"Se c'è un "comitato
regionale di Washington", ci dev'essere anche un CC"
27.09.2012
Viviamo in uno stato ideocratico. L'offesa ai sentimenti dei credenti, elevata a legge penale, è il diretto sostituto ed erede dell'"agitazione e propaganda antisovietica", che tanto dolorosamente – secondo l'idea del potere – feriva la gente sovietica. L'ideologia di Stato si è finalmente fusa con l'ortodossia ufficiosa. Poiché l'ideologia esige nuove idee, sia pure artificiali, ma non ce ne sono, come non c'è neanche un nuovo marxismo-leninismo, tocca ricorrere a idee vecchie – religiose e rituali. E dove c'è l'ortodossia, là ci sono anche l'autocrazia e il carattere nazional-popolare. La triade uvaroviana, anche se formulata in francese, già passa da qualche parte alla categoria di detto popolare russo…
L'ideologia di proibizioni, trasformata nelle norme delle leggi, completa il contorno del nuovo potere, il potere del terzo mandato di Putin. Il paese si isola – per l'ennesima volta nella sua storia – dalla modernità e dall'Occidente e si immerge nell'arcaismo. Che parrebbe buffo, se non fosse così terribile. Così giungeremo allo stato della prima metà del XVIII secolo, quando i professori di filosofia erano obbligati a presentare alla cancelleria dell'Accademia gli appunti delle loro lezioni perché venisse giudicato se "non deviassero dall'insegnamento della fede ortodossa e non mettessero in dubbio la gloriosa condizione dello stato".
Il guaio è che questo stato è sterile e improduttivo. In economia è un paese non attraente per gli investimenti, con fuga di capitali. Nell'istruzione e nella scienza non è attraente dal punto di vista delle idee. Più stretto si fa il cappio dell'ideologia di Stato, meno chances ci sono che vengano a insegnare e ad occuparsi di ricerche le migliori menti e che dal paese cominci una fuga non semplicemente di cervelli, ma una fuga di bambini – di quelli per cui, sostanzialmente, si costruiscono i sistemi statali, politici, economici e sociali.
Per capire meglio la natura di questa ideologia già
formata tanto ostile al libero pensiero e allo stile di pensiero e
di vita moderno, abbiamo intrapreso una conversazione con uno dei
più profondi studiosi della storia dei processi ideologici in
Russia – lo storico Andrej Zorin. Il quale, essendo professore a
Oxford e passando per la docenza e la ricerca a Harvard, Stanford e
altre università, non perde le speranze di far assimilare la
cultura scientifica internazionale da se in patria, lavorando in
qualità di direttore accademico dei programmi di una serie di
facoltà dell'Accademia Russa di Economia Nazionale e Servizio
Statale (RANCh i GS [1]).
Per ironia delle attuali circostanze russe è una struttura sotto
l'egida del presidente della Federazione Russa… La Russia è il
paese dei paradossi. Cosa che finora la salva pure.
– Andrej Leonidovič, avrei voglia di parlare con Lei dei progetti ideologici russi, che si ripetono di secolo in secolo, confermando, a mio parere, l'"effetto binario". Ma iniziamo questa conversazione dall'articolo dello storico Andrej Zubov, pubblicato sulla "Novaja gazeta", sul conte Sergej Uvarov [1] (n. 97 del 29 agosto e n. 100 del 5 settembre 2012) e la sua triade "ortodossia-autocrazia-carattere nazional-popolare". Nei nostri articoli è presentato come una figura progressiva. E' d'accordo con questo approccio?
– Il problema non è l'apologia di Uvarov. Perché
non si dovrebbe farla? Il problema è nel tentativo di presentarlo
come "cantore della libertà", anche se nascondente il
proprio amore per il libero pensiero a Nicola I. E questo tentativo
sembra, a mio parere, disperato e porta l'autore a delle forzature.
Per esempio, l'affermazione del professor Zubov che
fosse un'inaudita libertà porre l'ortodossia davanti all'autocrazia
nella triade non è fondata su nulla. Era l'ordine standard e
l'unico possibile, che si rifletteva, in parte, nella formula "Per
Dio, lo Zar e la Patria", che si scriveva sulle medaglie.
