30 dicembre 2009

A proposito della Calmucchia

In Calmucchia si celebra il Giorno della Memoria della deportazione del popolo calmucco


Ingushetia.org, 29.12.2009 09:41

La Calmucchia celebra il Giorno della Memoria, dedicato al 66° anniversario della deportazione dei Calmucchi accusati di tradimento della Patria. I Calmucchi non furono semplicemente esiliati, ma anche disseminati per la Siberia – dal Nord all'Estremo Oriente – e per il Kazakistan. Quasi la metà di tutti i Calmucchi morì in esilio. Praticamente in ogni famiglia calmucca ricordano ancora i morti per la strada o in esilio.

Zoja Naranova, bibliotecaria della Biblioteca Nazionale calmucca ha raccontato al corrispondente di “Kavkazskij uzel” [1] cosa accade oggi nella repubblica.

“Ogni anno in questo giorno depongono fiori presso il cinema “Rodina” [2]. C'è una manifestazione là, dov'era il principale punto di raccolta per l'esilio. Anche ora c'è stata una manifestazione presso il memoriale “Esodo e ritorno”, opera di Èrnst Neizvestnyj [3]. Alle 2 del pomeriggio c'è stato un rito commemorativo. Alle 3 – un concerto “Requiem”, a cui ha preso parte un coro osseto venuto per l'occasione”, – ha raccontato Zoja Naranova.

Secondo lei, la particolarità della deportazione dei Calmucchi sta nel fatto che sia avvenuta in modo più duro, perfino rispetto agli altri popoli del Caucaso. “Perché i Calmucchi furono esiliati nelle condizioni più dure – al Nord, anche se sapevano che sono un popolo meridionale. C'erano condizioni di vita molto dure, c'era una forte frammentazione per regioni, per villaggi. Anche se mi sembra che non se ne possa parlare così – chi era stato trapiantato nel modo peggiore, è qualcosa di scorretto”, – dice l'interlocutrice.



A suo dire, uno dei temi più dolorosi della deportazione è la sua influenza sulla demografia dei Calmucchi, che ancora si riflette sul popolo.

“L'influenza sulla demografia è il tema più doloroso. Perché questa è in se e per se una disgrazia russa – tutti gli uomini sono caduti al fronte, ma i soldati calmucchi sono stati tolti dai fronti e sono stati gettati nello Širokolag [4] e capite, quanti di loro sono tornati? Le donne lavoravano in condizioni terribili – nel trasporto del legname, nelle miniere, si congelavano là. Questo li ha colpiti fortemente. Tutto questo si riverbera per qualche anno perfino nei pronipoti, in particolare nelle bambine”, – racconta Zoja Naranova.

A suo dire, molte calmucche nate negli anni cinquanta non hanno potuto avere figli. “Da noi ora ci sono molte malattie di tipo allergico. E tutto questo è legato a quegli avvenimenti, è un danno al materiale genetico. Le condizioni di vita non erano affatto per questo popolo ed erano molto dure”, – racconta Zoja Naranova.



A dire di Zoja Naranova, oltre che alla centrale idroelettrica di Širokovskij i calmucchi lavoravano al trasporto del legname e nelle miniere, molti calmucchi si trovarono nella zona di Semipalatinsk [5] e di questo hanno preso a parlare solo negli ultimi anni. A ciò sono legate malattie di tipo allergico e tumori del sangue, che si manifestano quasi dopo 2 generazioni.

Secondo il decreto del Presidium del Soviet Supremo dell'URSS sulla liquidazione della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma della Calmucchia, a partire dal 28 dicembre 1943 fu messo in atto l'esilio totale dei cittadini di nazionalità calmucca dai territori della Calmucchia, della regione di Rostov [6], e dei territori di Stalingrado e Stavropol' [7]. In totale verso la metà del 1944 erano state esiliate 99252 persone, ma contando soldati e ufficiali portati via dai reparti militari, subirono la deportazione 110000 calmucchi



A dire di Zoja Naranova, al momento della rifondazione della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Calmucchia sotto Chruščëv nella repubblica non rientrarono 2 distretti che in precedenza ne facevano parte. “Quando fu ristabilita la repubblica, 2 distretti restarono nella regione di Astrachan' – il Privolžskij [8] e quello di Liman [9]”, – racconta Zoja Naranova.



Alla vigilia, alle porte di una data dolorosa nella storia del popolo calmucco il capo della Repubblica di Calmucchia Kirsan Iljumžinov ha fatto notare che il 28 dicembre è una data dolorosa per il popolo calmucco.



“In questo giorno in tutta la repubblica si accendono lampade commemorative – simbolo di preghiera per i defunti, di purificazione e di gratitudine Il 28 dicembre 1943 fu liquidata la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Calmucchia e i Calmucchi subirono una dura deportazione in Siberia. Sono passati 66 anni, ma le lacrime e il dolore delle nostre nonne e delle nostre madri non taceranno mai nei nostri cuori. In questo giorno rendiamo omaggio alla memoria dei nostri parenti e amici, che riposano in terra altrui. Luminosa memoria a tutti i defunti”, – si dice nel messaggio al popolo calmucco a nome del presidente della repubblica.



L'85enne Andrej Džimbiev, scrittore calmucco che ha vissuto la deportazione del 1943, ha raccontato al corrispondente di “Kavkazskij uzel” che fu deportato dopo essere stato mandato a casa in convalescenza dal fronte dove era stato ferito.



“Arrivai a casa ferito, mi avevano mandato a casa per 6 mesi. E all'improvviso una mattina arrivano dei militari, dissero che saremmo andati in esilio. Giunse un reparto militare, stettero da noi per 2-3 settimane, andavano per i cortili, dicevano che cercavano dei sabotatori, dei traditori. Ma io non ci feci attenzione, perché ero arrivato ferito dal fronte e ritenevo che questo non avesse nulla a che fare con me. Mio padre aveva servito sul fronte di Volchov [10], su quello di Leningrado. Allora non avevamo notizie di lui. Io ritenevo, io e la mia famiglia, che il governo, Stalin, non potessero agire così con noi”, – racconta il veterano.



“Perciò aspettavo tranquillamente. Ma quando ci conteggiarono tutti per il trasferimento per ordine del Comitato di Difesa, di Stalin, mi meravigliai. Ora ho compiuto 85 anni. Allora non pensavo neanche che i Calmucchi fossero traditori e che meritassimo l'esilio. Ci dettero 2 ore per raccogliere le nostre cose, ci dissero di prendere del cibo per il viaggio. Ero convinto che avrebbero rivisto le cose e che anche se ci avessero portato via, poi ci avrebbero riportati. E così ci siamo ritrovati in Siberia per 13 anni. Il 28 dicembre ci hanno esiliati e il giorno seguente, il 29 dicembre, ho compiuto 19 anni in un carro bestiame. Dalla Siberia sono tornato quando avevo 33 anni”, I – ha raccontato al corrispondente di “Kavkazskij uzel” Andrej Džimbiev.



A suo dire, subito dopo la deportazione del popolo calmucco presero a tornare dai fronti i soldati calmucchi, che furono mandati al lavoro. Principalmente finirono nella centrale idroelettrica di Širokovskij.



“Mio padre combatteva, non sapeva che i Calmucchi erano stati esiliati in Siberia. Quando lo smobilitarono, lo convocarono al quartier generale del reggimento e gli chiesero, beh, di dove sei? Mio padre risponde che viene dal distretto di Lagan' [11] della Repubblica Socialista Sovietica di Calmucchia, gli dicono: “bene, andrai là”. E poi lo convocano dopo un mese e dicono: “Ma la Repubblica Socialista Sovietica di Calmucchia non c'è più”. Mio padre, persona poco istruita, pensò semplicemente che c'era la guerra, la posta funzionava male e perciò non c'erano lettere. Al quartier generale dice: “Come? Là c'è la mia famiglia. Tre figli, mia moglie”. Gli risposero che avrebbero cercato la sua famiglia. E sei mesi dopo la fine della guerra arrivò là. Nell'autunno del '45 trovarono la famiglia e lo mandarono da noi. Arrivò con la medaglia “Per il coraggio” e 2-3 giorni dopo lo misero in una lista speciale. Come traditore. Come avevano fatto con me”, – racconta Andrej Džimbiev.



“E poi, in Siberia, dopo 10 anni ci dettero “la libertà” – si poteva andare di villaggio in villaggio senza permesso del comandante. Quelli che avevano preso parte alla guerra e i comunisti furono tolti dal conto. Ma le famiglie restarono nella lista. Così venne fuori che alla fine della nostra condanna, nella seconda metà degli anni '60, donne e bambini risultavano restare traditori”, – racconta l'interlocutore.



