28 maggio 2010

A proposito di Russia e Caucaso

L'anomalia russo-caucasica



Nella “Siberia calda” la società civile c'è. E credete, non sembra male


Il Caucaso è sempre stato una regione difficile della Russia. Qui in un piccolo spazio si sono mischiati religioni, popoli e territori etnici. Qui la protesta sociale passa facilmente a una contrapposizione interetnica e la questione della terra è sempre legata a quella nazionale. Qui l'incessante ribollimento etnico ha un sapore politico. Infine, qui la religione è più che fede in Dio. Qui ci sono delle mine che il centro federale non può disinnescare. Mine che esploderanno quando sarà necessario. Per strano che sembri, non cambierà il Caucaso con le pance piene, ma con le idee che la Russia potrà proporgli. Questa non era ancora mai stata inetta e impotente nella politica caucasica come oggi.

La Casa del Caucaso brucia. Versare sul fuoco l'olio patetico di amicizia fraternità e amore è un fariseismo. In tutto il corso della storia I caucasici hanno dimostrato la loro dedizione alla Russia. Ed è un problema di questa che oggi la Rus' trojka-uccello [1] abbia inciampato nella catena montuosa del Caucaso. Non già perché corra velocemente per gli spazi russi dei Čičikov. Non sa neanche dove la portino i suoi cavalli.

In qualche modo di per se il mio monologo è venuto fuori del genere “dal nostro tavolo al Suo trono” [2]. E la secchezza dei giudizi viene dal fatto che ho preso troppo alla lettera l'orientamento del presidente Medvedev: “il potere non ha bisogno delle leccate degli esperti”.

La Russia combatte con la Russia

Nei giorni in cui la Russia con pathos e grandiosità festeggiava il 65° anniversario della Grande Vittoria, senza essere notati da un grande paese persone vicine e parenti compivano i
sorokoviny [3] delle vittime dell'atto terroristico compiuto nel metrò di Mosca il 29 marzo. E al momento previsto le anime delle persone innocenti uccise hanno acquisito l'eterno rifugio nelle altezze celesti, dove, forse, si sono incontrate con le anime delle due sfortunate giovani che li hanno fatti saltare in aria. Sfortunate, perché per volere di qualcuno sono divenute armi viventi per uccidere Entrambe avevano finito la stessa scuola russa delle loro vittime. Una delle šachidki [4] aveva due lauree e insegnava informatica ai bambini. Come sono capitate su di loro le “cinture da shahid? E in questo c'è la terribile anomalia della storia più recente del Caucaso, sulle fonti della quale ci interroghiamo da tempo e quasi sappiamo la risposta. E' difficile che questa sia interessante per Mosca, ma per i popoli del Caucaso ne va del loro destino. Il nostro futuro è risucchiato nel suo mortale imbuto dal “turbine della forza segreta”. Questa precisa metafora appartiene alla poetessa daghestana Mijasat Muslimov. Se non fosse per questo turbine, allora forse “fanciulle con cuori immaturi non arriverebbero a cingersi di cinture di morte e i bambini, avvicinandosi con guanciotte talvolta paffute al freddo di un'arma, non dimenticherebbero mai la mano della madre che li porta a casa…” Quando i poeti cominciano a interpretare i tempi, vuol dire che la “crepa del mondo” è passata attraverso i loro cuori. Il Caucaso ha già cominciato a parlare con le loro voci: “qui con la tortura del sequestro e della prigione la saldezza dei monti e del fiume hanno avvelenato, ottengono le madri con preghiere i propri figli e lavando le ferite dei figli ingannati con la nostalgia del Corano, come il dolore della terra stanno davanti a me”.

Con il terrorismo bisogna lottare. Lottare spietatamente. Ma la situazione nella regione si crea secondo la nota tradizione “quando si taglia il bosco, volano le schegge”. Rinasce il principio terribile per le sue conseguenze “il figlio risponde per il padre”. Spesso dopo l'ennesima uccisione di un militante, vengono sottoposti a persecuzioni i membri della sua famiglia, i parenti prossimi e lontani. Il marchio di fiancheggiatore di un terrorista si incolla facilmente alle persone che non hanno alcun rapporto con lui. In tal modo il terrorismo si riproduce, perché la gente viene semplicemente spinta in un vicolo cieco. Non di rado mettono mano a questo i mezzi di informazione di massa. Un esempio di estremismo mediatico è la pubblicazione nella “Komsomol'skaja pravda” [5] (9 aprile 2010) delle immagini di 22 donne daghestane in hijab, mentre nella prima colonna c'era il titolo “1000 vedove e sorelle di militanti daghestani sono divenute fiancheggiatrici di terroristi”. In primo luogo, gran parte delle informazioni è falsificata. In secondo luogo, la “colpa” di queste donne è solo nel fatto che per volere del destino siano divenute sorelle e mogli di militanti. In terzo luogo, aveva diritto un giornale con una tiratura di 35 milioni di copie di dichiararle fuorilegge prima che lo facesse un tribunale? Il risultato della provocazione giornalistica è stato la persecuzione di queste donne. Molte di queste hanno bambini, tra cui figli maschi. Quale scelta faranno in futuro non è difficile da indovinare. Il capo della commissione inquirente Bastyrkin ha proposto di creare sul territorio della Russia un ghetto separato. Altrimenti come spiegare il suo appello per una dattiloscopia individuale coatta degli abitanti del Caucaso del Nord e anche la reimmatricolazione di tutti i mezzi di trasporto? Quali altre folli iniziative nasceranno in caso di nuovi atti terroristici nella capitale?

Non tutto è chiaro fino in fondo nella tragedia di Mosca, ma una cosa è evidente – nel Caucaso del Nord gorgoglia un brodo sanguinoso di destini umani. Quante vittime ancora richiederà? Su questo sfondo è così penoso e cinico il flusso di esteriorità verbali che nasconde la vera essenza delle cose e l'acuta comprensione dell'insensatezza delle vite perdute, inghiottite dal Moloch di una grande politica inetta.

Sono passati due mesi dalla tragedia di Mosca. Sono risuonate paure vere e ostentate. Ed è divenuto chiaro – il brutto deve ancora venire. Anche se tutti i servizi segreti russi facessero miracoli di professionalità, tutto ciò che accade nel Caucaso accadrà, gli atti terroristici continueranno. Dopo Mosca ci sono già state esplosioni a Kizljar [6], Karabulak [7], Nal'čik [8]… Ma queste non hanno risuonato neanche nella regione. E' quando esplodono a Mosca che fanno rumore. Ma un atto terroristico sulle montagne è un reportage nel notiziario e qualche monologo politico. Fanno passare le stesse facce, pronunciano gli stessi discorsi, fanno risuonare i soliti miti. E di nuovo il Caucaso resterà solo con le proprie disgrazie e le proprie domande, per cui non c'è risposta a Mosca. E questo, magari, è la cosa più importante che gli atti terroristici nel centro della capitale hanno messo a nudo.