Nicola I, ritenendosi l'unto di Dio, non avrebbe mai accolto un
altro ordine dei membri della triade.
Ancora più eccentrica, a mio parere, sembra
l'affermazione che per autocrazia Uvarov intendesse l'indipendenza
della persona. Sono costretto a credere all'autorità dell'autore
nell'interpretazione del senso della parola greca "autocrate",
ma né nel linguaggio politico russo, né in quello francese (Uvarov
scrisse il proprio progetto ideologico in francese) questa parola ha
tale sfumatura. "Samoderžavie"
e "autocratie" – le parole che usa lo stesso Uvarov –
significavano solo "autocrazia" nel senso di illimitato
potere del monarca.
Uvarov era certamente una persona istruita, un
amministratore competente. Sapeva ottenere dal tesoro i soldi per
l'istruzione. Ma al contempo la sua politica era sempre limitante.
Recentemente il giovane storico e filologo Michail Veližev
ha studiato la corrispondenza dei dignitari ufficiali sul caso di
Pëtr Čaadaev [3] e
della pubblicazione della prima "Lettera filosofica" nel
1836. Così dichiarare Čaadaev
pazzo fu la vittoria della linea moderata del capo dei gendarmi
Aleksandr Benkendorf. Uvarov insisteva sul fatto che la
pubblicazione della lettera fosse una manifestazione di una congiura
ramificata, indirizzata contro la Russia e chiese un grande processo
politico. Se questo punto di vista avesse prevalso, la Russia
avrebbe avuto un prototipo dei processi staliniani degli anni '30.
Ma l'imperatore sostenne Benkendorf, ritenendo che nell'anno dei
festeggiamenti del decennale del regno di Nicola non bisognasse far
scoppiare uno scandalo.
La rimozione di Uvarov nel 1848 fu legata al fatto
che Nicola giunse a una decisione: nessuna istruzione in generale
era necessaria. Il corso uvaroviano sullo sviluppo dell'istruzione
sotto il controllo del governo risultava politicamente non consono
alla nuova epoca e lo zar decise semplicemente che le università
erano un danno, che non c'era da controllarle, bisognava chiuderle.
Anche il concetto uvaroviano di carattere
nazional-popolare, a mio parere, è interpretato molto
arbitrariamente nell'articolo di Zubov.
"Con un potere forte in Russia ci sono sempre problemi"
– Con il carattere nazional-popolare è difficile in generale, in quanto era indistinto lo stesso frammento nel memorandum uvaroviano…
– Non è che fosse indistinto… Circa 15 anni fa
pubblicai il testo francese delle lettera di Uvarov all'imperatore,
questo spiega molto. Il fatto è che "carattere
nazional-popolare" era uno slogan radicale per quel tempo.
– Contraddiceva l'autocrazia.
– Esattamente. Derivava dall'idea di sovranità
popolare. Il gioco di prestigio fatto da Uvarov consisteva nel fatto
che sottometteva il carattere nazional-popolare all'autocrazia.
Peraltro Andrej Zubov scrive che Uvarov comprendeva la chiesa
ortodossa come eredità greca e non come religione nazionale.
– Il che non è confermato dall'originale francese.
– Nell'originale la parola "ortodossia"
non è menzionata in generale, anche se le parole corrispondenti in
lingua francese esistevano. Uvarov usa due espressioni per indicare
ciò che poi in russo fu tradotto come "ortodossia", tra
l'altro non da lui personalmente, ma dai suoi segretari. E usa due
formule: "religion nationale" – "religione
nazionale" e "église dominantе" – "chiesa
dominante". Ecco cosa gli interessava nell'ortodossia.
L'istituto storico della chiesa nazionale.
Se Uvarov trattava autocrazia e ortodossi come i due
valori principali della storia russa, il carattere nazional-popolare
consisteva nell'essere fedeli allo spirito dell'ortodossia e
dell'autocrazia. Questa è un'interessante interpretazione del
carattere nazional-popolare attraverso l'ideologia. Cioè l'uomo
russo è chi ama il proprio monarca e la propria chiesa. Poi un
simile uso determina la concezione di "uomo sovietico" e
l'idea che chi non condivide l'ideologia sovietica sia un
"rinnegato". All'epoca di Uvarov in questo senso si usava
la parola "reietto" – rigettato dal corpo del popolo.
