegnante Igor’ Jakovlev. Questi ha contrapposto la descrizione della costruzione della VIŠCHIMZ in due opere – una di Šalamov e una di Bušmanov[57]. I libri (cosa stupefacente!) sono stati scritti nella stessa epoca.
Così la VIŠCHIMZ è il più lampante esempio di industrializzazione. Dall’altra parte, dice Igor’, è un territorio infernale per il quale sono passate decine di migliaia di persone. Ricordiamo: “Nell’autunno del ‘29 con cinquanta detenuti navigavo da Vižaicha a Usol’e[58] per dare vita al gigante del primo piano quinquennale – Bereznjaki” (Varlam Šalamov). I protagonisti principali dei racconti di Bušmanov sono i dirigenti e i lavoratori liberi, giunti dai villaggi circostanti per guadagnare qualcosa. Secondo tutti i canoni del realismo socialista un contadino analfabeta autodidatta legge complessi disegni tecnici, assembla le macchine più complesse. E se entra in discussione con specialisti stranieri – di regola vince lui, non loro.
“…A Krasnovišersk il vice responsabile della costruzione Filippov rifornisce un’intera brigata di lavoratori di canapi, legati a cinghie da bardotti e si affretta a soccorrere il convoglio”, – così Bušmanov descrive i fatti veri che vengono fatti passare per eroismo dei costruttori.
Come fu costruita la VIŠCHIMZ in realtà? Solo un dettaglio della vita: “Là, in quelle baracche, indicava al novellino con un gesto della mano un angolo scuro e puzzolente, dove non c’era posto non solo per un uomo, ma neanche per un gatto. Il novellino si sollevava sui dormienti e chiudeva gli occhi. Con la forza del proprio peso si faceva posto tra gli altri corpi” (Šalamov).
Bušmanov venne a sapere che il campo di concentramento esisteva. Subì la repressione. Seppe, come dice Igor’, uscire dalla macchina del Gulag. Diventò segretario del comitato provinciale e proprio tre anni dopo che Šalamov scrisse “Višera”, pubblicò la sua “anti-Višera», che ebbe per titolo “Il risveglio della taiga”.
– Fu un ordine politico, – dice Igor’.
– Ma Bušmanov non lesse il testo di Šalamov, – dico io.
– Penso che il KGB a suo tempo abbia letto “Višera”. C’era bisogno di una “anti-Višera”. Questa comparve.
Fa una pausa e dice:
– Penso che un giorno chiariremo queste macchinazioni.
Igor nomina anche un’altra opera polemica – sul noto kolchoz sulle rive della Višera, scritta anch’essa, a proposito, da Šalamov. Il tono è lo stesso: eroismo, grande lavoro. Cioè, c’è questa preoccupazione – decorare il campo di concentramento. E forse in questo processo abbiamo successo.
Beh, Bušmanov – d’accordo! E’ semplicemente cattiva letteratura. A Bereznjaki mi sono incontrata con il giornalista Andrei Gramolin. Questi ha condotto il programma televisivo “Šalamov e Paustovskij[59]”. E’ andato in onda sul canale televisivo locale. Chi avrebbe potuto pensare, che l’opera truffaldina di Bušmanov fosse un penoso calco del racconto di Paustovskij “Il sale della vita”?
Leggerlo è doloroso e amaro. Io speravo comunque che Paustovskij fosse nell’ignoranza. Ma se non avesse capito che questo era un campo di concentramento? Beh, si era ingannato.
No! Vide e capì. Tutto!
Un esempio: l’ingegnere sovietico Friš viene arrestato. E’ accusato di sabotaggio. “Ma a Perm’ Friš fu liberato per mancanza di prove”. Noi e voi sappiamo cosa potesse accadere a un ingegnere, per di più tedesco, a Perm’ o a Solikamsk.
Ma anche questa falsità pareva poco. Friš si rattristò molto di non poter esser presente al pubblico processo contro “quelli che avevano raccontato falsità contro di lui – un giovane e scrupoloso specialista sovietico”. Vengono ricordate anche le rivolte dei lavoratori, ma questi non erano affatto lavoratori, erano ubriaconi.
“I bolscevichi li “distrussero” da qualche parte là, in ambito familiare?”
Gli specialisti stranieri dicono della fabbrica:
– Non mi aspettavo un progetto così ben pensato e grandioso.
“Quel mattino gli specialisti stranieri assomigliano all’esercito napoleonico”, – così sono qualificati gli stranieri.