“Una volta in Siberia ci dissero che l'autonomia calmucca veniva ristabilita, beh, chi voleva andare in patria, che si preparasse, chi lo meritava sarebbe stato messo al lavoro per il ritorno nella propria repubblica, per guidare l'economia, la cultura, eccetera. Promisero di inviare i malati a curarsi in case di cura. Questo era l'ordine di Chruščëv”, – racconta Andrej Džimbiev



In Siberia si era istruito e aveva lavorato come contabile. “Anche se inizialmente ero insegnante delle prime classi. Dopo il ritorno qui divenni controllore-revisore presso il ministero delle Finanze della Repubblica Socialista Sovietica di Calmucchia. Presi a scrivere, pensai a come ristabilire rapidamente l'economia e la cultura della nostra repubblica per stare alla pari con le repubbliche vicine”, o - ricorda Andrej Džimbiev.



“Poi, già in Calmucchia, presi a scrivere. Ora sono uno “scrittore del popolo” della Calmucchia. Tre giorni fa è uscito il mio 33° libro. In precedenza a me, come scrittore, non era permesso scrivere dell'esilio. Ho scritto una novella su quegli avvenimenti. Ma in essa è scritto che le famiglie dei calmucchi, quando le cose si fecero difficili, furono evacuate nella regione di Novosibirsk [12] per farle sfuggire ai tedeschi”, – racconta Džimbiev.



Questi fa notare che al tempo dell'Unione Sovietica non si davano informazioni sulla deportazione. “Anche se dicevano: “Scrivetene apertamente”, ma se ne scrivi – nessuno lo stamperà”. Questo succedeva sotto Chruščëv. Ma ora se ne parla apertamente”, – fa notare l'interlocutore.



A suo dire, nei manuali non c'è scritto nulla della deportazione. “Così, per esempio, come scrittore mi incontro con i bambini, faccio interventi nelle biblioteche. Ora raccontiamo apertamente dell'esilio. Ritengo che a Chruščëv dobbiamo fare un grande monumento perché ci ha riportati dall'esilio”, – dice Andrej Džimbiev.



Facciamo notare che durante la Grande Guerra Patriottica [13] non furono esiliati solo I Calmucchi, ma anche i Carachi, i Ceceni, gli Ingusci, i Balcari, i Tatari di Crimea, i Turchi della Moschia [14]. Secondo i dati dell'associazione internazionale Memorial, negli anni 1943-1944 dalla Cecenia e dall'Inguscezia furono esiliate 485000 persone, dalla Calmucchia 101000, dalla Karačaevo-Circassia 70000, dalla Kabardino-Balcaria 37000. Il numero delle vittime della deportazione dei Turchi di Moschia e di altre popolazioni del Caucaso ammonta a 100000.



Una serie di studiosi propende per la versione secondo cui uno dei motivi della deportazione di Carachi, Ceceni, Ingusci e Balcari fu l'aspirazione di Stalin ad ampliare il territorio della Georgia, perché il Caucaso settentrionale, tra cui anche il monte Elbrus, il più alto d'Europa, finisse sotto il controllo di Tbilisi. Questo, secondo gli studiosi, è confermato anche dal fatto che nel 1943 il territorio della regione autonoma dei Carachi fu dato alla Repubblica Socialista Sovietica di Georgia e la città di Karačaevsk fu rinominata in georgiano Kluchori.



Nel 1957 la leadership sovietica permise al popolo caraco di tornare nella patria storica. Fu ristabilita la regione autonoma dei Carachi. Il primo presidente russo Boris El'cin riabilitò gli esiliati e chiese perdono a nome della leadership del paese per i crimini dello stato contro i Carachi. Da allora ogni anno il 3 maggio nella Karačaevo-Circassia viene ricordato come Giorno della Rinascita del popolo caraco.



Nel 1991 fu approvata la legge “Sulla riabilitazione dei popoli repressi” [15]. Tuttavia l'applicazione pratica di questa è stata complicata da molti fattori, il che finora non permette di ritenere la legge compiuta in tutti gli aspetti per quanto riguarda i popoli che hanno subito repressioni di massa in URSS.



Ingushetia.org, http://www.ingushetia.org/news/21159.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] “Nodo caucasico”, giornale online indipendente.

[2] “Patria”.

[3] Èrnst Iosifovič Neizvestnyj (“Sconosciuto” – a quanto pare agli ebrei russi potevano essere rifilati anche cognomi del genere), scultore e dissidente.

[4] “Lager di Širokovskij”, villaggio della regione di Perm', ai piedi degli Urali.

[5] Città del Kazakistan orientale, tuttora altamente contaminata dalla radioattività.

[6] Città della Russia meridionale.

[7] Città della Russia meridionale (Stalingrado adesso si chiama Volgograd).

[8] Del Volga.

[9] Villaggio un tempo calmucco.

[10] Città della regione di Leningrado.

[11] Città della Calmucchia meridionale.

[12] Importante città della Siberia meridionale.

[13] Quella dell'Unione Sovietica contro l'invasore nazifascista.

[14] Regione della Georgia meridionale.

[15] Le leggi russe non sono indicate con un numero, ma con un titolo.


http://matteobloggato.blogspot.com/2009/12/mentre-la-russia-di-putin-inneggia.html

26 dicembre 2009

A proposito del modo di far politica in Russia (XI)

Un'idea da orso [1]



Nell'anno che sta finendo il partito di governo ha acquisito un'ideologia


Uno degli avvenimenti politici della fine del 2009 è l'autodeterminazione ideologica di “Russia Unita”. Un avvenimento non notato da molti, ma comunque non meno notevole e perfino curioso. Perché si è verificato otto anni (!) dopo la creazione del partito. Senza avere un'ideologia ufficiale, gli “orsi”, inventati e diretti dai tecnologi del Cremlino, hanno posto sotto il loro controllo praticamente tutti gli organi di potere, facendo della Duma di Stato e della maggior parte dei parlamenti regionali delle macchine per votare e hanno raccolto circa 2 milioni di membri, tra cui gran parte dei dirigenti russi di ogni grado e livello.

Proclami

Non si può dire che “Russia Unita”, formatasi come “partito di sostegno a Putin” e orientata alla massima “cattura” di elettori russi di diverse opinioni e convinzioni, in generale si sia mossa senza dichiarazioni di idee. Nel 2003 fu emesso il manifesto “La via del successo nazionale”, in cui, fra l'altro, l'ideologia del partito non era determinata. Il manifesto abbonda di cliché di alto livello: “La grandezza del paese comincia da grandi scopi”; “La nostra ideologia non è generata da un gioco di cervelli da ufficio, ma dalle reali necessità del paese e del popolo. La nostra ideologia è frutto dell'esperienza pratica, del buon senso e della previsione scientifica”; “Si perde il senso del legame storico del tempo – passato, presente, futuro, – che potrebbe suggerire dove e come cercare la via per il successo nazionale”.

Lo sviluppo ideale non si è limitato alla “via del successo nazionale”. Il frazionamento ufficiale, che è cominciato a sorgere per via del carattere variegato dei membri del partito del potere, fu bloccato da Gryzlov [2] nel 2005. Invece delle correnti sono stati creati tre cosiddetti club di discussione del partito: il (relativamente) liberale “4 novembre” [3], il (relativamente) nazionalistico club Statal-Patriottico e il (relativamente) sinistrorso Centro di politica social-conservatrice.

Nel 2006 fu emessa la dichiarazione programmatica “La Russia che scegliamo”. Neanche in esso si parla di ideologia, invece si dice che “il partito annuncia la strategia di rinnovamento qualitativo del paese come democrazia sovrana”. Nel 2007 alle elezioni parlamentari il programma elettorale “degli orsi” fu il supporto al “Piano Putin” [4].

Di mancanza di ideologia “Russia Unita” è stata rimproverata non solo dagli oppositori, ma anche da Putin, Surkov [5] e Medvedev. Del conservatorismo come autodeterminazione ideale nel partito del potere si era parlato anche in precedenza – nel 2008 i membri di “Russia Unita” entrarono a far parte dell'esperienza Internazionale Democratica Centrista, che è chiamata anche conservatrice. Di questa organizzazione fanno parte i cristiano-democratici tedeschi, i liberal-democratici giapponesi, l'“Unione per un Movimento Popolare” di Nicolas Sarkozy, “Forza Italia” di Silvio Berlusconi e altri partiti di dieci paesi.