– Beh, ecco uno dei segni dell'"effetto"… Ma tra l'altro nell'articolo di Andrej Zubov è mostrata una figura complessa, simile, mettiamo, a Vladislav Surkov [4], che capisce tutto, ma d'altra parte, per il "bene" dello Stato formula la matrice ideologica che rafforza il governo. Nel senso in cui il filosofo Gustav Špet scrisse dello stesso Uvarov che era sostenitore di un forte governo europeo.
– Non mi metterei a giudicare Surkov… Ma non
penso che Uvarov fosse un'agente delle forze liberali nel campo del
governo. L'esempio della lettera di Čaadaev
è abbastanza chiaro. E non è un caso unico.
Uvarov era sostenitore di un potere forte? Lo era
certo. Ma con il potere forte in Russia in generale ci sono
problemi. In qualche modo non funzionava. Perciò periodicamente si
facevano sforzi spasmodici di raffigurare una macchina statale
funzionante.
Recentemente per l'appunto ho partecipato a un
programma televisivo. Là si discuteva con tenerezza come Nicola I
lavorasse senza fine. E intorno a lui si è creata un'aura petrina
[5] di zar-uomo di
fatica.
– Uno schiavo sulle galere.
– Lavorava veramente molto, ma è dignitoso per un
monarca di uno stato del genere lavorare? Non c'era una sciocchezza
in cui non entrasse personalmente.
– E' la matrice del controllo manuale… Ma ecco altre parole di Špet su Uvarov: "Il Don Chisciotte dell'antiquata intellighenzia governativa". Un Don Chisciotte?
– Uvarov fu parte dell'appello al governo degli ex
membri dell'"Arzamas" [6],
delle persone che circondavano Karamzin [7].
Ministro sotto Nicola era, diciamo, Dmitrij Daškov
[8]. A dire il vero,
Daškov
diceva: "Uvarov che immeschinisce tutto". In questo
periodo si odiavano già, anche se talvolta erano compagni. Sì, era
il tipo del burocrate illuminato. Ma questo tipo si mantenne anche
durante il regno di Alessandro II, cosicché l'intellighenzia
goverantiva difficilmente divenne antiquata negli anni '30 del
diciannovesimo secolo.
Špet
ha ragione nel senso che proprio allora avviene lo strappo
tra governo e intellighenzia. C'è un libro dello storico americano
Nikolaj Rjazanovskij [9]
sulla Russia del tempo di Nicola e molto precisamente si intitola
"Parting of ways" – "Divisione delle strade".
In questo tempo avviene questa fondamentale scissione. Ho
un'ipotesi: in grado significativo ciò che si chiama
"intellighenzia russa" uscì dall'ombra della triade
uvaroviana, dalle sue pieghe. Qual è la logica qui? La dottrina
ufficiale determina il carattere nazional-popolare, cioè
l'appartenenza al corpo nazionale come fede nel proprio zar e nella
propria chiesa. Sostanzialmente una persona che rifiuta questa
interpretazione dice: non ci servono né la vostra chiesa, né il
vostro zar, né il vostro carattere nazional-popolare, non
apparteniamo al vostro corpo. Non si intraprende un tentativo di
dare un altro senso alla storia o alla categoria di carattere
nazional-popolare, di dichiarare i propri diritti su di esse, ma
sorge un proprio gesto di rifiuto: "Sì-sì-sì, è tutto
vostro, prendetelo! Non vogliamo niente di questo!"
– Nel ХХ secolo, tra cui nel periodo sovietico, c'è stata molta recidività di questo tipo di comportamento. Nel suo libro "Nutrendo l'aquila bicefala" ho letto che Nicola I scaricò la responsabilità dei cambiamenti allo stesso corso della storia, non prese niente su di se. E' anche molto simile a com'era costruito il sistema politico sotto Brežnev dopo la caduta della riforma di Kosygin [10] o oggi sotto Putin. Non si fa niente, ma si dice: "è ancora presto", "non siamo ancora maturi", "non siamo ancora pronti". Come se tutto dovesse succedere gradualmente da se. E così per anni.