Le qualità artistiche rafforzano soltanto la falsità.
“Il sole basso illuminava le strade silenziose tra i villaggi. Il cielo sopra di esse si stendeva come mani pallide”.
Anche sul cielo nei lager noi e voi sappiamo qualcosa da Šalamov:
Marciscono le ultime ribaditure,
E crolla il cielo di un morto,
E, disfacendomi in polvere e cenere,
Io sogno fino alla fine.
– Ti immagini, uno scrittore siede in un albergo del partito con una toilette calda, l’altro trascina gli stivali del lager per scendere all’inferno – dice Andrej Gramolin.
L’insegnante Igor’ Jakovlev ha ragione: non c’è necessità di scoprire nulla, c’è necessità di capire, come questo sia stato possibile.
…Un altro tema principale è stato proposto alla conferenza. Lo stesso Šalamov lo chiamava l’errore della letteratura artistica. Talvolta precisava: l’errore pedagogico.
Si tratta della romantizzazione del mondo illegale, criminale. La lingua reagisce rapidamente alla realtà della vita. Il lessico della malavita diventa rapidamente un modello, facendo funzione di risorsa del vocabolario. Certo, dal lessico al comportamento reale la distanza è enorme, ma proprio qui, sulla Višera, la gente sa bene come la parola porti con se l’atto. Il tentativo di romantizzare la criminalità (basterebbe “Brigada”[60], “la canzone melodica moderna” ecc.) è la testimonianza di un malessere sociale. Qui si ricorda il grido d’allarme di Varlam Šalamov: “L’infezione malavitosa contagia la società”.
Alla Starkova, relatrice, ha studiato la vita della parola “malavita” in varie lingue. Perfino in aramaico.
– Comunque il legame attraverso il sangue – è il principio basilare di esistenza di qualunque banda. Nella parola stessa c’è già lo stimolo a un determinato modo di agire, – dice Alla, insegnante della scuola n. 1[61].
Nina Djukova, sotto il cui patronato si è svolta tutta la conferenza, ha detto che più di tutto la colpisce la parola di Šalamov. Il mondo nero è descritto in modo cristallino con una parola pura. E’ interessante, qual è il meccanismo interno di questa fusione? Abbiamo cercato a lungo di trovare una definizione. Non l’abbiamo trovata. E solo più tardi in una lettera della traduttrice polacca M. Bechius-Rudnicka si è trovata la formula dello stile: “Oscurità con ricercatezza”. Questa ha aggiunto anche che per l’arte moderna è un tratto raro. Praticamente impossibile, aggiungiamo.
…L’anziana insegnante è salita sulla tribuna e con una voce calma, perfino distaccata ha cominciato il suo racconto:
– Nel ‘31 sulla Višera c’erano spesso tempeste. Brevi fulmini diritti tagliavano il cielo come spade. L’armatura sfavillava e risuonava, le rocce erano simili alle rovine di un castello.
Ero convinta che narrasse un racconto sulla propria vita. L’intonazione pareva così personale. Zinaida Ažmjakov leggeva “La carta di diamanti” di Šalamov.
…La conferenza era preceduta dalla registrazione dei partecipanti. Una delle domande era: “Nella Sua famiglia ci sono vittime della repressione?”. Notate, che non chiedevano se “c’erano”, ma se “ci sono”. Il parametro temporale qui non è una formalità. Esso indica l’attitudine morale verso ciò che è stato.
– E ci sono molte vittime della repressione? – chiedo.
L’insegnante da un’occhiata alla lista:
– Vede, quasi tutti.
Arriva il mio turno.
– Sì! C’è, – dico io.
– Chi?
– Mio padre.
– Dica cognome, nome e patronimico.
Per la prima volta in tutta la mia lunga vita pronuncio il nome di mio padre con un senso di assoluta sicurezza e con partecipazione a quello che qui spesso si chiama il popolo della Višera.
Vergogna!
Via Kommunističeskaja[62], via Bol’ševistskaja[63], via Lenin, via 25 Ottobre[64] – queste strade della città vecchia di Perm’ vanno di seguito. Una dopo l’altra – e alla fine ti portano al cosiddetto giardinetto della prigione. La gente lo chiama ancora il giardinetto dei Decabristi[65]. Ma là c’è il monumento ai collaboratori del sistema penitenziario morti in tempo di guerra e di pace.