Sfumature

Ed ecco che al congresso di novembre di quest'anno è stato emesso il documento programmatico di “Russia Unita” dal titolo “Russia: conserviamo e moltiplichiamo!” In esso l'ideologia è determinata come “conservatorismo russo”. Che, secondo i membri di “Russia Unita”, deve aiutare “la stabilità e lo sviluppo, il continuo rinnovamento creativo della società senza stagnazioni o rivoluzioni”. “E' l'ideologia del successo del nostro popolo, della conservazione e della modernizzazione della Russia sulla base della sua storia, della sua cultura, della sua spiritualità”. Il conservatorismo è chiamato a “liberare il paese dalle antiche malattie sociali, a distruggere gli ostacoli sulla via dell'innovazione e dei nuovi traguardi”.

A dire il vero, gli oppositori degli “orsi” dubitano che un'ideologia del partito sia comunque comparsa. “Il conservatorismo di “Russia Unita” non contempla alcuna qualità teorica. Dietro di essa non c'è alcuna elaborazione intellettuale. Per il partito di governo determinarsi nella storia al livello di “noi creiamo il nuovo e conserviamo il meglio” è semplicemente una vergognosa incapacità”, – commenta Nikolaj Levičev, leader del gruppo parlamentare alla Duma di “Russia Giusta” [6]. “Non hanno semplicemente ideologia. Il conservatorismo di “Russia Unita” è la conservazione delle sue posizioni come partito a cui è consentita la distribuzione delle ricchezze nazionali”, – ritiene Oleg Kulikov, segretario del Comitato Centrale del KPRF [7] per il lavoro informativo e analitico.

Il conservatorismo non verbalizzato esiste da tempo nel nostro paese. “Nella politica russa tutti sono conservatori, tranne i liberali sfrenati, che si trovano fuori dalla politica seria. I membri di “Russia Unita” hanno formulato questo. Il KPRF non può definirsi partito nazional-conservatore, lo LDPR [8] non si autodetermina come partito scandalistico-conservatore, “Russia Giusta” non si definisce partito social-conservatore. In questo senso i membri di “Russia Unita” sono quelli più onestamente rimasti a nascondersi dietro qualcos'altro”, – dice il politologo Boris Kagarlickij.

Questioni

Certo, pochi programmi politici sono capaci di mantenere saldamente una qualità appassionante. Ma ciò non toglie le pericolose imprecisioni del testo ideologico dei membri di “Russia Unita”. Alcuni passaggi suonano curiosi: per esempio, non si capisce quali saranno in pratica “i meccanismi reali di responsabilità dei medici per la qualità delle cure”. “Il processo di istruzione non deve limitarsi all'apprendimento automatico di formule e regole. (…) Da questo punto di vista bisogna esaminare anche l'Esame di Stato unico”, – ottimo, ma l'Esame di Stato unico viene criticato principalmente per questo.

“La censura è inaccettabile, ma un meccanismo efficace di difesa della società da informazioni che recano danno al suo sviluppo morale e psichico è indispensabile”, – notevole, ma nella realtà russa suona pericoloso.

Si sottolinea sempre l'indispensabilità del supporto alla classe media, che, a quanto stabilisce il partito, verso il 2020 dovrà crescere fino al 60% della popolazione del paese. Ma peraltro si parla di “umori paternalistici largamente diffusi nella società”. Peraltro si dice pure che “Russia Unita” otterrà “la riduzione della disuguaglianza sociale, la riduzione del divario tra i redditi dei diversi gruppi della popolazione”.

“Questo è ciò di cui morì l'Unione Sovietica. Tutte le parole sono mutevoli, si capisce perfino a cosa si mira, ma con la realtà ha un rapporto stupefacente. Alle parole non sono annesse le leve per la loro esecuzione. Si vantano del fatto che da noi tutto sarà bello. E non si capisce da dove venga tanto ottimismo. Sono molto giuste le parole sullo sviluppo innovativo, ma già sotto Brežnev si parlava di una rivoluzione scientifica e tecnica. C'è molto pathos sul risollevamento dell'agricoltura, manca poco che parlassero anche di piani quinquennali. Molte parole sul supporto alle piccole imprese. Solo che non sta scritto, che queste ululano come lupi perché la classe burocratica le schiaccia. Non si spiega perché “Russia Unita” non è un partito di funzionari. E se la costruzione delle strade in Siberia è controllata dal partito, questo è segno che il sistema non funziona in alcun modo”, – ritiene il politologo Dmitirij Oreškin.

Non è scritto neanche la conservazione di quali tradizioni otterranno i “conservatori russi”. “Il partito si orienta sui periodi di successo nella storia del nostro popolo. Le discussioni storiche nel partito sono ancora avanti”, – spiega l'addetto ideologico dei membri di “Russia Unita” Aleksandr Kazakov.

Motivi

“La crisi è sempre un tempo di ideologie La gente ha bisogno di mobilitarsi per il superamento della crisi e per questo sono necessari determinati ideali sociali. Perciò il presidente parla anche dell'indispensabilità di far rinascere la concorrenza tra i partiti. L'assunzione di un'ideologia si riflette sul processo di consolidamento del partito. Il partito si è riunito un pezzo per volta per risolvere il compito di mantenere l'unità del paese e per garantire da un punto di vista legislativo e politico il corso di Putin. Oggi “Russia Unita”, dichiarandosi conservatrice, ha dimostrato di esistere come un vero partito”, – continua Kazakov.

Adesso gli stessi membri di “Russia Unita” devono ammettere che da loro si è manifestato un qualche posizionamento ideologico. Probabilmente molte persone entrate là per non avevano semplicemente pensato a queste cose. La creazione di un programma era compito del vertice intellettuale del partito e di una comunità leale di esperti, ma non certo della massa dei membri del partito, che si presentavano come funzionari di medio e basso rango. In precedenza non pensavano all'ideologia, adesso periodicamente tocca farlo”, – dice il vice-presidente del Centro di tecnologie politiche Sergej Micheev.

In generale si può supporre in “Russia Unita” la presenza di persone insoddisfatte di com'è stato assunto il programma ideologico. Per esempio, alla “Novaja gazeta” non è riuscito ottenere i commenti del club “4 novembre” – i principali oppositori di Andrej Isaev del Centro di politica social-conservatrice, considerato l'elaboratore delle idee del conservatorismo russo. Al congresso è stato presentato solo un progetto di programma ideologico, praticamente non è stata condotta alcuna ampia valutazione di esso. A registratore spento alcuni membri di “Russia Unita” parlano di questo come di un segno di lealtà della leadership del partito a un raggruppamento interno ai danni di altri. E prevedono rimpasti dei quadri del partito nel prossimo futuro.

Aleksandr Litoj

23.12.2009, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2009/143/17.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Gioco di parole a più livelli. L'orso è nel simbolo di “Russia Unita”, il cognome del presidente è Medvedev, che deriva da medved', “orso” e infine “da orso” in Russia significa “goffo”, “maldestro”.

[2] Boris Vjačeslavovič Gryzlov, presidente della Duma di Stato.

[3] Il 4 novembre ha sostituito la festa della Rivoluzione d'Ottobre (e la eltsiniana Festa della Riconciliazione Nazionale). In quel giorno si festeggia la cacciata di polacchi e lituani, che nel 1612 avevano tentato di porre un loro candidato sul trono russo vacante. Dopo questo evento si insediò sul trono il casato dei Romanov.

[4] Piano proclamato dal presidente Putin per il rafforzamento della Russia e della sua “democrazia sovrana”.

[5] Vladislav Jur'evič Surkov, principale collaboratore di Putin, detto anche l'ideologo del Cremlino.

[6] Partito di centro-sinistra.

[7] Kommunističeskaja Partija Rossijskoj Federacii (Partito Comunista della Federazione Russa).

[8] Liberal'no-Demokratičeskaja Partija Rossii (Partito Liberal-Democratico di Russia), ad onta del nome partito nazionalista e populista.



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21 dicembre 2009

A proposito di diritti umani violati (VII)

Anche a loro dicono: “Ponaechali[1]



Come lavora in Cecenia il Gruppo mobile riunito di giuristi e attivisti per i diritti umani delle regioni russe


Ai primi di dicembre ai giuristi del Gruppo mobile riunito di attivisti per i diritti umani si è rivolto il 54enne abitante del villaggio di Gojty [2] Andan Ibragimov. Il 20 ottobre fu rapito suo nipote 19enne Sajd-Salech e il giorno seguente nel villaggio di Gojty due case di suoi parenti (in una viveva la sua vecchia madre, l'altra era vuota) furono bruciate da agenti delle strutture armate della Cecenia, tra cui c'erano agenti del cosiddetto reggimento petrolifero (reggimento di polizia sotto il comando di organi extra-istituzionali del ministero degli Interni della Repubblica Cecena).

Secondo la versione ufficiale, ci fu uno scontro, i terroristi risposero al fuoco, rimasero feriti due poliziotti ceceni e uno morì. Sul luogo dello scontro gli abitanti del villaggio di Gojty videro due cadaveri di militanti, uno dei quali era abbastanza strano – fortemente congelato.