– A Nicola non piaceva tutto ciò che avveniva in
Russia. Creò all'infinito comitati e commissioni di riforma, tra
l'altro segrete, perché temeva che la discussione dei progetti di
riforma sollevasse l'opinione pubblica. Alcune riforme furono
comunque realizzate, per esempio il cambiamento di status operato da
Pavel Kiselëv
[11] nei confronti
dei contadini di Stato [12]
(i contadini di Stato ottennero l'autogoverno e la possibilità di
decidere i propri casi nell'ambito della comunità agraria, ma
restarono legati alla terra – nota del redattore). Ma nel
complesso la strategia generale era questa: una quantità infinita
di dibattiti e discussioni, sugli esiti delle quali si approva un
debole e compromissorio progetto di trasformazioni che poi comunque
non si incarna nella vita. Beh, anche la famosa formula
dell'imperatore: "Non c'è dubbio che la servitù della gleba
nel suo stato attuale da noi è un male percettibile ed evidente per
tutti, ma toccarla adesso sarebbe cosa ancor più letale".
Nel corso di quasi cento anni (dal 1762 al 1861,
fino all'abolizione della servitù della gleba) solo per quattro
anni governò la Russia l'imperatore Paolo I, che riteneva che la
servitù della gleba fosse un bene per il paese. Per 90 anni
governarono monarchi – Caterina II, Alessandro I e Nicola I –,
che ritenevano che la servitù della gleba fosse mostruosa, ma non
poterono farci nulla. L'impossibilità di risolvere questo problema
per l'appunto era legata anche alla debolezza dello stato. Se si
fossero liberati i contadini, lo stato avrebbe dovuto prendersi la
responsabilità di loro. Bisognava giudicarli, garantire i loro
diritti, raccogliere da loro le tasse senza scaricare questo sui
proprietari terrieri. Lo stato non sapeva come fare. E il problema
fino al 1861 non fu così risolto. Semplicemente era giunto al punto
che non si poteva più trascinare oltre.
– E' davvero molto simile a ciò che avviene ora. Dagli infiniti dibattiti sulla riforma delle pensioni alla non prontezza a chiudere le grandi imprese inefficienti perché non è chiaro cosa fare con i disoccupati.
– Di principio questa è certamente la
manifestazione dell'assenza della politica: meglio non fare nulla in
ogni caso perché non si sa cosa capiterà. E inoltre non c'è
alcuna reale risorsa amministrativa per realizzare una qualunque
riforma coerente.
"Da noi c'è da tempo
un'ideologia di Stato"
– Come ha funzionato poi la triade
nel corso della storia russa e funziona oggi? Nell'ultima
manifestazione è stato notato un piccolo cartello
"Ortodossia-autocrazia-carattere nazional-popolare": i
ritratti di Cirillo I [13],
Putin e Sveta di Ivanovo [14]…
– Ora probabilmente l'idea della rinascita di
questo schema c'è, ma la cosa più importante è che rinasce l'idea
di un rapporto simbiotico dello Stato con la Chiesa. Lo Stato si
basa sulla legittimazione che deriva dalla Chiesa. D'altra parte, la
Chiesa è un servizio amministrativo dello Stato, che aumenta la sua
autorità.
– E si trasforma in Agitprop.
– Agitprop, certo! Nel sistema sovietico le
sezioni ideologiche erano sempre la cosa più importante (il
segretario per l'ideologia era il "secondo segretario"
informale), ma sottoposta in parte all'apparato del partito. Lo
stato otteneva legittimazione dall'"unico vero"
insegnamento e esso stesso consacrava i suoi portatori. Nel periodo
imperiale questo schema non era così rigido, ma aveva tratti
comuni. Il Santissimo Sinodo era diretto dal procuratore supremo
laico.
– E "la nuova comunità storica è il popolo sovietico"!
– Il popolo sovietico, cioè la nazione fondata
sulla comunità dell'ideologia. E ora, pare, hanno detto che è
necessario tornare a questa idea?