– Ma chi avrebbero potuto essere in tempo di guerra? Soldati, ufficiali? – rifletto io.
– Erano membri dello Smerš[66]. Cosa? Non lo sa? E che c’è da chiedere? Che c’è da guardare qui? – borbotta un passante.
E così a Perm’, per cui passarono centinaia di migliaia di detenuti, e centinaia di migliaia si trovarono sepolti nelle voragini naturali e nelle paludi, non c’è un monumento alle vittime della repressione nel centro della città. Dicono che c’è un qualche monumento in uno dei cimiteri. Vallo a trovare.
Con un tale stato di cose non può rappacificarsi in alcun modo Rudol’f Vedeneev. E’ uno scultore, un artista, un uomo impegnato in politica. Cos’è la prigione lo sa per esperienza personale, ma non si preoccupa per la sua sorte.
Gli specialisti ritengono che proprio le composizioni scultoree di Rudol’f, dedicate alla vittime della repressione, siano vicine alla prosa di Varlam Šalamov. Alcuni dicono che siano l’equivalente scultoreo della prosa di Šalamov. Nessun tentativo di estetizzazione dell’orrore. La verità così com’è.
Ecco: per Rudol’f Vedeneev è una vergogna che ancora nella regione di Perm’ non ci sia un monumento a Mandel’štam[67] (questi e la moglie scontarono il confino a Čerdyn[68]). E’ una vergogna per lui che non ci sia un monumento a Pasternak, che ha immortalato Perm’, Vsevolodo-Vil’da[69] e Bereznjaki. Qui, a Bereznjaki, lavorò in una fabbrica di soda nel ‘16. Tredici anni dopo a costruire uno stabilimento chimico giunge Šalamov. Dalla fabbrica di soda allo stabilimento chimico c’è qualche centinaio di metri. Rudol’f non ritiene casuali questi incroci di destini, di strade e cammini. In essi vede la stortura di importanti significati storici, senza comprendere i quali non abbiamo la possibilità di capire in che paese abbiamo vissuto.
Nel febbraio 2002 la duma[70] della regione della Kama meridionale ha approvato il progetto di una composizione scultorea dedicata alle vittime del terrore e delle repressioni. Il dipartimento della cultura della regione si è rivolto per tre volta alla Lukoil[71]. Proprio per questo territorio la Lukoil fa passare un suo oleodotto. Ma ecco la risposta: “Lo riteniamo inopportuno”.
Un funzionario di Perm’ ha dato una spiegazione:
– Il mondo degli affari ha paura a portare avanti un’iniziativa che può avere un carattere politico, soprattutto se è legata al tragico passato…
– E’ perché il nostro presidente è un uomo del KGB?
– Sì, – il funzionario non si esime dal rispondere.
Della drammatica odissea delle opere di Rudol’f e su lui stesso bisogna scrivere a parte.
…Alla vigilia dell’inaugurazione del memoriale andiamo con Rudol’f ai margini di Perm’. Verso i monti Tarakan’i[72]. Evitiamo uno spiazzo ricoperto di erbacce e saliamo sul monte. Su di esso c’è una croce di legno. E una scritta: “In memoria delle vittime della guerra civile fucilare nella notte tra il 12 e il 13 giugno 1918, il gran principe Michail Romanov e il suo segretario Brian Johnson”. La terra di Perm’ è ritenuta principio e fine della dinastia dei Romanov. Proprio qui morì il prigioniero di Nyrob[73], lo zio del primo zar Michail e nel ‘18 l’ultimo Michail della dinastia dei Romanov fu fucilato. Furtivamente. Nel cuore della notte. In uno spiazzo. Michail, ferito, si lanciò in aiuto del suo segretario, che aveva subito una ferita mortale, ma qui fu raggiunto da una pallottola.
Saliamo verso la campagna.
– Fai attenzione, – dice Rudol’f, – a come il potere ha decorato il proprio inganno. Accanto a via Budënnyj[74] ci saranno obbligatoriamente via Repin[75] e via Surikov[76].
L’anno scorso ricorrevano 90 anni dalla morte di Michail Romanov e Brian Johnson. Rudol’f ha progettato da tempo un monumento commemorativo di questo tragico avvenimento. Ha chiesto notizie sul segretario del gran principe. Vuole sapere se ha dei discendenti.