Dopo l'operazione speciale Andan Ibragimov e sua nuora Raisa Turlueva furono portati allo ROVD [3] della città di Urus-Martan [4] e furono accusati di favoreggiamento di terroristi. Fra l'altro, a tarda sera dello stesso giorno entrambi furono rilasciati. Ma qualche tempo più tardi ad Andan telefonò un inquirente della polizia e gli chiese di tornare subito allo ROVD. Da là lo portarono a Groznyj dal comandante del “reggimento petrolifero” Šerip Delimchanov.

Nell'ufficio oltre al comandante si trovavano due alti ufficiali che avevano preso parte all'operazione speciale condotto quel giorno nel villaggio di Gojty. In tutto c'erano 12-15 persone in uniforme militare. Ad Andan Ibragimov chiesero in forma ultimativa di rinnegare il proprio nipote 19enne Sajd-Salech, studente del 2° anno dell'Istituto Petrolifero della città di Groznyj. Poi portarono nell'ufficio lo stesso Sajd-Salech, sequestrato alla vigilia – il 20 ottobre.

“Ho notato del sangue sul volto di mio nipote, – scrive Andan Ibragimov nella dichiarazione per gli attivisti per i diritti umani e per la procura. – Il ragazzo era evidentemente impaurito, alle domande rispondeva senza pensare, con degli scioglilingua. Tutti i presenti mi assicurarono che avrebbero immancabilmente ucciso mio nipote per l'uccisione di un poliziotto nel cortile della nostra cosa, che erano una fratellanza, che avevano giurato di vendicare ogni agente ucciso. Ma alla fine dell'interrogatorio dissero quanto segue. Se Sajd-Salech avesse collaborato con loro nella ricerca e nell'eliminazione dei militanti, forse gli avrebbero dato una chance… Chiesi a Sajd-Salech di collaborare con le strutture armate per conservarsi in vita… Sajd-Salech in presenza di tutti mi dette parola che avrebbe collaborato con gli organi… Da allora nessuno di noi l'ha più visto e dove sia recluso non è noto…”

Andan tentò di far avviare un procedimento penale per il sequestro del nipote, ma gli inquirenti del distretto di Ačchoj-Martan [5] si sono rifiutati di inserire nel protocollo dell'interrogatorio le informazioni sull'interrogatorio notturno nell'ufficio del comandante del reggimento petrolifero. Come risulta dalla dichiarazione di Ibragimov: “Invece l'inquirente scrisse che il luogo in cui si trova mio nipote mi è ignoto… Se, come ha detto l'inquirente tutte le mie deposizioni fossero risultate nel protocollo dell'interrogatorio, allora avrebbe dovuto fare richiesta al “reggimento petrolifero” perché gli consegnassero mio nipote. E allora gli agenti di questo reggimento mi costringeranno a fare le deposizioni che vorranno…”

Andan Ibragimov ha comunque insistito perché nella sua dichiarazione fossero registrati tutti i fatti. Inoltre ha chiesto di far risultare nel protocollo che teme pressioni da parte degli agenti degli organi per la tutela dell'ordine.

Il dieci dicembre Andan Ibragimov si è rivolto per aver aiuto agli attivisti per i diritti umani del gruppo mobile. E dopo le loro richieste alla fine gli inquirenti hanno avviato una verifica sulla base della dichiarazione di Ibragimov.

Il 15 dicembre Ibragimov è stato convocato al “reggimento petrolifero”. Con lui sono andati i giuristi del gruppo mobile, che accompagnano Ibragimov praticamente 24 ore su 24. Ha avuto luogo una conversazione con Šerip Delimchanov. Questi ha detto che Ibragimov fa rumore per nulla, rivolgendosi alla procura: “Non ho paura di questo, posso risolvere le questioni portandole fino a Mosca”. A proposito di Sajd-Salech Delimchanov ha detto: “Se n'è andato da me, 100 persone lo confermeranno, è salito in macchina e se n'è andato e dov'è andato non lo so, forse a combattere per i wahhabiti [6]. Ma non dimostrerai che era da me! Come lo dimostrerai, chi lo confermerà? Non ci sono prove! E non ci saranno…”

Dopo questa conversazione i giuristi del Gruppo mobile riunito hanno scritto una dichiarazione per il procuratore generale Čajka, in cui chiedevano di avviare immediatamente un procedimento penale per il sequestro di Ibragimov Sajd-Salech e di garantire la sicurezza dell'autore della dichiarazione, dei suoi familiari e delle sue proprietà.

Nel frattempo il plenipotenziario per i diritti umani della Cecenia Nurdi Nuchažiev ha riunito tutti gli attivisti locali per i diritti umani e ha dichiarato i membri del Gruppo mobile riunito persone non grate, che vadano nella repubblica dei Komi [7] o a Voronež [8] e là studino i casi di tortura e lottino per i diritti umani.

Elena Milašina
su informazioni del Gruppo mobile riunito di attivisti per i diritti umani

21.12.2009, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2009/142/13.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Letteralmente “sono/siete arrivati in massa”. Intraducibile espressione di disappunto per l'arrivo di persone sgradite, con l'augurio implicito che se ne vadano.

[2] Villaggio della Cecenia centrale.

[3] Rajonnyj Otdel Vnutrennich Del (Sezione Provinciale degli Affari Interni), in pratica la sede provinciale della polizia.

[4] Città della Cecenia centrale.

[5] Città della Cecenia centrale.

[6] In Russia per “wahhabiti” si intendono gli estremisti islamici in generale.

[7] Repubblica autonoma della regione uralica, popolata per la maggior parte dal popolo ugro-finnico dei Komi.

[8] Città della Russia centro-meridionale.



http://matteobloggato.blogspot.com/2009/12/come-la-russia-in-via-di.html

19 dicembre 2009

A proposito di Gorbačëv

L'eredità perduta di Gorbačëv



Se mi ritengo realizzato e, in questo senso, felice? Rispondere a questa domanda non è semplice… In generale non conosco riformatori felici”.
“Chi aveva ragione, chi si sbagliava – questo lo dimostrerà la storia”.
Michail Gorbačëv, 1993/2000

Parlando in una lingua usuale per la politica, Gorbačëv ha subito una sconfitta: la “riforma democratica” che cercò di condurre in Unione Sovietica è finita con il crollo del paese e dello stato. Ma questo non è tutto quello che si può dire di sei anni e mezzo della sua leadership, che sono stati notati per due successi senza precedenti di Gorbačëv. Questi ha avvicinato la Russia (allora ancora Russia sovietica) alla democrazia reale più che in qualsiasi altro momento della sua storia plurisecolare. E insieme ai partner che trovò nelle persone dei presidenti americani Ronald Reagan e George Bush primo andò più vicino di chiunque prima di lui alla fine della pluriennale guerra fredda.

E' insensato, tra l'altro, supporre che Gorbačëv dovesse obbligatoriamente portare a compimento i propri principi. Pochi riformatori, perfino gli “uomini storici di successo”, sono capaci di vedere la propria missione in pieno, prima e dopo. Questo riguarda in particolare gli iniziatori di grandi mutamenti, il carattere e la durata dei quali generano più ostacoli e problemi di quanto i loro autori (a meno che non si parli di Stalin) possano o riescano a superare. Il “New Deal” di Franklin Roosevelt, questa perestrojka del capitalismo americano, è continuato, con digressioni, ancora per molti anni dopo la morte dell'autore. La maggior parte di questi leader apre soltanto le porte politiche, lascia dopo di se vie alternative non esistenti in precedenza e spera come Gorbačëv, che lo ha dichiarato più di una volta, che ciò che ha cominciato sarà “irreversibile”.

Le chance storiche di modernizzare gradualmente la Russia e di porre fine alla guerra fredda sulla base del consenso generale costituiscono l'eredità di Gorbačëv. Ciò che è risultato perduto o mercanteggiato è stato colpa delle elite e dei leader venuti dopo di lui, tanto a Mosca, quanto a Washington. Di conseguenza queste chance hanno avuto presto una presentazione non veritiera e sono semi-dimenticate. Nonostante gli slanci democratici che hanno avuto luogo sotto Gorbačëv, il ruolo di “padre della democrazia russa” presto è stato dato al suo erede Boris El'cin. I principali giornalisti americani, così come i rappresentanti dell'establishment politico di Washington, adesso dichiarano ai propri lettori che proprio El'cin ha iniziato il “passaggio della Russia dal totalitarismo”, che “ha posto la Russia sulla via della democrazia” e che sotto di lui ci sono stati i “primi bagliori della cittadinanza democratica”. “La democrazia ha avuto origine in Russia dopo il crollo del comunismo sovietico nel 1991”. Insomma, il modello gorbacioviano di democratizzazione evolutiva è stato cancellato dalla storia e, conseguentemente, dalla politica.