– Hanno detto che è necessario cercare da qualche parte vicino a questa idea. Putin, a ben vedere, sogna un qualche progetto ideologico del genere, solo che non ha Uvarov presso di se.
– Forse la forte influenza dell'idea
"ortodossia-autocrazia-carattere nazional-popolare" si è
ripercosso nel fatto che quelli al potere si sono messi a pensare:
l'ideologia è una formula verbale. L'ideologia, certo, non è una
qualche formula, è un sistema di metafore, di immagini, tra cui
anche di rituali di Stato, di espressioni da imprimersi nella mente.
In questo senso da noi c'è da tempo un'ideologia di Stato. Eccome!
La verticale del potere. E "far secchi nel cesso" [15]?
Funziona, esiste. Cosa c'è da pensare ancora? Sì, la proprietà
principale dell'ideologia – che gli utenti la capiscano. Gli
utenti capiscono tutto ottimamente.
– E qual è il ruolo di rivoluzioni, rivolte, agitazioni?
– Qui sono d'accordo con Andrej Zubov: il progetto
di Uvarov era la risposta alla rivoluzione francese, alla formula
"libertà, uguaglianza, fraternità".
Uvarov scrive in modo abbastanza interessante che
tutti questi sogni sulla rappresentanza nazionale alla maniera
europea, sul parlamento indipendente e così via – tutte queste
sono fantasie, perché "il colosso non durerà neanche due
settimane e per di più cadrà prima che tutte queste false
trasformazioni siano compiute".
– Come in Vasilij Rozanov [16] sulla Rivoluzione d'Ottobre: "La Rus' [17] sparì in due giorni".
– Beh, abbiamo visto come l'Unione Sovietica è
"sparita" in tre giorni. Ricordo che lessi Rozanov, allora
ancora proibito e mi sembrò che fosse comunque una metafora.
Nessuna metafora! Io stesso poi l'ho visto con i miei occhi…
E in generale questo è molto caratteristico per
quelli al potere in Russia – il terrore davanti al proprio popolo.
Pobedonoscev [18] disse
della Russia: "E' un deserto di ghiaccio e per esso va un uomo
selvaggio". L'élite del XIX secolo nei quasi 200 anni passati
dalle riforme petrine era diventata estranea al proprio paese – si
vestiva diversamente, appariva diversamente, parlava in un'altra
lingua. Veramente i mugichi barbuti dovevano temerla. Ma perché
anche l'élite sovietica, che fondamentalmente veniva dal mondo
contadino temesse la gente a lei socialmente vicina è
incomprensibile.
– Qualche matrice ideologica in politica estera, le ricerche di complotti, sono passate nel nostro tempo?
– Beh, certo. Questo modello si è costruito
intorno alla ricerca del nemico. E nel XIX secolo il centro del
"male mondiale" era a Parigi. E suoi portatori e guide
erano ritenuti i polacchi, che sono pure slavi come noi, ma hanno
preferito il cattolicesimo e in generale sono rivoltosi. La Polonia
è anche portatrice di questo "contagio". Ora
evidentemente il "centro" si è trasferito negli USA…
– Il Dipartimento di Stato, il "comitato regionale di Washington".
– E' interessante, peraltro, la formula
ideologica: il "comitato regionale di Washington", perché
la presenza di un comitato regionale implica comunque la presenza
del CC. E dov'è il CC? Comunque penso che qui, consapevolmente o
inconsapevolmente, si intenda il complotto giudaico-massonico…
– E i nemici interni? C'era questa matrice ideologica?
– Il modello uvaroviano presuppone i nemici
interni. E qui per l'appuntò arrivò la pubblicazione della lettera
di Čaadaev.
Fu un esempio notevole: "Ecco, l'avevo detto che c'erano!» Ma
capitò che Benkendorf si fece sfuggire il nemico interno. Perciò
il capo della III Sezione [19]
si affrettò a dichiarare Čaadaev non nemico, ma pazzo.
Dietro a questo c'era la loro lotta personale, ma i presupposti di
partenza erano per molti aspetti comuni – la concezione
psicologica, ideologica del carattere nazional-popolare, cioè che
l'uomo russo è chi condivide i nostri valori e chi non li condivide
è un nemico.