Scendiamo dal monte. La croce è sia sul monte sia sulla strade. Viene gente. Più in basso ci sono delle sorgenti. Qui cominci a capire che amaro destino è toccato al Prikam’e – diventare terra di sofferenza e dolore. Il cimitero delle speranze.
“I sonnecchianti boschi di Perm’”, – così parla lo carevič[77] Fëdor a suo padre Boris Godunov[78] dei confini delle terre di Mosca nella tragedia di Puškin.
Proprio qui, su questi monti Tarakan’i, sentì fisicamente quello che Šalamov chiamava il primo grado del non essere, quando “quando non c’è da scherzare nella vita, quando la pelle più vicina è la propria”. La solitudine di una strada triste e crudele.
Ma domani – domani verrà il suo giorno, il giorno di Rudol’f. E’ l’autore del memoriale di Krasnovišersk.
* * *
– Non ho mai trovato da nessuna parte una comprensione come quella delle autorità di Krasnovišersk.
Infatti il 21 giugno ha avuto luogo non l’inaugurazione delle lapidi commemorative, ma del memoriale nel più preciso significato di questa parola. La lapide posta sul piedistallo sembra un monumento.
Le autorità hanno scelto il miglior posto della città.
Valentina Petrovna, ecologo: “Credo che in tutto questo ci sia l’opera di Dio. Chi non avanzava pretese su un posto così appetitoso? Il mercato, il centro ricreativo. E tutto è finito in nulla. Il posto attendeva il suo profeta”.
L’iniziativa di dedicare un anno a Šalamov è opera della società civile della città. I discendenti delle vittime della repressione si sono rivolti all’assemblea cittadina con l’idea dell’anno. Il capo dell’assemblea municipale Nikolaj Novikov non ha semplicemente appoggiato l’idea, ma se n’è infervorato. Hanno coinvolto il mondo degli affari. La Lukoil ha versato dei soldi.
E così il progetto è stato realizzato da tre forze – la società civile, le autorità e il mondo degli affari.
– Con l’apporto decisivo della società civile, – sottolinea Nikolaj Novikov. Un buon segnale.
– L’avvenimento di oggi non è di dimensioni provinciali. Questo è un avvenimento storico per la Russia. La presa di coscienza di ciò che ci è successo è un processo difficile, ma al di fuori di questo processo non c’è storia né futuro, – ha detto il plenipotenziario per i diritti umani della regione di Perm’ Tat’jana Margolina.
E adesso – attenzione! Tenete a mente tutto.
Krasnovišersk è l’unica città della Russia che ha fatto i conti con le pagine tragiche della nostra storia. Ha stabilito la propria appartenenza a queste pagine (cioè anche la propria responsabilità per esse) di modo che a chiunque varchi i confini della città sia chiaro:
“Qui dal 1928 al 1934 si trovava il campo di concentramento “Višeralag”[79]. Migliaia di persona condannate senza colpa – vittime delle repressioni staliniane – costruirono il CBK[80] e lavorarono nei boschi. Prigioniero di questo lager è stato anche il grande scrittore russo Varlam Šalamov, autore dell’antiromanzo “Višera” e dei “Racconti della Kolyma”.
I documenti del nostro passato sono stati distrutti, le torri di guardia sono state segate. Le baracche sono state spianate.
Siamo stati noi?
Rispondo: siamo stati noi.
Con tutta l’espressività di un protocollo, con la responsabilità e la precisione di un documento”. V.T. Šalamov.
L’enorme stand con queste parole è come lo scudo civile della città.
* * *
E così lo scrittore Šalamov apre l’ingresso alla città. Non a caso! Il rapporto degli abitanti di Krasnovišersk con l’arte di Varlam Šalamov è un grande fenomeno, in cui lo stesso scrittore non credeva dopo l’esperienza negativa dei lager. L’artista diviene non solo testimone dei fatti avvenuti sulla terra, ma anche il loro interprete. Di più – il loro giudice.
Boris Pasternak riteneva che nell’arte dovesse avvenire qualcosa, che trasforma l’enunciato artistico nell’ultima parola sulla questione.
Per gli abitanti di Krasnovišersk Šalamov è diventato un’ultima parola del genere.
Postfazione
E comunque… E comunque… C’è il memoriale di Šalamov come scudo all’ingresso della città con un testo duro: c’era un campo di concentramento. E non un’ambigua “struttura di lavoro correzionale”.