Come si può spiegare una simile amnesia storica? Nella Russia post-sovietica la causa principale era l'indirizzo politico. Temendo l'inquietudine popolare a causa del loro ruolo nel crollo dell'Unione Sovietica e l'incrollabile popolarità di Gorbačëv all'estero, El'cin e il suo entourage più vicino dichiararono che proprio il nuovo presidente russo, indubbiamente, era il “padre della democrazia russa” e Gorbačëv solo un riformatore incerto che sperava di “salvare il comunismo”. Inizialmente perfino alcuni sostenitori russi di El'cin capirono che ciò non corrispondeva alla realtà ed era pericoloso per il futuro del paese. Un uomo di stato che, valutando il ruolo di Gorbačëv, lo chiamò “liberatore”, scrisse: “Non ci sono miracoli: persone incapaci di valutare un grand'uomo non possono guidare un paese con successo”. 1)

Ad Occidente e in particolare negli Stati Uniti il riesame della storia fu determinato dall'ideologia. Le storiche riforme di Gorbačëv, come pure le precedenti speranze di Washington nel fatto che si sarebbero compiute, furono momentaneamente dimenticate dopo il 1991, quando il crollo dell'Unione Sovietica e la presunta vittoria dell'America nella guerra fredda dettero inizio alla nuova ideologia americana del trionfalismo. Tutta la storia del nemico sovietico “vinto” da allora sarebbe stata proposta dalla stampa americana come “sette decenni di duro e spietato stato di polizia”, come “ferita inferta al popolo”, che lo fece soffrire “la maggior parte del secolo”, come un'esperienza che era risultata “in tutto e per tutto perfino un male peggiore di quello che supponevamo”. L'accusa lanciata da Reagan all'indirizzo dell'Unione Sovietica – “impero del male”–, che questi, sotto l'influsso delle riforme gorbacioviane, aveva ritirato con gioia solo tre anni prima, acquistava di nuovo valore. E un influente columnist americano dichiarò perfino che una “Russia fascista” sarebbe stata “molto meglio”. 2)

In modo simile reagirono anche gli studiosi americani, parte dei quali subì pure l'influenza della “fede trionfalista”. Con poche eccezioni preferirono tornare ai vecchi assiomi sovietologici, secondo i quali il sistema sovietico era sempre irriformabile e il suo destino era segnato. La “via di mezzo evolutiva” proposta da Gorbačëv “era una chimera”, come a suo tempo la NEP, un tentativo di “riformare l'irriformabile”, cosicché l'Unione Sovietica sarebbe finita per “carenza di alternative”. Perciò la maggior parte degli studiosi non si poneva già più domande tipo: forse un'Unione Sovietica riformata sarebbe un futuro migliore per la Russia post-comunista oppure una qualsiasi altra delle repubbliche dell'Unione? Al contrario, insistevano che tutto ciò che era sovietico “doveva essere rigettato” per la sua inutilità e “tutto l'edificio dei rapporti politico-economici doveva essere distrutto del tutto” – convinzione che confluiva nell'entusiastico appoggio americano alle misure estreme che El'cin portò avanti negli anni '90.

Il riesame della storia dell'Unione Sovietica richiedeva anche il riesame delle idee sul suo ultimo leader. Quello che fu un tempo riconosciuto come “radicale n. 1” dell'Unione Sovietica, che veniva applaudito per il suo “coraggio”, Gorbačëv adesso era accusato tanto di carenza di “decisione e produttività”, quanto di carenza di “radicalismo”. Il leader che, quand'era al potere, diceva di se “Tutto ciò che fa parte della filosofia è comparso inizialmente come un'eresia e in politica come opinione di una minoranza” e che per “eresia” in politica era odiato dai propri fondamentalisti comunisti, era disprezzato come persona “senza profonde convinzioni” e perfino come “comunista ortodosso”. La fede di Gorbačëv in un “socialismo dal volto umano” generò una caparbia reazione ideologica, che favorì anche l'affermazione del pensiero che il mercato e la democrazia fossero stati portati in Russia da El'cin.

L'idea che le misure pro-democrazia di Gorbačëv fossero insufficientemente radicali ostacola la comprensione della fatale differenza tra il suo approccio e l'approccio di El'cin. Da Pietro I fino a Stalin il metodo principale di trasformazione del potere in Russia è stato la “rivoluzione dall'alto”, che imponeva dolorosi mutamenti alla società per mezzo della coercizione statale. Le misure eltsiniane dei primi anni '90, che presero il nome di “terapia d'urto”, nonostante il diverso scopo perseguito di principio, continuarono questa viziosa tradizione.

Gorbačëv rifiutò categoricamente questa tradizione. Fu decisamente orientato fin dall'inizio a condurre il paese – per la prima volta nella sua storia plurisecolare – attraverso un momento di rivolgimento senza spargimento di sangue. La perestrojka, dichiarò, è la “chance storica di modernizzare il paese per mezzo delle riforme, cioè con mezzi pacifici”, un processo “rivoluzionario per contenuto, ma evolutivo per metodo e forma di cambiamento”. Ciò significava che la “causa della perestrojka” iniziata dall'alto era trasmessa “nelle mani del popolo” per mezzo della “democratizzazione di tutte le sfere della vita della società sovietica”. E' noto quale prezzo pagò Gorbačëv per la “riforma democratica” (per la persona al potere – già un'eresia nel suo genere) da lui scelta come alternativa alla storia russa di trasformazioni violente.

Nelle condizioni di sconvolgimento politico e sociale degli anni '90 eltsiniani e post-sovietici, gli storici russi e gli altri intellettuali, a differenza dei loro colleghi americani, hanno cominciato a reinterpretare le conseguenze del crollo sovietico. Sempre più persone sono giunte alla conclusione che una determinata forma di perestrojka gorbacioviana o di “evoluzione non catastrofica”, anche senza di lui, fosse una chance di democratizzare e introdurre nell'economia di mercato il paese con metodi meno traumatici e costosi, cioè più efficaci di quelli scelti sotto El'cin. Su questo tema storici (e politici) russi discuteranno ancora per lunghi anni, ma il destino della democratizzazione del paese mostra perché alcuni di loro sono convinti già ora che l'approccio di Gorbačëv sia stato un'“alternativa lasciata sfuggire”.

Esaminiamo in breve la “traiettoria”, come dicono gli specialisti, delle quattro componenti principali di qualsiasi democrazia, quella per cui si sono sviluppate in Russia prima e dopo la fine dell'Unione Sovietica nel dicembre 1991:

Senza un numero significativo di mezzi di informazione di massa indipendenti gli altri elementi di democrazia, dalle elezioni regolari ai meccanismi di limitazione del potere e ai sistemi giudiziari non possono esistere. Negli anni 1985-86 Gorbačëv, in qualità di prima riforma importante, introdusse la glasnost', che significava la graduale riduzione della censura ufficiale. Il risultato fu la comparsa negli anni 1990-91 di un'enorme quantità di pubblicazioni indipendenti e, cosa molto più importante per quel tempo, di televisione, radio e giornali di stato liberi dalla censura in modo significativo. Il processo inverso cominciò dopo la vittoria di El'cin sulla GKČP [2] nell'agosto e la fine dell'URSS nel dicembre 1991. In entrambi i casi questi chiuse alcuni giornali di opposizione e ristabilì la censura del Cremlino sulla televisione. Queste furono misure temporanee; un controllo più continuo sui mezzi di informazione di massa russi post-sovietici fu stabilito dopo la distruzione armata del parlamento russo da parte di El'cin nel 1993 e i suoi decreti “di privatizzazione”, che resero un gruppo ristretto di persone, note come “oligarchi”, proprietario delle principali ricchezze del paese, tra cui i mezzi di informazione di massa.