Rafforzare, consolidare, riformare… Non passeranno, non ci impauriranno… Tutta retorica della forza, difensivo-offensiva. Questa delinea nettamente il ritratto del nemico e il suo territorio di dislocazione. Il luogo da cui viene la tempesta si è fissato saldamente nella coscienza dei russi. Dopo un atto terroristico alle porte dell'ingresso di casa mia comparve un cartello, ben scritto e incollato a morte: “Ricorda! Ogni caucasico è un potenziale terrorista, che in ogni momento può far esplodere una bomba e tu non potrai più rivedere le persone a te vicine”. Parole significative sottolineate in rosso. Il nostro quartiere non è un dormitorio. Davanti al condominio brillano i fuochi della Gazprom – un colosso della grande politica. E alla periferia di Mosca hanno già dato fuoco agli ostelli con i “neri” [9]. Quante misure di pulizia sanitaria del genere ci attendono? Ma terribili non sono gli skinheads a Mosca o i “fratelli del bosco” nel Caucaso. Quelli che li hanno generati richiameranno le loro reclute al momento necessario. E' terribile lo sfacelo nei cervelli della società, soprattutto nei cervelli dei gruppi sociali delle montagne, per cui la Russia ha smesso di essere la Patria. Tra questa e il Caucaso matura una divisione di civiltà. Nella cultura russa ci sono sempre meno agenti che influiscono nella regione e la fuga dei russi dalle repubbliche accelera soltanto questo processo. All'inizio del terzo millennio torniamo al punto di partenza della nostra storia comune – all'inizio della guerra caucasica. Allora, nel XIX secolo, nel Caucaso del Nord si scontrarono due progetti di civiltà o due modelli di riforma della vita sulle montagne – l'Islam e la cultura russa. La vittoria di quest'ultima fu garantita dai capitani Tušin [10], dai cosacchi, vicini per spirito ai montanari e dai pazienti soldati russi. Se allora nella regione si fossero mossi gli attuali “patrioti” difficilmente la Russia avrebbe vinto. C'è la garanzia che in condizioni di crisi la protesta sociale nella regione non prenderà una forma analoga? E' sempre più evidente che l'idea musulmana diventi un'alternativa al progetto russo.

Ma c'è questo progetto? La circoncisione fatta al Caucaso del Nord conferma soltanto lo smarrimento di Mosca. Attraverso gli adesso separati complessi cosacchi l'impero ha integrato i montanari nell'entità statale russa. La storia di Stavropol', Rostov e Krasnodar [11] ne è testimonianza. L'Adighezia si prepara all'unione con il territorio di Krasnodar, poiché malgrado la geografia l'hanno separata dal Caucaso del Nord. Finora il Caucaso del Nord era considerato una striscia di terra tra il Mar Caspio e il Mar Nero. Adesso l'hanno tagliata fino a Stavropol'. Ecco tutto il progetto.

Ma in un modo o in un altro organizzare la Casa del Caucaso senza i suoi padroni non è possibile. I loro veri volti dovrà alla fine vederli il paese. I veri volti del Caucaso sono la stessa società civile che il presidente russo invoca. Credete, c'è e non sembra male. Inoltre pensa. E se le squadre dei canali federali riceveranno il compito adeguato, la Russia vedrà un enorme massa di persone di “nazionalità caucasica”, che hanno qualcosa da rappresentare per un grande paese e non senza utilità per esso.

Al recente convegno a Istra [12] con i membri dei consigli del presidente per la cultura, la scienza, l'arte e l'istruzione il capo dello stato ha consigliato di usare più spesso in qualità di eroi proprio i rappresentanti di quelle sfere, come “portatori di ideali e valori…” Lo ha consigliato troppo delicatamente, mostrando indulgenza per il cinematografo nazionale “E' un mondo a parte, che, essenzialmente, non è regolato dallo stato. E non è necessario che lo stato scenda in questa sfera, ma, non di meno, lo stato deve indicare alcuni vettori di sviluppo”. Ma se lo stato, che da a questo cinematografo miliardi [13], non intende “scendere in questa sfera”, come fare con l'annunciata strategia di modernizzazione del paese, dove come punto particolare si indica la “creazione di un'unica nazione russa”, dove, spero, entrino fra gli altri anche le etnie del Caucaso del Nord. Solo con tutta la potenza della macchina ideologica statale si può distruggere quell'immagine del Caucaso dannosa per la stessa Russia formatasi per decenni con l'aiuto di quella stessa macchina statale. Perché la cosiddetta televisione commerciale e la maggior parte dei mezzi di comunicazione di massa stampati hanno diverse forme di proprietà statale. Inoltre il reset di tutti i mezzi di informazione di massa per quanto riguarda l'immagine del paese è un compito strategico. L'Occidente l'ha capito da tempo. Tutta la storia della formazione della ВВС è una testimonianza della riunione del popolo inglese in un'unica comunità di mezzi di informazione di massa. Protagonisti della politica della corona inglese nell'etere radiofonico (poi in quello televisivo) sono divenuti il minatore del Galles e la casalinga della contea del Kent. E per quanti hanno si è data da fare Hollywood perché oggi l'afroamericano Obama divenisse presidente degli USA?

E' tempo di determinare chi debba svolgere la missione di rappresentanza della nazione nello spazio pubblico. Per i russi ciò è importante perché proprio questi sono il nucleo che forma lo stato. Questo jadro [14] che ci mostrano oggi (in particolare in TV) è una qualche jadrëna mat' [15]. E' un pieno screditamento dell'idea russa, un'umiliazione del popolo russo, secondo una mentalità da predestinato. E' il creatore del “melting pot”, che c'è già con successo da molti secoli. Così chi e perché ha dato al viso russo un'espressione così penosa e a quello caucasico una così feroce?