E improvvisamente Èduard Berzin è cittadino onorario di Krasnovišersk. Questo succedeva circa trent’anni fa. Nessuno ricorda quando fu compiuto quest’atto. Il ritratto di Berzin apre lo stand dei cittadini onorari. Là c’è anche Sigal’ Iosif Abramovič, che si è espresso in favore dell’apertura del meomoriale. Aveva otto mesi quando capitò sulla Višera.
– Interessante, – rifletto ad alta voce, – sarebbe possibile che il capo di Auschwitz o di Dachau venisse fatto cittadino onorario?
Sento dire in risposta:
– Berzin non è mai stato capo del lager. Era capo della costruzione dello stabilimento.
E’ pronto anche un testo da Šalamov: “Il capo del lager iniziò il suo discorso, ma non era affatto Berzin, era Limberg”.
Ecco. Poi vi diranno che Berzin chiamò Šalamov con sé sulla Kolyma. “Solo con la scorta”, – rispose Šalamov.
La gente della Višera sa che Šalamov voleva scrivere un libro su Berzin. No, qui non ci sono ammiratori di Berzin.
– Diciamo così, – mi dicono. – I rapporti di Šalamov con Berzin erano contraddittori. Come i nostri.
Ebbene! Questo era dunque il periodo “romantico” del Gulag. Con una buona razione di pane e perfino con la possibilità di frequentare il ristorante del lager, se si lavorava duro. Un “periodo romantico” con cataste di morti e di sofferenti nelle segherie. Con i bardotti sulla Višera come forma ottimale di lavoro.
C’è anche un’altra ipostasi delle riflessioni con cui mi sono scontrata il primo giorno al museo: Berzin è un carnefice e una vittima. Una ruota dentata in una macchina mostruosa. E’ un tipo di giudizio diffuso. Poco tempo fa un noto regista, dando un giudizio sul film “La fredda estate del ‘53”[81], disse così: la grandezza del film sta nel fatto che il regista non si preoccupa di cercare i colpevoli. Nessuno è colpevole. C’è un fatalismo sociale del genere.
Ma perfino queste conversazioni, se hanno luogo sulla Višera, si distinguono per il fatto che chi riflette non mette un punto alla fine. Ammette la possibilità di un altro giudizio ed è pronto a valutarlo. Come dice in questi casi la molto saggia Nina Djukova, c’è qualcosa su cui lavorare.
Rudol’f: “La particolarità del periodo odierno è l’incapacità di distinguere il bene e il male. E’ una tendenza pericolosa”. Una volta gli hanno proposto di porre una lapide in memoria delle vittime della repressione sul viale Dzeržinskij. Lo scultore è esploso. “Ma che c’è di particolare? E’ la nostra storia”, – si è sentito rispondere.
Un ringraziamento va all’insegnante di storia Igor’ Jakovlev.
– Ci sono delle questioni storiche, che, senza essere illuminati, causano angoscia interiore. Berzin è il fondatore della città in cui vivo. Il prezzo di questo politico lo sappiamo. Come storico dico: non abbiamo avuto la nostra Norimberga. Non abbiamo analizzato la nostra storia. Le pagine più terribili non sono state sottoposte a giudizio. Questa è una procedura storica molto importante. Anche per questo c’è confusione nelle nostre teste. Questa è dappertutto: nel comportamento, nella politica dello stato, nell’insegnamento. Ecco che racconto dell’industrializzazione. Effettivamente è avvenuta a ritmi mai visti al mondo. Ma… Non si può mettere un punto. Bisogna continuare: a che prezzo.
Una delle persone più intelligenti con cui Šalamov si incontrò sulla Kolyma fu il valente fisico Georgij Demidov. Questi scrisse in seguito allo scrittore: “…la verità è eterna, la menzogna, anche se organizzata su larga scala ha il suo limite storico”. O la nostra menzogna è così grande che il limite è invisibile o ci è successo qualcosa.
E per ultima cosa
Varlam Tichonovič credeva poco o non credeva per nulla che la deduzione di Tolstoj sull’amore come senso dell’essere fosse applicabile a un mondo che è l’inferno.
Ma il ritmo poetico, la logica dell’arte esprimevano la fede nascosta nel fatto che l’amore è possibile. L’amore come una parola di Dio.
Quando della deduzione di Tolstoj
Il mondo non è ancora dotato,
Quando l’amore come una parola di Dio
Fruscia da ogni lato…
Ecco: la totale contrapposizione di bene e male come avveniva in Šalamov, prosegue anche ora. Cambiano le forme della sua esistenza. Non è così semplice riconoscere il male, che assume vari aspetti.