Le elezioni presidenziali del 1996, che El'cin quasi perse contro il candidato del Partito Comunista, significarono la fine dei falsamente liberi e indipendenti mezzi di informazione di massa a livello nazionale nella Russia post-sovietica. Nonostante il fatto che un qualche pluralismo e un qualche giornalismo indipendente nei mezzi di informazione di massa continuasse a conservarsi, questo era, fondamentalmente, una conseguenza delle guerre intestine tra i loro oligarchici proprietari e un effetto residuo della glasnost' gorbacioviana – questi si degradavano irrevocabilmente. Come più tardi sottolineò il direttore di uno dei principali giornali dei tempi della perestrojka e post-sovietici, “nel 1996 il potere russo e… i maggiori gruppi d'affari… utilizzarono insieme i mezzi di informazione di massa, in primo luogo la televisione, per la manipolazione ai propri scopi del comportamento degli elettori – e ottennero un successo palpabile. Da allora né il potere, né gli oligarchi hanno più mollato questa arma”. 3)

Altri giornalisti russi, paragonando la propria esperienza di lavoro sotto Gorbačëv con quella sotto El'cin e Putin, hanno dato la preferenza al primo. Ecco, tuttavia, l'opinione dell'americano informato, il capo dell'organizzazione di monitoraggio internazionale, espresso da questi nel 2005: “Negli anni della glasnost' il giornalismo coraggioso sfondava le porte chiuse della storia, accendeva roventi dibattiti sulla democrazia multipartitica e ispirava i cittadini sovietici alla libertà di parola… Ma nella Russia di oggi i giornalisti coraggiosi sono in pericolo… I reportage su temi socialmente significativi sono sottoposti a un controllo sempre più duro e il pubblico resta nell'ignoranza quanto a corruzione, criminalità e violazioni dei diritti umani”. 4)

Per questa “traiettoria” si sono sviluppate anche le elezioni russe. Le prime elezioni nazionali per il Consiglio dei Deputati del Popolo dell'URSS su base alternativa nella storia sovietica ebbero luogo nel marzo 1989. E anche se metà dei deputati furono eletti dalle organizzazioni e non dal voto popolare, questo fu uno slancio in avanti storico, che segnò la campagna gorbacioviana di democratizzazione. Presto ne seguirono anche altri. Le elezioni dell'organo legislativo corrispondente della RSFSR [5] all'inizio del 1990 restano finora le più libere e regolari elezioni parlamentari mai tenute in Russia. Lo stesso si può dire delle nuove, per il paese, elezioni del presidente della Federazione Russa del 1991, nelle quali il rivoltoso El'cin batté con grande slancio il candidato del Cremlino.

Fino al crollo dell'Unione Sovietica non ci furono più in Russia né elezioni parlamentari, né presidenziali e quelle che ebbero luogo in seguito, anche se mantennero un innocuo grado di concorrenza, di volta in volta furono sempre meno libere e regolari. Verso il 1996 fu creata una sufficiente quantità di “tecnologie politiche” per la “democrazia guidata”, più tardi legata al nome di Vladimir Putin: massimo utilizzo di mezzi finanziari, controllo sui mezzi di informazione di massa, riduzione dei diritti dei candidati e dei partiti indipendenti e falsificazione dei risultati delle votazioni – per garantire il mantenimento del potere effettivo indipendentemente da chi governi concretamente la Russia. Perfino i risultati del referendum, chiamato, come dissero, a ratificare la nuova costituzione eltsiniana nel 1993, furono – a differenza del referendum gorbacioviano sull'Unione del 1991 – quasi certamente falsificati.

La cosa più evidente è che l'elezione di El'cin a presidente della RSFSR nel 1991 fu il primo e l'ultimo caso in cui il potere esecutivo passò liberamente dal Cremlino al candidato dell'opposizione. Nel 2000 El'cin trasmise il potere a Putin già attraverso elezioni “guidate” e Putin nel 2008 in modo analogo fece suo erede Medvedev. Perfino uno specialista americano che guardava alle riforme gorbacioviane senza simpatia giunse alla conclusione che “sotto Gorbačëv le elezioni erano meno prefissate e mendaci della maggior parte delle campagne parlamentari e presidenziali post-sovietiche in Russia”. Un commentatore russo si espresse più chiaramente: “Il picco di democrazia elettorale nel nostro paese si ebbe alla fine della perestrojka”. 5)

Ma nessuno dei risultati democratici dell'epoca di Gorbačëv ha avuto maggiore significato e ha subito una degradazione più fatale degli organi legislativi sovietici eletti dal popolo per sua iniziativa negli anni 1989-1990. La democrazia può esistere senza un potere esecutivo indipendente, ma è impossibile senza un parlamento sovrano o un suo equivalente – un unico immutabile istituto di potere rappresentativo. Dagli zar ai segretari generali l'autoritarismo russo si è distinto per l'indubbia prevalenza del potere esecutivo con l'assenza o la cattiva sorte dell'assemblea rappresentativa, sia la Duma zarista del periodo prerivoluzionario, l'Assemblea Costituzionale degli anni 1917-1918 o i Soviet eletti dal popolo.

In questo contesto il Congresso dei deputati del popolo dell'URSS formato nel 1989 e il suo analogo repubblicano russo del 1990, ognuno dei quali elesse il proprio Soviet Supremo in qualità di parlamento in funzione permanente, sono state il risultato storicamente più significativo delle misure democratiche di Gorbačëv. Il primo agiva come sempre più indipendente Convenzione costituzionale, approvando leggi per l'ulteriore democratizzazione dell'Unione Sovietica per mezzo di una distribuzione dei poteri che in precedenza erano monopolio degli zar o dei commissari e anche creando ogni possibile commissioni di ricerca e intervenendo come fonte di opposizione a Gorbačëv. Il secondo fece lo stesso nella Repubblica Russa, fra l'altro la sua più importante innovazione legislativa fu l'istituzione del potere presidenziale elettivo. Peraltro Gorbačëv era così incline al reale potere legislativo come componente inalienabile della democratizzazione che nel 1990 acconsentì di malavoglia ad assumere la carica esecutiva di presidente, temendo che ciò potesse limitare l'indipendenza del Soviet Supremo e poi, con grande amarezza, soffrì i crescenti attacchi dei deputati all'indirizzo della sua leadership.

Vent'anni dopo il parlamento post-sovietico russo, rinominato Duma, è divenuto quasi la copia esatta dei suoi più deboli e obbedienti predecessori di epoca zarista è il potere presidenziale ha acquisito prerogative quasi assolute. La via verso questo fatale mutamento è stata segnata da due svolte. La prima si è verificata alla fine del 1991, quando al parlamento sovietico toccò giocare solo un ruolo insignificante negli avvenimenti che precedettero lo scioglimento dell'Unione Sovietica e assolutamente nessuno nello scioglimento stesso. Il secondo avvenne nell'autunno del 1993, quando El'cin interruppe con la forza l'attività del parlamento russo del 1990 e mise in atto una costituzione superpresidenziale.

Infine, una democrazia vitale ha bisogno di elite di governo, a cui l'accesso sia aperto, perlomeno di tanto in tanto, per i rappresentanti di altri partiti, di strutture non statali e della società civile. Al momento iniziale della perestrojka l'autonominata nomenklatura sovietica concentrava nelle proprie mani tutto il potere politico e perfino la stessa partecipazione alla politica. La distruzione di questo monopolio con la garanzia della possibilità di una comparsa di nuove figure politiche di diversi strati sociali e professionali – di modo che come sindaci di Mosca e Pietroburgo furono eletti un dottore in economia e un professore di diritto – fu un altro slancio in avanti democratico dell'epoca di Gorbačëv. Nel 1990 queste persone erano già una minoranza significativa nel parlamento dell'Unione e la maggioranza in quello russo.

Dopo il 1991 questo risultato era già stato capovolto. L'elite di governo post-sovietica presto si trasformò in un gruppo ristretto, costituito per la maggior parte dall'entourage personale del leader, dagli oligarchi finanziari e dai loro rappresentanti, dai funzionari statali e dagli uomini delle strutture armate (gli uomini delle forze armate e dei servizi segreti). La crescita del numero di questi ultimi agli alti livelli di potere, per esempio, viene legata di solito all'arrivo di Putin, ex colonnello del KGB, ma questo processo iniziò già presto dopo il crollo sovietico. Fino al 1992, cioè sotto Gorbačëv, gli uomini delle strutture armate erano il 4% dell'elite di governo; sotto El'cin il loro numero aumentò più di quattro volte – fino al 17% e sotto Putin si è ancora triplicato – quasi fino al 50%.

La situazione della società civile si è sviluppata di conseguenza. Qualunque cosa dicano là le persone che si definiscono “promoter” della società civile, questa esiste sempre, perfino nei sistemi autoritari. Ma nella Russia post-sovietica la maggior parte dei suoi rappresentanti verso la fine degli anni '90 è ricaduta nella passività di prima della perestrojka, preferendo agire sporadicamente o non agire affatto. Questa svolta è stata causata da alcuni fattori, fra cui la stanchezza, il disincanto, la rioccupazione dello stato da parte della sfera politica e anche l'effetto da knock-out della “terapia d'urto” eltsiniana dei primi anni '90, che ha tolto di mezzo un decimo delle un tempo ampie e professionali classi medie sovietiche, considerate il presupposto di una democrazia stabile. Aleksandr Jakovlev, partner di Gorbačëv nella democratizzazione, pronunciò alla vigilia del ventesimo anniversario della perestrojka “una frase blasfema: un tale strappo tra la vetta al potere e il popolo non c'è mai stato nella storia russa”. E' stata una vera e propria esagerazione, ma comunque esprimeva il destino di ciò che questi e Gorbačëv avevano iniziato un tempo.