Già da un paio di decine d'anni del dopo perestrojka le idee sul patriottismo nel cinematografo (e non solo) vengono elaborate sul tema caucasico. Da molto tempo abbiamo sostituito l'immagine dei fascisti tedeschi e degli “spiriti” [16] afghani. Non di una nicchia esotica ha bisogno oggi il Caucaso nello spazio informativo: burqa, cavalli, pugnali e montanari del genere “anche noi siamo persone, anche noi amiamo” [17]… Abbiamo bisogno di una presenza rispondente a tutti i requisiti nello spazio politico e culturale dell'intera Russia. La nostra visione dei problemi dall'interno è più profonda e più precisa. Con l'altezzosità da grande potenza o con la sfiducia politica si può spiegare che il Caucaso del Nord nella Camera Sociale [18] sia rappresentato da Maksim Ševčenko [19]? Cos'è, la dimostrazione del nostro mancato sviluppo culturale o della nostra inaffidabilità civile? In sette repubbliche non si è trovato un degno candidato per questo ruolo! Ed effettivamente, a guardare i mezzi di informazione di massa, la missione rappresentativa della nostra regione è svolta dai militanti e dalla polizia, tra questa dai funzionari corrotti. A dire il vero, le loro dimensioni, a differenza di quelle dei colleghi federali sono briciole della torta del denaro pubblico. Non c'è una corruzione caucasica oltre i limiti – ce n'è una dell'intera Russia di dimensioni gigantesche. I montanari in questo senso non hanno alcuna esclusiva. Ma la nostra chiacchierata struttura a clan ha qualcosa di diverso da quella dell'intera Russia: tradotta in lingua sociologica indica il modo di strutturarsi della società. Stirpi, tejpy [20], sostengono la solidarietà etnica. Le tradizioni determinano i rapporti con i bambini e con gli anziani, la gerarchia delle funzioni dell'uomo e della donna, il mutuo soccorso sociale. La famiglia da noi non ha perso il ruolo di istituto sociale. Questa come prima ha mantenuto le proprie funzioni di trasmissione dell'esperienza spirituale. Con tutte le deformazioni della cultura nazionale, è ancora grande il ruolo dei più anziani, non si è rotto il legame tra le generazioni. L'elite cittadina (industriale) non ha tagliato le proprie radici contadine, le case delle stirpi nei villaggi sono conservate accuratamente. Tutto ciò con un uso esperto può divenire una leva potente per guidare i gruppi sociali del Caucaso. Ma noi sentiamo sempre dagli etnografi della capitale: “queste non si inscrivono nella nostra cultura”. Peraltro i concetti penali e di diritto si danno come norme di civiltà. Non ci sono ladri con uno specifico etnico e gli assassini compiono le loro porcherie senza coloriti nazionali. Il truffatore e il teppista sono ugualmente disgustosi con qualsiasi taglio di occhi. Non il conflitto di culture, ma lo scontro di città e campagna crea il rifiuto del comportamento marginale (tra cui anche quello dei miei compagni di etnia caucasici) nel normale, comune russo. Ma difficilmente su questo si costruisce una zona di contatto. Prima è necessario determinare se esistano differenze di principio tra la cultura russa e quella del Caucaso del Nord (montanara), cosa è stato perduto e conservato da entrambe. Forse allora torneremo alla passata esperienza della nostra storia comune, quando il Caucaso “perciò attirava così forte molti russi, che li aiutò a trovare, capire se stessi, scoprire di nuovo il senso, l'essenza di principi come amicizia, onore, libertà”. Dove adesso ci sono intellettuali, come l'autore di questi versi Natan Èjdel'man, per cui la storia del Caucaso e la cultura del Caucaso sono parte della storia e della cultura russe. I suoi studi caucasici devono stare sul tavolo degli istruttori politici come manuale, come istruzioni per l'uso. Dispiace che il recente giubileo dello studioso non si divenuto un avvenimento culturale nella regione e nel centro del paese. Quanto mancano oggi guide così delicate in altri mondi culturali. Eppure un secolo fa le ricerche di risposte a eterne domande russe si facevano sul suolo del Caucaso. “Siberia calda” chiamavano il nostro territorio amante della libertà, qui la dissidenza russa in esilio ricevette l'ebbrezza dello spirito libero: i decabristi, gli insorti polacchi, i poeti e gli scrittori caduti in disgrazia. La loro potente iniezione intellettuale ravvivò il pensiero sociale del Caucaso. Da molto tempo non ci sono più Puškin, Lermontov, Tolstoj. Non sono con noi persone come Èjdel'man. Non ci sono personalità. Volti! Solo brutti musi e fisionomie. E continue scene di massa politiche. Lo spazio pubblico è riempito di bugie. La gente ha perso il senso di qualcosa di vero, di grande. Per il caldo sangue caucasico la stagnazione e il vuoto sono esplosivi. C'è bisogno di un'idea da servire! In nome di cosa! E allora il management efficace diverrà effettivamente efficace.

Il Caucaso per l'impero russo non fu mai una colonia nel vero senso della parola. Fu piuttosto integrato nel sistema statale dell'intera Russia. Come notò Lenin, la Russia inizialmente conquistò il Caucaso e poi intervenne nell'economia. Peraltro la cultura russa fu usata come potente meccanismo di assimilazione della regione.

La Russia democratica ha ereditato nella politica del Caucaso il peggio della pratica imperiale. Il potere zarista cercò sempre una lingua comune con i capi, relazionandosi con gli strati bassi delle montagne come con il proprio popolo – senza rispetto. E verso la nobiltà vicina mostrò sfiducia e altezzosità. Non gli permisero di accedere al più alto livello, ma dopo averli usati, spesso li tradirono. Un simile atteggiamento verso l'elite politica locale rimandò la caduta dell'imamato di Šamil' [21]: i suoi compagni che erano passati ai russi tornarono sotto le insegne verdi dell'Islam, offesi dal disprezzo zarista. Un'informazione utile per la riflessione. Oggi la Russia nel Caucaso del Nord ha sempre meno guide della propria politica, fra l'altro nell'elite al governo. Qui si sono piuttosto riuniti dei giocatori che hanno accettato le regole poste dal centro federale. Il presidente non ha un legame diretto con il popolo. Questi deve obbligatoriamente sapere di cosa vive il piccolo uomo su cui questo fragile mondo caucasico si regge ancora. E infine in questo dialogo potere-società, se qualche volta ha luogo, deve prender parte l'aristocrazia dello Spirito, che nello spazio del Caucaso ha sempre tenuto un posto particolare. La comparsa in Russia di un partito democratico, vero, e non decorativo, è attesa più di tutto nel Caucaso del Nord. La civiltà montanara stretta in una morsa dalla verticale [22] perde l'organicità dello sviluppo, la naturale (tradizionale!) esigenza di democrazia. Non trovando canali nel campo legale, cerca possibili vie d'uscita. Nello spazio pubblico risuonano già domande scomode per Mosca e finora non sono seguite risposte ad esse. Tutte queste sono sul destino della patria – “chi ha calpestato le sue trecce nella sabbia e con una stria di sangue scrive il libro nero della follia e della morte dei suoi figli?” [23] A dare il cambio a Kajsyn Kuliev e Rasul Gamzatov vengono altri poeti. Un tempo doloroso li ha scelti dalla corrente, perché l'epos della storia più recente del Caucaso acquisisse i suoi cantori. La Parola Epica ha già cominciato a risuonare. Questa è più potente di qualsiasi assalto politologico:

Io sento il rombo delle fratture della terra e il rumore delle pietre risvegliate,
Il gracchiare gutturale di Babilonia e il mormorio delle radici strappate.
La sorda furia dei mucchi di pietre e il silenzio delle vecchie lastre.
Fuma la cenere delle resurrezioni nella dormiente eternità prigioniera.
Gioca il ragazzo con la verticale e respira il tempo nell'ombelico,
Tornerà la parola come un boomerang e porrà una cicatrice alla tempia.
E il sangue delle ferite rapprese se ne andrà dalla terra nel fondo dei mari,
Per gettare il fardello della penosa gloria degli uomini della steppa che giocano a far gli zar!

Questi versi meritano di essere citati in forma completa. Sono stati scritti poco tempo fa. Il loro autore è una donna, in essi c'è il vero Caucaso. Né “altro”, né “pacifico”, né “russo”, come si usa oggi marcare il nostro territorio, ma vero – interrogante, addolorato, creativo. Con questo Caucaso bisogna imparare a condurre un dialogo. La storia della dissidenza russa ne è conferma, è cominciata dalle riunioni nelle cucine, poi la Parola si è spostata sulle pagine di riviste tipo il “Metropol'” [24]… Cos'è successo in seguito al “sabotaggio ideologico” condotto lo ricordiamo. Tutta la letteratura è l'illustrazione dell'incarnazione di un'idea nella pratica. Il Bazarov di Turgenev rifiutava tutto ciò che era vecchio, il suo nichilismo generò Rachmetov, che Černyševskij pose a dormire sui chiodi, preparandolo alla rivoluzione, il Pavel Valsov di Gor'kij capeggiò tutta la folla distruttiva. I Bazarov e i Rachmetov del Caucaso del Nord già agiscono ognuno nel suo campo. E i Pavel Vlasov maturano ancora. Quali slogan saranno scritti sulle loro insegne, lo sapremo molto presto. E, forse, in una singola repubblica. Il Daghestan è nelle prime file del gruppo a rischio. La repubblica ha frontiere aperte sugli stati sovrani transcaucasici, precedenti storici di creazione di entità statali (l'imamato, la Repubblica Montanara del 1918), un'elite al governo che conosce le regole della trattativa politica con il centro. E la trattativa può essere del tutto adeguata, tanto più che la crescita delle proteste sociali è pronosticata in Siberia, nell'Estremo Oriente, a Kaliningrad… Può succedere che per il Caucaso del Nord sarà: “uno spettro si aggira per la Russia, lo spettro di Pikalëvo [25]…” E qui il Kirgizistan ha ricordato come si infiammi facilmente il “gallo rosso” dell'ira popolare. E' stata messa in conto la reazione della regione al calo critico di tutte le funzioni vitali dello stato russo? Evidentemente no! Altrimenti la strategia nel Caucaso non sarebbe così grossolana. Il Suslov [26] della direzione collegiale si è rivelato impotente nei confronti delle dimensioni del Caucaso. Questi è tanto lontano dall'uso pragmatico della multiformità del Caucaso, dove ci sono, tanti popoli, tanti caratteri nazionali, quanti modelli per amministrarli. Agitare la frusta qui non è sicuro, ma bisogna tenerla pronta. Per il bene di tutti. La politica della frusta e del pan pepato [27] è perversa e inefficace. Allora che fare? Per quanto sembri strano, qui sono applicabili gli usuali istituti democratici perduti dalla Russia: un dialogo civile, politici carismatici ad alto indice di fiducia, una sana concorrenza nel mondo degli affari, un movimento competitivo (e non basato su accordi) nella verticale del potere. Questi sono anche i normali meccanismi di funzionamento della “maggioranza ragionevole”, a cogliere l'esistenza della quale gli esperti della capitale difficilmente matureranno. Nella zona a cui fanno attenzione c'è sempre una “minoranza aggressiva” che spara e fa esplodere. Di qui la triste miseria delle azioni di tecnologia politica con cui si supplisce a un progetto ideologica così indispensabile alla regione. C'è bisogno di una potente idea russa unificante. La costruzione di un futuro comune deve avere un piano di azione comune. Il Caucaso vibra di patriottismo, la cui energia è nei giovani e nei vecchi. Come farla convivere con l'attuale stato dello Spirito russo? “In Russia la nazione è andata in vacanza, ora dorme. Dio ha detto che non c'è. Grandi scopi non sono ancora stati generati anche se, a mio parere, i precedenti sono esauriti”. (A. Azuan, "Novaja gazeta", 9.12.2009)

Noi finiamo di vivere, di portare, di mangiare i resti dell'internazionalismo Del tempo per raccogliere tutti per organizzare la Russia non importa alla mia generazione. L'attuale – i nostri figli e nipoti – si trova in una situazione al limite, dove il passato sovietico è entrato in conflitto con la storia più recente. Che fare non è chiaro. Ma non si può precisamente formare la loro pro-russità con i Seliger [28] né con “incubatori” creati dall'elite. L'ideologia dei giovani già matura. In essa c'è un'estraniazione dalla Russia come centro di civiltà e dalle proprie autorità nella regione. E questo è più terribile degli atti terroristici. La nuova generazione, che ha ricevuto l'istruzione nelle migliori università europee e russe, è armata non di lanciagranate, ma di una strategia di innovazione – informazione, conoscenze fondamentali e posizione politica. Questi professano l'Islam dell'ijitihad – la conoscenza di se e del posto della propria religione nel nuovo mondo globale. E questo aiuta di più del tritolo e del wahhabismo [29] marginale. La voce del sangue, tanto forte nella mentalità del Caucaso del Nord, li richiamerà immancabilmente qualche volta in patria. Torneranno nelle repubbliche con una nuova comprensione del significato del Caucaso nella geopolitica mondiale, del suo essere richiesto dall'Occidente e dall'Oriente. Dove volgeranno le loro passioni politiche? A questo bisogna pensare oggi e sbrigarsi a trovare una lingua comune con loro.

Unisci e impera!