– Forse anche la psichiatria giuridica si sviluppa da qui, perché chi è l'uomo sottoposto alla psichiatria giuridica? E' l'uomo che non è sostenitore del nostro ordine, ma se non è un sostenitore, significa che è pazzo.
– Sì, in questo c'è una logica. Non si aveva
voglia di dichiarare Čaadaev
un nemico in forza della sua ultra-nobiltà – era un
Rjurikovič [19]. Beh,
non era tanto bene… Ma se tu non sei un nemico, allora
probabilmente ti ha semplicemente dato di volta il cervello?
– Se si parla dell'"effetto binario" da cui abbiamo iniziato, come si può estrapolare tutto ciò in futuro?
– Sa, non credo comunque che questo genere di
precedenti storici sia una condanna a vita. In questo senso non amo
molto la stessa metafora del "binario", perché il binario
è ciò da cui non si può andar via. Ma non è così. La Russia
vive in un'epoca del tutto diversa. Il livello di alfabetizzazione è
diverso, la situazione demografica, l'età media sono diverse, il
grado di urbanizzazione non c'è mai stato nella storia. Il numero
di persone a cui si estende un'istruzione orribile, cattiva, ma
superiore – non c'è mai stata una cosa del genere. Non sono
d'accordo che siamo destinati ad andare eternamente sullo stesso
binario.
Andrej Kolesnikov, "Novaja gazeta", http://www.novayagazeta.ru/politics/54644.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1]
Dalla dicitura russa Rossijskaja
Akademia Nardonogo Chozjajstvo i Gosudarstvennoj Služby.
[2]
Sergej Semënovič Uvarov, ministro della Pubblica Istruzione nella
prima metà del XIX secolo.
[3]
Nelle sue "Lettere filosofiche" il filosofo Pëtr
Jakovlevič Čaadaev esprimeva una visione pessimista della Russia e
criticava di fatto l'Ortodossia, auspicando l'avvento di una
cristianità unita.
[4]
Vladislav Jur'evič Surkov, attuale vice-premier, eminenza grigia e
"ideologo" del regime di Putin.
[5]
Pietro il Grande divenne realmente esperto in molti lavori manuali.
[6]
Arzamas è il nome di una città della Russia centrale e di una
società letteraria progressista di cui oltre a Uvarov faceva parte
anche Puškin.
[7]
Nikolaj Michajlovič Karamzin, riformatore della letteratura russa
del primo XIX secolo.
[8]
Dmitrij Vasil'evič Daškov, letterato e politico che fu membro
dell'"Arzamas".
[9]
Figlio di uno studioso emigrato negli USA più noto come Nicholas
Valentine Riasanovsky.
[10]
Aleksej Nikolaevič Kosygin, primo ministro sotto Brežnev, che ne
osteggiò i tentativi di portare l'URSS dall'industria pesante e
militare a quella leggera e dei beni di consumo.
[11]
Pavel Dmitrievič Kiselëv, ministro dei beni fondiari sotto Nicola
I.
[12]
I servi della gleba che non appartenevano a un signore, ma allo
Stato.
[13]
Patriarca della Chiesa Ortodossa Russa (al secolo Vladimir
Michajlovič Gundjaev).
[14]
Nome d'arte della contabile e attivista di "Russia Unita"
Svetlana Jur'evna Kuricyna (nativa della regione di Ivanovo, nella
Russia centro-settentrionale), la cui intervista dove lodava
sperticatamente il partito e il regime di Putin divenne nel 2011 una
hit di YouTube e gli valse un posto da intrattenitrice televisiva
sulla rete NTV, di proprietà Gazprom.
[15]
Putin disse che bisognava dar la caccia ai terroristi islamici anche
"facendoli secchi nei cessi".
[16]
Vasilij Vasil'evič Rozanov, scrittore e filosofo.
[17]
Antico nome della Russia.
[18]
Konstantin Petrovič Pobedonoscev, politico reazionario del XIX-XX
secolo.
[19]
Cioè l'ufficio della censura.
[20]
Discendente di Rjurik, capo vichingo e re del primo stato russo con
Kiev per capitale.
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