A dirla in breve, questi quattro segni testimoniano che la democratizzazione russa dopo la fine dell'Unione Sovietica si è sviluppata secondo una traiettoria declinante. Gli altri processi politici si sono mossi nella stessa direzione. Il costituzionalismo e la supremazia della legge erano i principi guida delle riforme gorbacioviane. Questi non dominavano sempre, ma mostravano un netto contrasto con i metodi eltsiniani, che nel 1993 distrussero tutto l'ordine costituzionale creato, dal parlamento e dalla Corte Costituzionale che aveva appena preso forma fino ai rinati soviet a livello di governo locale. Poi, fino alla fine degli anni '90, El'cin governò principalmente per mezzo di decreti, emettendone 2300 in un solo anno. Ascesa e caduta si osservarono a quel tempo anche nell'atteggiamento ufficiale verso i diritti umani, che serve sempre da indicatore sensibile del livello di sviluppo di una democrazia. A questo riguardo in uno studio occidentale pubblicato nel 2004 si diceva: “La quantità di violazioni dei diritti umani in Russia è cresciuta in modo impressionante dal momento del crollo dell'Unione Sovietica”.

La conclusione sembra evidente: la democratizzazione sovietica, per quanto dittatoriale fosse stata la storia precedente del sistema, è stata per la Russia una possibilità di democrazia lasciata sfuggire, una via evolutiva non percorsa. Nel contesto del trionfalismo americano e della sua correttezza politica, questa conclusione suona eretica, ma non nella Russia post-sovietica. Perfino i precedenti sostenitori di El'cin più tardi hanno rivisto le proprie posizioni, quelle che avevano negli anni 1990-1991. Guardandosi indietro, uno di essi ha ammesso: “Gorbačëv (…) ci ha donato le libertà politiche – gratis, senza sangue. La libertà di stampa, di parola, di manifestazione, di riunione, di avere un sistema multipartitico”. Un altro ha precisato: “Quale uso abbiamo fatto di queste libertà è già un problema e una responsabilità nostra e non sua”. E un terzo, che appoggiò politicamente El'cin nella decisione di sciogliere l'Unione, si è posto una domanda: “Come sarebbe stato lo sviluppo del paese?” – se avesse continuato a esistere. 6)

Vent'anni dopo, dopo la fine dell'esistenza dello stato sovietico, la maggior parte degli osservatori occidentali ha concordato nell'idea che in Russia vada avanti un profondo processo di “de-democratizzazione”. I tentativi di chiarire quando e perché sia cominciato evidenziano di nuovo le differenze di principio tra il pensiero degli specialisti occidentali, in particolare americani, e di quelli russi.

La maggior parte dei commentatori americani, dopo aver eliminato le riforme di Gorbačëv dalla “malefica” storia dell'Unione Sovietica e aver ascritto il merito della democratizzazione a El'cin, ha accusato Putin di “aver condotto la Russia nella direzione opposta”. Solo pochi specialisti americani non hanno condiviso questa opinione, dando la colpa dell'inizio del “declino delle riforme democratiche” non a Putin, ma al suo predecessore El'cin.

Ancora meno in America – evidentemente per paura di dubitare in “uno dei grandi momenti della storia” – sono quelli che si chiedono se il “declino” non sia iniziato ancora prima, proprio con il crollo dello stato sovietico. Che giornalisti e politici non esaminino questa possibilità si può ancora capire. Ma perfino solidi studiosi, che in seguito si sono pentiti del proprio “ottimismo” nei confronti della leadership eltsiniana, non si mettono a riesaminare la propria posizione sulla fine dell'Unione Sovietica. Ma dovrebbero farlo, in quanto il modo in cui è avvenuto questo crollo – in circostanze che le valutazioni occidentali standard principalmente tacciono o mitologizzano – non facevano presagire nulla di buono per il futuro della Russia. (Uno dei miti è quello del “pacifico” e “incruento” scioglimento dell'Unione. In realtà nei conflitti etnici esplosi presto in Asia Centrale e nel Caucaso sono state uccisi o privati con violenza di una patria centinaia di migliaia di cittadini e le conseguenze post-sovietiche di questa esplosione nucleare si fanno ancora vedere, come ha mostrato la guerra del 2008 in Georgia.)

Nel senso più generale, ci sono stati minacciosi paralleli tra il crollo dell'Unione Sovietica e la fine dello zarismo nel 1917. In entrambi i casi il modo in cui si è fatta finita con il vecchio ordine ha causato la quasi totale distruzione dello stato russo, che ha gettato il paese a lungo nel caos, nei conflitti e nella miseria. (Il termine “Smuta” [10], con cui i russi chiamano ciò che è seguito, è pieno di paura per il futuro, di paura che deriva dalla precedente esperienza storica e che non viene trasmesso dalla tradizionale traduzione inglese «Time of Troubles». In questo senso la fine dell'Unione Sovietica è legata non solo allo specifico del sistema sovietico, quanto alle rotture dello stato che si ripetono nella storia russa.)

Le conseguenze del 1991 e del 1917, nonostante importanti differenze, sono state simili. Le speranza di un processo evolutivo in direzione di democrazia, progresso [11] e giustizia sociale sono state di nuovo infrante; un piccolo gruppo di radicali ha imposto misure estreme alla nazione; la lotta attiva per la proprietà e il territorio, facendolo a pezzi, ha rotto le basi di uno stato multietnico, stavolta dotato anche di armi nucleari e i vincitori hanno distrutto le importanti strutture stabili, economiche e di altro tipo, per crearne di assolutamente nuove, “come se il passato non ci fosse stato”. Le elite hanno agito di nuovo in nome di idee e di un futuro migliore, ma hanno lasciato una società nettamente divisa davanti alla “domanda maledetta” di turno: perché è successo? E la gente comune ha di nuovo pagato per tutto, fra l'alto con un catastrofico calo del livello e della durata della vita.

Alla base del materiale preparato per la “Novaja gazeta” c'è il testo di uno dei capitoli del libro del professore dell'università di New York Stephen Cohen “Soviet Fates and Lost Alternatives: From Stalinism to the New Cold War” [12], pubblicato recentemente negli USA dalla casa editrice Columbia University Press.

Traduzione di Irina Davidjan

1. Èduard Samojlov, “Nezavisimaja gazeta” [1], 13 ottobre 1992
2. Nicholas D. Kristof, “New York Times”, 15 dicembre 2004
3. Vitalij Tret'jakov, “Rossijskaja gazeta”
[3], 19 novembre 2003
4. Ann Cooper, direttore esecutivo del Comitato per la difesa dei giornalisti, “Moscow Times”
[4], 17 luglio 2005
5. M. Steven Fish, “Democratisation” (Primavera 2005), p. 248 e Aleksansdr Kolesni
čenko, “Novye Izvestija” [6], 13 novembre 2006
6. Larisa Pija
ševa, “Pravda”, 21 aprile 1995; Lilija Ševcova, “Mnogaja leta: Michailu Gorbačëvu – 70” [7], a cura di V. Tolstych, Мosca, 2001, pag. 453; Gavriil Popov [8], “Snova v oppozicii” [9], Мosca, 1994, pag. 81.

Stephen Cohen
speciale per la “Novaja gazeta”

16.12.2009, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2009/140/21.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] “Giornale Indipendente”, quotidiano russo all'epoca almeno critico verso il Cremlino.

[2] Gosudarstvennaja Komissija po Črezvyčajnomu Položeniju (Commissione Statale per la Situazione di Emergenza), nome ufficiale del gruppo che tentò un colpo di Stato contro Gorbačëv nell'agosto 1991.

[3] “Giornale Russo”, organo ufficiale del governo russo.

[4] “Tempi di Mosca”, giornale pubblicato a Mosca in lingua inglese.

[5] Rossijskaja Sovetskaja Federativnaja Socialističeskaja Respublika (Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa).

[6] “Nuove Notizie”, giornale inizialmente critico verso Putin, divenuto in seguito più morbido.

[7] “Lunga vita. Michail Gorbačëv ha 70 anni”.

[8] Gavriil Charitonovič Popov, uomo della perestrojka, sindaco di Mosca negli anni 1991-1992.

[9] “Di nuovo all'opposizione”.

[10] “Confusione”, “Torbidi”.

[11] Letteralmente “fioritura”.

[12] “Destini sovietici e alternative perdute: dallo stalinismo alla Nuova Guerra Fredda”



http://matteobloggato.blogspot.com/2009/12/un-paradosso-storico-la-fine-dellunione.html

14 dicembre 2009

A proposito della guerra in Cecenia (III)

Non c'è giustificazione



15 anni fa iniziava la guerra in Cecenia


Le autorità chiamarono ufficialmente questa carneficina “introduzione dell'ordine costituzionale”.