Questo è l'unico principio produttivo della strategia del Caucaso. Questo deve avere immediatamente un'incarnazione pratica, sia pure per motivi di sano pragmatismo, se il potere federale conta sul Caucaso del Nord come avamposto meridionale dello stato.

La regione è elettrizzata dai contrasti – interetnici, religiosi, sociali. Essenzialmente, nelle repubbliche è già cominciata la contrapposizione sociale, la differenza è solo nel materiale combustibile. In tale situazione l'Islam può divenire l'unica idea unificante per tutti. Un'altra guerra caucasica, tanto più su base religiosa, la Russia non la reggerà. Nessuna operazione dell'esercito o pattuglia di frontiera fermerà la reazione di disintegrazione in questo etno-reattore. Tutte le possibili concezioni sulla primogenitura, sull'originarietà di un territorio, sul diritto alla soddisfazione etnica la accelerano soltanto. Alla base della maggior parte delle recriminazioni interetniche c'è la brama di giustizia storica – il ritorno al “territorio originario”. E' possibile soddisfarla in una regione ritagliata decine di volte dai tempi dell'inizio della colonizzazione del territorio da parte dell'Impero Russo, poi dall'amministrazione sovietica e della deportazione dei popoli. I nodi etno-politici formatisi con l'arrivo della Russia nel Caucaso non solo non sono sciolti, ma sono stretti ancora più saldamente. Minimizzare l'acutezza della memoria storica è un dovere per Mosca. La stessa regione non ce la farà. Già non ce la fa. Anche se ha una tradizione di coesistenza pacifica. Nella storia pre-russa il Caucaso non ebbe recriminazioni territoriali, né di status etnico. Ci furono scorrerie, scontri armati, ma la diplomazia popolare elaborò potenti regolatori dell'ordine nella casa del Caucaso. Uno di questi fu il masliat [30] come istituto di riconciliazione. Nella società una persona dev'essere uguale a un'altra – tale principio era alla sua base. L'ingiusto è sempre aggressivo, perciò a far concessioni per primo va il giusto. Il forte deve cedere. Questa si chiamava democrazia popolare. Funzionerà oggi?

E' importante capire la cosa principale: il Caucaso è uno spazio integro, politico, economico e socio-culturale. Tutti i suoi popoli sono come vasi comunicanti. Questo Caucaso, evidentemente, spaventa la Russia contemporanea. E l'ha sempre spaventata. Perciò il principio “dividi e impera” è divenuto fondamentale in politica. Il noto indirizzo di Caterina II ai propri generali risaliva alla tradizione romana di divide et imperia: “Il disaccordo tra i montanari facilita la nostra impresa (la sottomissione). Per questa causa non vanno risparmiati soldi”. Lo storico russo del XIX secolo P.G. Butkov, valutata una simile strategia imperiale, notava: “Si è osservata la regola degli antichi romani di far litigare tra loro i diversi popoli caucasici per l'utilità del territorio caucasico, perché questi, indebolendo le proprie forze ci lascino maggiormente in pace”. Ma in Russia adesso c'è la democrazia, sia pure sovrana. Inoltre questa regione ribelle determina la politica interna del paese, che da tempo vive secondo “leggi caucasiche”. La chiacchierata verticale, l'abolizione delle elezioni dei capi dei soggetti, le onnipotenti leggi restrittive, tra cui quella sui mezzi di informazione di massa – tutto questo horror russo si è originato sui monti del Caucaso. Ancora mai come oggi il Caucaso ha avuto tale influenza sull'atmosfera socio-politica del paese. Di conseguenza, è necessario non indebolire le forze dei “diversi popoli caucasici”, ma consolidarle, raccogliendoli in un'unica casa del Caucaso, “perché questi ci lascino maggiormente in pace”. Finora invece la Russia democratica si comporta come un impero, più precisamente come un “impero sovrano”. Pone nelle repubbliche i propri procuratori, scrive ricette per le malattie caucasiche e paga perfino le cure. E senza effetto. Così può utilizzare i rimedi popolari? L'altezzosità dei democratici nei confronti dei membri di altre etnie è l'ossimoro russo. L'impero ne aveva il diritto, curava e accarezzava la provincia, perché capiva chiaramente la destinazione delle proprie periferie – o avamposti o donatori in campo economico. Ma qui – né l'uno, né l'altro. E altro che vuoti guadagni il centro federale non propone. Ma un vuoto guadagni in caucasico è quando si parla molto e non si fa niente.

La Russia è un paese dove non si adempiono le direttive del Presidente. Se solo una volta si fosse portato in fondo uno dei progetti per il Caucaso, forse non ci sarebbero stati gli atti terroristici nel metrò di Mosca. Il potere nella regione è la Russia. Ma questo potere trasforma la Russia nel simbolo dell'illegalità. Il presidente perde il popolo, il Centro la gente, il partito l'elettorato.

Nel sito ufficiale del partito che governa il paese si è letto il discorso di un deputato alla Duma di Stato di “ER” [31], il politologo Sergej Markov: “E' passato un mese dagli atti terroristici nel metrò di Mosca. Ci sono molti cambiamenti La politica della Russia nel Caucaso è cambiata. Siamo passati a una nuova tappa. A quella giusta. L'idea principale è la lotta alla disoccupazione. Per questo è stato designato Chloponin [32]… La seconda idea è la lotta al vuoto ideologico. Ciò vuol dire sia il sostegno all'Islam tradizionale, sia il sostegno all'istruzione. Bisogna chiudere le case di tolleranza e ridurre la vendita di vodka. Trasmettendo i porno sui canali del Caucaso del Nord facciamo aumentare il numero di terroristi”.

Gli autori di simili capolavori nell'ambito caucasico sembrano lillipuziani nel paese di Gulliver. Capiscono I costruttori della politica del Caucaso che, come disse Faina Ranevskaja [33], “fanno uno sputo nell'eternità”. Nessuno di loro ha raggiunto il livello dei generali che hanno sottomesso il Caucaso e dei governatori che lo hanno amministrato. Toccherà davvero cominciare tutto daccapo?

Sulieta Kusova
direttrice del Centro per i problemi etno-confessionali nei mezzi di informazione di massa presso l'Unione dei giornalisti della Federazione Russa, co-presidente della “Kavkazskij Dom” [34]

21.05.2010, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2010/053/12.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Rus' è l'antico nome della Russia. Gogol' nelle “Anime morte” la rappresenta come una trojka (intesa come tiro a tre cavalli)-uccello lanciata come in volo alla guida del protagonista Čičikov.

[2] Gioco di parole tra stol, “tavola” e prestol, “trono”.