Non c’è miglior maestro dell’arte di Šalamov – nervo scoperto di tutti i giudizi sulla Višera.
“Ma tutti noi siamo vivi solo perché ci ha generato l’amore di chi ha sofferto qui. E ha ricordato”, – questo dice Jurij Aslan’jan, figlio del quartiere Lager’.
Una conclusione possente sull’amore come parola di Dio l’ha compiuto il giorno, che si è mutato in una bianca notte nordica. In questa notte, come avrebbe detto Boris Pasternak, c’era qualcosa di fine e possente.
Questo testimoniava non solo l’ampiezza e l’apertura dello spazio uralico, ma anche la forza umana di coloro che qui sono morti e di coloro che se ne sono andati da queste regioni e sono tornati.
Questo ha generato e istruito figli sulla Višera.
Ha insegnato una grande sapienza – non abbandonare all’oblio padri e fratelli.
Alla dolorosa e impavida domanda di Varlam Šalamov: siamo stati noi o no? – sulla Višera rispondono immutabilmente: sì! Siamo stati noi.
Lo siamo stati e lo siamo. Sempre. In eterno.
A Krasnovišersk c’era un monumento a Dzeržinskij.
Èlvira Gorjuchina
Mosca – Perm’ – Krasnovišersk – Solikamsk, Borovsk, Bereznjaki
14.09.2007, “Novaja Gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/color35/02.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Varlam Tichonovič Šalamov, prigioniero del Gulag e scrittore che ne ha dato testimonianza.
[2] “Polacco” (ma nel russo corretto la parola ha l’accento sull’ultima sillaba – poljàk). In polacco l’accento è fisso sulla penultima sillaba e quella è praticamente la pronuncia esatta della parola “polacco “ in polacco…
[3] Abbreviazione di Vooružënnaja OCHRana (Guardia Armata).
[4] Zona di loro competenza, cioè.
[5] TeploÈnergetičeskij Centr (Centrale TermoElettrica).
[6] Principale città della Siberia.
[7] Russia nord-orientale.
[8] Fiume da cui deriva il nome della città.
[9] L’articolo 58 del codice penale sovietico riguardava le attività antisovietiche. In nome di questo articolo milioni di persone finirono nell’“arcipelago Gulag”.
[10] Letteralmente “la lingua dietro ai denti”.
[11] Soloveckij Lager’ Osobogo Naznačenija (Lager a Destinazione Speciale delle isole Soloveckie). In russo slon significa “elefante”. Le isole Soloveckie, colloquialmente Solovki, si trovano nel mar Baltico.
[12] “Fabbriche chimiche della Višera” (il corsivo è mio).
[13] Robert Hamilton Bruce Lockhart fu condannato a morte per aver preparato un attentato contro Lenin, ma poi fu “scambiato” con l’ambasciatore sovietico a Londra Litvinov.
[14] Feliks Èdmundovič Dzeržinskij, fondatore della polizia politica sovietica.
[15] Vjačeslav Rudol’fovič Menžinskij, capo della polizia politica sovietica dal 1926 al 1934.
[16] Abbreviazione di Višerskij Lager’ (Lager della Višera).
[17] Sergej Mironovič Kostrikov (Kirov) fu ucciso ufficialmente da un fanatico trotskista, anche se si suppone che possa esser stato fatto uccidere da Stalin. Costui, dopo l’assassinio di Kirov dette il via alle grandi “purghe”.
[18] Azienda agricola di stato senza i privilegi dei kolchoz, come quello di vendere “liberamente” le eccedenze.
[19] “Burrone dei montoni”, località del nord della Russia.
[20] Medio corso del Volga, lungo cui nel ‘700 si stabilirono tedeschi invitati da Caterina II (pure tedesca, anche se di lontanissime origini slave) mantenendo lingua e tradizioni. Stalin lì deportò nell’estremo nord della Russia e nella parte asiatica dell’URSS.
[21] Città della zona uralica della Federazione Russa come Tjumen’.
[22] Città della Siberia meridionale.
[23] Letteralmente “siede” (in russo si dice “sedere in prigione”, per quanto Solženicyn abbia detto che i prigionieri del Gulag non stessero seduti praticamente mai).
[24] Andrej Andreevič Vlasov, generale sovietico che passò ai nazisti e costituì un’armata che collaborò con questi.