Nel novembre 1994 il potere federale cercò di provocare una guerra civile in Cecenia – alla cosiddetta opposizione dettero i carri armati russi insieme a militari russi, che furono arruolati segretamente in divisioni d'elite della guardia. Secondo la pensata della leadership russa, i carri armati avrebbero dovuto comparire nel centro di Groznyj e gli uomini di Dudaev avrebbero dovuto impaurirsi e disperdersi.

Ma non si impaurirono.

E poi cominciò il massacro… Il blitz di Capodanno, la frase vigliacca sul fatto che per la vittoria mancasse solo un reggimento delle VDV [1], i pivelli inesperti, che furono gettati in battaglia direttamente da dove marciavano, il terribile fuoco sulla città, da cui i civili non fecero in tempo a fuggire… In questo massacro morirono decine di migliaia di soldati russi e alcune decine di migliaia di abitanti della Cecenia. Finora non ci sono dati precisi sulle perdite.

Gli ufficiali si rapportarono a questa guerra in modo diverso. Alcuni dicevano: noi non combatteremo contro il popolo. Altri andarono, perché avevano prestato giuramento. Con i soldati era più semplice. Sono noti casi in cui furono rinchiusi negli arsenali perché qualcuno non fuggisse e al mattino furono mandati in aereo a Groznyj.

Ci furono, certamente, anche dei volontari, tanto fra gli ufficiali, quanto fra i soldati. Alcuni spararono e uccisero persone con piacere.

…Anch'io portavo le mostrine. Il giuramento mi ha portato là, dove dovevano essere molti soldati della mia generazione: in Afhanistan e in Cecenia. Là ho visto diverse cose. Ho visto moltissimo dolore umano. E fino alla fine dei miei giorni io, non credenre, pregherò per quelle persone che in Cecenia mi hanno incaricato di occuparmi della liberazione di prigionieri e ostaggi. Prima di tutto – per il generale di corpo d'armata Vjačeslav Tichomirov e il colonnello Vitalij Benčarskij. Questo lavoro in qualche modo giustifica la mia presenza là.

Ma questa guerra non ha giustificazione.

Maggiore
Vja
česlav Izmajlov


Dalla redazione

Con il maggiore Vjačeslav Izmajlov abbiamo fatto conoscenza proprio in quei giorni. Allora questi, collaboratore del distretto militare della periferia di Mosca, si rifiutò di inviare i soldati di leva in Cecenia e lo raccontò alla “Novaja gazeta”. Andò in Cecenia da solo e dopo il suo congedo dall'esercito divenne nostro osservatore.

14.12.2009, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2009/139/02.html, (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Vozdušno-Desantnye Vojska (Truppe Scelte Aviotrasportate).



http://matteobloggato.blogspot.com/2009/12/la-guerra-di-cecenia-vista-dallinterno.html

08 dicembre 2009

A proposito di onori postumi

Makšarip Aušev insignito post mortem della medaglia del plenipotenziario per i diritti umani “Sbrigatevi a fare il bene”.


Ingushetia.org, 07.12.2009 19:48




Il leader dell'opposizione inguscia Makšarip Aušev è stato insignito post mortem della medaglia del plenipotenziario per I diritti umani “Sbrigatevi a fare il bene”. La cerimonia di premiazione avrà luogo martedì a Mosca nella Casa degli emigranti russi “Aleksandr Solženicyn”.

Di questa medaglia sono stati insigniti anche: la nota attivista per i diritti umani Natal'ja Èstemirova, uno dei fondatori della teoria dello stato e del diritto della Federazione Russa Sergej Alekseev, personaggio pubblico in vista, la nipote di Kornej Čukovskij [1] Elena Čukovskaja e una di quelle persone che nel corso di molti anni hanno aiutato Aleksandr Solženicyn nella stesura dei suoi libri e dei suoi articoli – Nadežda Levitskaja.

Makšarip Aušev è stato ucciso il 25 ottobre nella Kabardino-Balkaria [2]. I criminali hanno sparato alla macchina che guidava. Aušev è morto per le ferite riportate. La principale testimone dell'omicidio di Aušev, che si trovava in macchina con lui al momento della sparatoria, è morta in ospedale domenica per le ferite allora riportate.



La giornalista russa, collaboratrice della rappresentanza del centro per i diritti umani di Memorial a Groznyj Èstemirova fu rapita da ignoti in Cecenia questa estate. Più tardi il suo corpo con ferite da proiettili fu ritrovato nella vicina Inguscezia.

Entrambi i clamorosi casi non sono finora stati risolti.


(Traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Kornej Ivanovič Čukovskij (vero nome Nikolaj Vasil'evič Kornejčukov), favolista russo.

[2] Repubblica caucasica confinante con l'Inguscezia.



http://matteobloggato.blogspot.com/2009/12/sbrigatevi-fare-il-bene-prima-che-vi.html

A propostito di Putin (XIII)

La linea è venuta storta [1]



Prima della conversazione con Putin il leader di Pikalëvo Svetlana Antropova è stata rinchiusa in una sede del servizio di sicurezza


A Pikalëvo (regione di Leningrado [2]) durante la “linea diretta” con il primo ministro russo Vladimir Putin hanno affidato alla leader del sindacato di fabbrica locale Svetlana Antropova il compito di rivolgersi a lui.

Questo, come affermano generalmente gli abitanti di Pikalëvo, era stato pianificato e concordato ben prima della diretta. Tuttavia la mattina del 3 dicembre il corrispondente della VGTRK [3] Evgenij Rožkov e i rappresentanti dell'amministrazione della fabbrica di ossido di alluminio di Pikalëvo (ZAO [4] “BazèlCement-Pikalëvo[5]) hanno invitato Antropova alla mensa dell'impresa, dove le hanno comunicato che “la situazione era cambiata”.

– Mi hanno fatto capire, – ha raccontato alla “Novaja gazeta” Svetlana Antropova, – che ai giornalisti della VGTRK era giunto ordine da Mosca di escludermi dalla lista degli intervenuti e perfino dalla lista dei presenti sul luogo delle riprese. Esecutori di questa disposizione sono stati gli agenti del servizio di sicurezza della fabbrica, che si sono sentiti apertamente a disagio nei miei confronti. Ma dovevano eseguire l'ordine.

Poco tempo prima della diretta da Pikalëvo Svetlana Antropova è stata rinchiusa in uno dei vani del servizio di sicurezza.

– Un'ora prima, verso le undici, – continua la leader sindacale, – quegli operai, che precedentemente erano stati presi e liberati dal lavoro, sono stati portati a corsi di aggiornamento.

Come ha confermato Antropova, le domande degli abitanti di Pikalëvo a Putin erano state valutate e concordate in precedenza con la dirigenza del canale televisivo e con I funzionari della capitale. Ma, ciononostante, entrambe le domande dalla regione di Leningrado che sono risuonate in diretta il 3 dicembre sono risultate non concordate.

– La gente ha fatto domande autonomamente, o – sottolinea Antropova. – Ma in tutto le è riuscito fare solo due domande, anche se si suppone che ce ne fossero molte di più.

Gli abitanti di Pikalëvo, a sentir loro, sono rimasti insoddisfatti delle risposte del primo ministro. Vladimir Putin ha dichiarato che “il governo segue attentamente la situazione”, “in città va avanti il lavoro per creare una rete stradale, si sta costruendo una piscina”. Fra l'altro la riparazione dell'unica strada per Pikalëvo è terminata solo nell'estate (l'hanno trascinata in attesa della seconda visita di ospiti importanti) e la piscina è stata costruita 30 anni fa.

Nina Petljanova
San Pietroburgo

07.12.2009, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2009/136/08.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Difficile rendere il gioco di parole. Più che di “linea” si parla di “etere”. L'aggettivo prjamoj, che definisce il programma di Putin, oltre che “diritto, diretto”, significa “franco, aperto” e il suo opposto krivoj significa non solo “curvo, storto”, ma anche “iniquo, mendace”.

[2] La regione di San Pietroburgo è ancora definita ufficialmente “regione di San Pietroburgo”.

[3] Vserossijskaja Gosudarstvennaja Televizionnaja i Radioveščatel'naja Kompanija (Compagnia Televisiva e Radiofonica Statale Russa), in pratica la Radiotelevisione di Stato.

[4] Zakrytoe Akcionernoe Obščestvo (Società per Azioni a Numero Chiuso).

[5] “Elemento di base-Cemento-Pikalëvo”.


http://matteobloggato.blogspot.com/2009/12/unaltra-storia-di-ordinaria-menzogna.html