[3] Riti di commemorazione compiuti dagli ortodossi 40 (sorok) giorni dopo la morte di una persona, quando si compie il suo percorso ultraterreno.

[4] Russificazione e “femminilizzazione” dell'arabo shahid, “martire”, cioè kamikaze (il corsivo, qui e altrove, è mio).

[5] “La verità del Komsomol”, un tempo organo del Komsomol, l'organizzazione giovanile comunista, adesso giornale di livello tutt'altro che eccelso.

[6] Città del Daghestan settentrionale.

[7] Città dell'Inguscezia settentrionale.

[8] Capitale della repubblica autonoma di Kabardino-Balkaria.

[9] Cioè caucasici.

[10] Uno di quelli che in “Guerra e Pace” di Tolstoj incarnano semplicemente il popolo russo.

[11] Città della Russia meridionale.

[12] Città della regione di Mosca.

[13] Un miliardo di rubli sono oltre 25,6 milioni di euro.

[14] Nucleo (lo lascio in russo per salvare il gioco di parole).

[15] “Madre massiccia”, eufemismo per ëbanaja mat', “madre fottuta”.

[16] Così venivano chiamati certi guerriglieri.

[17] Dalla canzone “Madagaskar” di epoca sovietica.

[18] Corpo intermedio tra le istituzioni e la politica, di scarsa importanza reale.

[19] Maksim Leonardovič Ševčenko, giornalista russo non caucasico (il cognome è ucraino).

[20] Clan ceceni e ingusci.

[21] Imam ceceno che tenne a lungo in scacco i russi nel XIX secolo.

[22] La “verticale del potere”, la struttura politica creata da Putin, in cui i titolari del potere esecutivo (tranne il presidente della Federazione Russa) sono nominati dai loro superiori, mentre il popolo elegge assemblee legislative con pochi poteri.

[23] Versi della poetessa daghestana Marijan Šejchova.

[24] “Metropoli”, rivista letteraria clandestina uscita nel 1979.

[25] Città della regione di San Pietroburgo, i cui cementifici sono andati in crisi, causando licenziamenti, agitazioni e repressioni.

[26] Aleksandr Alekseevič Suslov, condottiero delle guerre russo-caucasiche del XIX secolo.

[27] Versione russa del bastone e della carota.

[28] Si intendono i raduni dei giovani putiniani presso il lago Seliger, nella Russia centro-settentrionale.

[29] In Russia wahhabismo sta per estremismo islamico in generale.

[30] Mediazione (nella lingua àvara del Daghestan).

[31] Edinaja Rossija (Russia Unita), il “partito del potere”.

[32] Aleksandr Gennadievič Chloponin, plenipotenziario del presidente nel distretto federale del Caucaso del Nord.

[33] Faina Georgievna (Grigor'evna) Ranevskaja (nome d'arte di Faina Girševna Fel'dman), celebre attrice sovietica.

[34] “Casa del Caucaso”, associazione socio-culturale.



http://matteobloggato.blogspot.com/2010/05/la-russia-e-il-caucaso.html

21 maggio 2010

A proposito di caste

Fino alla prossima Meždurečensk



Sulle rivolte di ceto e i privilegi di casta


E decise il padre di dividere l'eredità fra tre figli [1].

– Notevole, cavolo [2], – disse il quarto figlio.

Ho avuto poco tempo fa nel blog una conversazione a proposito del fatto se la società abbia diritto a vivere la vita solita, di tutti i giorni, mentre nel paese che la società popola c'è la guerra. E mi è giunto questo commento:

“Durante la guerra chi ci partecipa non deve cambiare nulla nella solita vita. Proprio per questo c'è la guerra, perché qualcuno stia bene. Il soldato combatte, l'addetto agli approvvigionamenti porta le munizioni, l'operaio forgia le armi, il coltivatore di grano fa crescere il grano e la maestra di paese, dopo aver corretto i quaderni, va al club, dove l'aspetta il fidanzato. Il soldato dev'essere uno scudo affidabile e non un animale del gregge liberale”.

In questo modo di pensare è notevole il fatto di essere costruito su una retorica di ceto. E negli ultimi tempi si è preso a farla in un'altra chiave rispetto a qualche anno fa. La domanda se sia normale l'esistenza di una società a strati nel XXI secolo, se in generale questa retorica sia normale, già non si pone. Quando Nikita Michalkov davanti alle telecamere parla della propria nobiltà, del fatto che per lui, come membro del Consiglio sociale presso il ministero della Difesa [3], andare in giro con una macchina con la sirena è naturale, la risposta è sottintesa. Tali enunciati sono divenuti parte della percezione della vita da parte della società e stanno alla base della sua visione del mondo così come il fatto che la terra è rotonda. Io sto in ufficio, tu a fare la guerra, Meždurečensk in miniera, i sommergibilisti nel “Kursk”, i contadini nel campo, I soldati nel sotterraneo sentono I morsi della fame [4] – tutto è in ordine, al toro ciò che è del toro, così dev'essere. Ma ciò che è di Giove è toccato a chi è toccato, scusa.

Il dovere militare ha spesso di essere un “obbligo d'onore” ed è divenuto un marchio di casta. Così come la professione di insegnante, medico, minatore. Caste inferiori.

La cosa più terribile è che ritengono così non solo le persone che sono nate in una grande città o a cui il lavoro d'ufficio ha dato qualche indulgenza, ma anche quelle che di questa indulgenza sono prive dalla nascita. La stratificazione è divenuta chiara alla gente. Ed è stata accolta da essa.

Ora tutta Internet ribolle di valutazioni dei fatti di Meždurečensk. La blogosfera è esplosa di messaggi del tipo “ecco, è cominciato, il potere in qualche modo ha portato il popolo alla rivolta”. Fare qualsiasi tipo di prognosi nella Russia contemporanea è cosa ingrata, ma mi sembra che non sia così. Non ci sarà nessuna rivolta.

A mio parere a Meždurečensk la gente protesta non per avere la possibilità di ricevere il diritto di accesso agli ascensori sociali, non per la possibilità di organizzare da soli la propria vita secondo le capacità e l'amore per il lavoro, non per la possibilità di passare di ceto in ceto o almeno per l'innalzamento del livello del proprio ceto e tanto meno per l'abolizione della struttura a caste in generale. Per ora non vuole libertà e dignità. Vuole garanzie economiche di pagamento.

Se ora si andasse in piazza a Meždurečensk e si dicesse: quelli che non vogliono più lavare i calzini al potere vadano a sinistra e quelli che vogliono pagare i debiti vadano a destra, sono certo che a destra andrà una maggioranza schiacciante.