[25] Città del distretto di Perm’.
[26] “Partigiano”, lager della provincia di Magadan, nell’estremo oriente della Siberia.
[27] Ministerstvo Gosudarstvennoj Bezopasnosti (Ministero della Sicurezza di Stato), uno dei nomi della polizia politica sovietica.
[28] Città della zona uralica della Russia europea.
[29] In senso proprio čekist significa membro della ČK – nello spelling russo če-ka – , cioè della Črezvyčajnaja Komissija po bor’be s kontrrevoljucej i sabotažem (Commissione Straordinaria per la lotta con la controrivoluzione e il sabotaggio), la prima polizia politica sovietica. “Cekisti” sono detti per estensione tutti gli agenti dei servizi segreti e della polizia politica.
[30] Fiume siberiano tristemente noto per i lager costruiti lungo il suo corso.
[31] Associazione che si dedica ad onorare la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche e a difendere i diritti umani nella Russia di Putin.
[32] Dunaj (Danubio) è il fiume delle fiabe russe. Come dire “il” fiume, il Lete…
[33] Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij, autore teatrale russo del XIX secolo.
[34] Regione della Russia meridionale.
[36] Qui e altrove l’autrice cita Šalamov, anche quando non lo dice esplicitamente.
[37] Z/k significava inizialmente Zaključënnyj Kanalestroenija (Detenuto addetto alla Costruzione del Canale – cioè del canale tra il mar Baltico e il mar Bianco), ma poi zèk e termini simili divennero sinonimo di detenuti del Gulag.
[38] Villaggio della regione di Perm’, presso gli Urali.
[39] Regione della Russia nord-orientale, tristemente nota come luogo di deportazione.
[40] La parte della regione di Perm’ bagnata dal fiume Kama.
[41] Cioè Tbilisi, adesso capitale della Georgia.
[42] “Nord” è qui sinonimo di “lager del Nord”.
[44] Aleksandr Sergeevič Puškin, poeta nazionale russo.
[45] Fëdor Ivanovič Tjutčev, poeta russo del XIX secolo.
[46] Afanasjij Afanas’evič Fet (Foeth), poeta russo del XIX secolo di origine tedesca.
[47] Circa 12 chilometri.
[48] Paese della campagna ucraina di cui scrisse Gogol’.
[49] Porto del Mar Bianco, nell’estremo nord della Russia.
[50] Dovrebbe essere èlement, “elemento”.
[51] L’utilitaria russa più piccola.
[52] Azienda che si occupa delle miniere di diamanti degli Urali.
[53] Poco più di 300 euro.
[54] Negli elenchi ufficiali i russi sono nominati con cognome, nome e patronimico.
[55] Fiume del nord della Siberia.
[56] Letteralmente “da Dio”.
[57] Scrittore “ufficiale” oggi sconosciuto.
[58] Città della Siberia.
[59] Konstantin Georgievič Paustovskij, scrittore sovietico.
[60] “Brigata”, serial televisivo russo ambientato nel mondo della criminalità organizzata.
[61] Le scuole russe non hanno nome, sono semplicemente numerate.
[64] Giorno della Rivoluzione Russa.
[65] I partecipanti alla fallita insurrezione del dicembre (dekabr’ in russo, da qui il nome) 1825.
[66] Abbreviazione di SMERt’ Špionam (Morte alle Spie), il servizio segreto interno dell’Armata Rossa.
[67] Osip Èmil'evič Mandel'štam, poeta russo, vittima delle purghe staliniane.
[68] Città della regione di Perm’.
[69] Località non ben precisata della regione di Perm’.
[70] Assemblea parlamentare.
[71] Compagnia petrolifera russa.
[73] Villaggio della regione di Perm’.
[74] Semën Michajlovič Budënnyj, generale dell’Armata Rossa.
[75] Il’ja Efimovič Repin, pittore e scultore del “realismo socialista”.
[76] Vasilij Ivanovič Surikov, pittore di soggetti storici, morto prima della Rivoluzione.
[77] Figlio dello zar ed erede al trono.
[78] Reggente e poi zar di Russia alla fine del XVI secolo.
[80] Celljulozno-Bumažnyj Kombinat (Stabilimento di lavorazione di Cellulosa e Carta).
[81] Film sullo stalinismo del 1987.
http://matteobloggato.blogspot.com/2007/12/in-russia-c-anche-chi-non-dimentica-il.html