Non voglio affatto dire che ciò sia un male. Ogni difesa dei propri diritti, e in particolare di quelli come il diritto a una vita dignitosa e a un dignitoso compenso del proprio lavoro è un bene. E' un altro passetto in direzione della società civile.

Ma questa non è una rivolta per la libertà, né per ottenere mutamenti politici nel paese. Questa è una rivolta per il diritto di non vivere al di sotto del livello [5] corrispondente alla propria casta.

Le rivolte di ceto hanno un'importante particolarità – hanno un meccanismo di spegnimento molto semplice. Sono i soldi. Da tutti i film visti finora si può trarre la conclusione che la gente non vuole prendere ventimila rubli [6], ma trentacinquemila [7]. Forse non è così, ma finora non sono state fatte risuonare altre richieste. Il problema cioè sono cinquecento dollari a persona.

Questi soldi nel paese ci sono.

Purtroppo finora il potere stesso spinge la situazione in modo che la rivolta di Meždurečensk cresca in qualcosa di più massiccio. Dire che i disordini sono stati organizzati da recidivi ubriachi vuol dire spegnere un falò con la benzina. Così come quella di mandare a giudizio gli istigatori. Ma in alto non siedono degli stupidi, come ci lusingherebbe pensare. E là sanno risolvere queste questioni. Come sono state risolte sia con il “Kursk”, sia con Pikalëvo [8]. Il potere conosce una formula importante – bisogna pronunciare la parola “soldi” va pronunciata finché non agisce. Poi trattare.

A mio parere la situazione a Meždurečensk si risolverà molto semplicemente, secondo uno schema già elaborato. In città verranno versati dei soldi. Come mostra la pratica, probabilmente saranno soldi non dei proprietari della miniera, ma pubblici.

Col che tutto si concluderà. Fino alla prossima Meždurečensk.

Arkadij Babčenko
corrispondente speciale della "Novaja gazeta"

19.05.2010, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2010/052/13.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Difficile tradurre. In russo meždu tremja svoimi synov'jami può significare “fra tre figli” e “fra tre dei figli”. L'episodio è all'inizio di molte fiabe russe.

[2] Il termine blin (frittella) è un eufemismo per bljad' (puttana – detto come imprecazione).

[3] Uno dei tanti inutili corpi intermedi tra società e istituzioni in Russia.

[4] Letteralmente “arrotolano l'intestino attorno al pugno”.

[5] Letteralmente “dell'asticella”.

[6] Circa 530 euro.

[7] Oltre 920 euro.

[8] Città nei pressi di San Pietroburgo, la crisi dei cui cementifici ha causato proteste e relative repressioni.



http://matteobloggato.blogspot.com/2010/05/proposito-delle-proteste-dopo-la.html

19 maggio 2010

A proposito dei Naši

Il remake del 9 Maggio [1]



Ieri l'altro nel centro di Mosca i našisty [2] hanno acquisito molti soldi pubblici. Adesso nulla impedisce di dichiarare il lutto per i minatori?


Il 15 maggio fin dal mattino il centro di Mosca è stato chiuso alle automobili, neanche ai pedoni era possibile passare ovunque… Pattuglie rafforzate di polizie in uniforme bianca da parata, la divisione Dzeržinskij [3] (truppe interne) concentrata nelle strade del centro – solo ai Čistye Prudy [4] c'erano due lunghe colonne di camion.

Sul viale Accademico Sacharov, dov'è stata costruita una tribuna gigantesca, si sono raccolte 65 mila persone – è in corso la parte finale dell'iniziativa del movimento Naši dedicata al Giorno della Vittoria. L'iniziativa stessa è cominciata a febbraio e una settimana prima del suo finale nel metrò si potevano vedere gli stickers pubblicitari della manifestazione. L'essenza è questa: ogni giorno in Russia muore una grande quantità di veterani della Grande Guerra Patriottica [5], delle gesta dei quali non sappiamo – così gli daremo un tributo di rispetto. Si proponeva di videoregistrare i racconti dei veterani, creando un videoarchivio virtuale. I più attivi erano invitati a Mosca alle sfilate di festa, che presupponevano incontri con i partecipanti alla guerra.

Iniziatori di tutto questo oltre ai Naši erano l'Agenzia Federale per la gioventù, capeggiata dal suo ex leader Vasilij Jakemenko e la MGGU [6] Šolochov. Lo scopo era l'opposizione ai tentativi di falsificazione della storia…

Lo stesso Jakemenko ha presenziato alla festa – senza la scorta ufficiale si è mosso tranquillamente tra la gioventù. Tuttavia, per una strana coincidenza di circostanze, accanto a lui sono stati notati ragazzi massicci con magliette con la scritta “Gladiators”.

Per informazione: i “Gladiators” sono uno dei più autorevoli raggruppamenti dei tifosi dello Spartak. Tra i suoi combattenti ci sono molte persone di idee di estrema destra. Hanno iniziato a collaborare con i movimenti giovanili pro-Cremlino verso il 2004. Proprio i “gladiatori” a suo tempo sono stati accusati di aggressioni ai nazional-bolscevichi [7] e agli attivisti di “Altra Russia” [8].

…Dalle Porte Rosse al viale Sacharov vagano senza scopo 65 mila studenti, più della metà di altre regioni. Non si vede un senso nei loro spostamenti: vanno qua e là con bandiere e striscioni, fanno fotografie, legando sempre più nastrini di san Giorgio [9] alle stringhe. Molti sono evidentemente brilli. Quasi tutti indossano magliette con disegnato sopra un giubbotto militare stilizzato con due medaglie sul petto sinistro. A tutti quelli che lo volevano davano un ciondolo – una pallottola calibro 7,62 appesa a un nastrino di san Giorgio.

…Una scena gigantesca con una buona attrezzatura. Appena un po' più lontano – il palco-VIP per gli organizzatori con ricercati antipasti, cognac e Martini. E sopra a tutto questo – volgari remix di canzoni di culto degli anni di guerra: “Katjuša”, per esempio, suonava nello stile della musica da discoteca di Lady Gaga. Distinguere le restanti melodie dietro i recitativi da rapper e gli infiniti “tum tum” era difficile…

Forse questo assortimento di Martini e pop dava un senso di disagio: i veterani sembravano del tutto estranei a questa “festa della vita”.

…Gli attivisti si sparpagliano per il viale Čistoprudnyj. Un ragazzo con la maglia già nota ci viene incontro. Chiediamo:

– Sei un našist?

– Sì. Ma a me la politica in generale non piace. Mi piace che organizzino viaggi. Io sono venuto da Piter [10]. In generale una roba: ci hanno portato per tutta la notte con gli autobus, quattordici ore.

…Marat, studente della facoltà di Medicina di Penza [11], ha raccontato: di loro sono giunti in tutto 22 autobus – sono circa 1200 persone. Sono partiti di notte, verso il mattino hanno fatto colazione per strada, di giorno mangiano a proprie spese, a sera gli danno cena. Per il viaggio a Mosca gli hanno dato 2 mila rubli [12].

In generale, come geografia, salute: da Piter – 44 autobus più persone che sono arrivate in treno. Da Novgorod [13] – circa 20 autobus. Čeboksary [14], Nižnij Novgorod [15]

E' difficile obiettare contro le feste, ma immaginatevi le dimensioni finanziarie… Per esempio, il biglietto dell'autobus per Nižnij Novgorod in media costa 500 rubli [16] solo andata, per Čeboksary 700 [17]. Difficilmente, tenendo conto del lavoro degli autisti nei giorni festivi, il noleggio degli autobus è costato meno che se avessero preso i comuni autobus di linea.

65 mila magliette colorate – beh, a prezzi medi è qualcosa intorno a 150 rubli [18] al pezzo. Moltiplichiamo – otteniamo 9 milioni 750 mila rubli [19]. E di nuovo il ciondolo: mettiamo che costi, beh, almeno 10 rubli [20]. Moltiplichiamo – 650 mila [21].

40 mila persone sono state portate con gli autobus: cibo per due volte – sia pure 200 rubli [22] – già 8 milioni [23]… Più la scena, le bandiere, gli striscioni, i remix… E più – sia pure non a ognuno, sia pure a un terzo – anche se non 2000, circa 1000 rubli [24] per la partecipazione. Moltiplichiamo – 20 milioni [25]. Più in breve, per chi gli interessa, considerate quanti soldi sono stati versati in un giorno di gioia studentesca, per cui, tra l'altro, forse, non hanno neanche dichiarato il lutto nel paese per i minatori morti a Meždurečensk [26].

Ma in generale perché questi conti? Forse è più giusto sedersi e calcolare di quanti soldi ha bisogno lo stato per togliere una volta per tutte da una situazione di miseria umiliante i veterani rimasti in vita della Grande Vittoria, che per qualche motivo viene festeggiata da folle di scrocconi e VIP con il Martini in compagnia di persone di estrema destra.

Quanto è stato speso per un našist a media distanza da Mosca

Senza contare: spese per la costruzione e l'attrezzatura della scena, il servizi alla tribuna VIP, la preparazione di bandiere e striscioni e le spese per la benzina delle colonne di mezzi delle truppe interne. Peraltro poniamo che tutto sia stato acquistato a prezzo minimo e non siano stati fatti pagamenti sottobanco a nessuno.

– Strada – 1000 rubli (andata e ritorno)
– Cibo per la strada – 200 rubli
– Maglia – 150 rubli
– Ciondolo – 10 rubli
– “Indennità di trasferta”– 1000 rubli

Totale: 2360 rubli [27]

Somma generale: 2360 х 65 000 = 153 400 000 rubli [28]

Commento

Ufficio stampa del ministero degli Interni, Anatolij Lastovskij

Oggi in centro tutti i poliziotti indossavano camicie bianche. Ci dica, per quale motivo l'alta uniforme?

– Ma dove li avete visti?

Nel viale Sacharov, là c'è una grande manifestazione dei Naši

– Penso che sia un'iniziativa locale. In generale a Mosca i poliziotti vanno in giro con l'abituale uniforme estiva. Ma qui, probabilmente, è stato dato in modo speciale un ordine particolare.

Ma quanti poliziotti in tutto sono stati mobilitati per mantenere l'ordine?

– Oltre ai poliziotti c'erano anche i soldati delle truppe interne. Tutti insieme erano circa 2300. Questi hanno garantito la sicurezza dei 70 mila partecipanti alla manifestazione, di cui 40 mila sono stati portati da varie regioni con 650 autobus.

Può comunicare i tragitti di uscita delle colonne di mezzi perché attraverso il giornale possiamo avvertire gli automobilisti?

– Non posso dirlo. Non penso che ci saranno degli ingorghi. Mosca è una grande megalopoli e porteranno via I partecipanti anche in corteo, ma tutti in direzioni diverse. Andrà tutto bene.

Hanno preparato l'articolo
Rostislav Bogu
ševskij
Konstantin Poleskov

17.05.2010, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2010/051/01.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Giorno in cui si festeggia la vittoria dell'URSS sul nazismo.

[2] Membri del movimento giovanile putiniano Naši (Nostri), chiamati così alludendo evidentemente ai nazisti (il corsivo è mio).

[3] Nel 2010 una divisione è ancora intitolata a Feliks Èdmundovič Dzeržinskij, fondatore della polizia politica sovietica.

[4] “Stagni puliti”, laghetti nel centro di Mosca.

[5] La guerra dell'URSS con la Germania nazista e i suoi alleati.

[6] Moskovskij Gosudarstvennyj Gumanitarnyj Universitet (Università Statale di Scienze Umane di Mosca).

[7] Gruppo di estrema sinistra.

[8] Raggruppamento delle forze di opposizione.

[9] Simili al nastro di san Giorgio delle decorazioni militari.

[10] Nome colloquiale di San Pietroburgo.

[11] Città della Russia centro-meridionale.

[12] Circa 53 euro.

[13] Città della Russia settentrionale.

[14] Città della Russia centrale, capitale della repubblica autonoma dei Ciuvasci.

[15] Città della Russia centrale, la Gor'kij del periodo sovietico.

[16] Oltre 13 euro.

[17] Oltre 18 euro.

[18] Circa 4 euro.

[19] Oltre 259 mila euro.

[20] Circa 0,3 euro.

[21] Oltre 17 mila 200 euro.

[22] Oltre 5 euro.

[23] Oltre 212 mila 600 euro.

[24] Oltre 26 euro.

[25] Oltre 531 mila 500 euro.

[26] Città della Siberia sud-occidentale dove due esplosioni in una miniera di carbone hanno causato decine di morti.

[27] Oltre 62 euro.

[28] Oltre 4,07 milioni di euro.



http://matteobloggato.blogspot.com/2010/05/non-ce-posto-per-il-lutto-dove-i.html

16 maggio 2010

A proposito di servizi (II)

Un'ammonizione in una gamba



Perché un agente dello FSB [1] ha sparato nel metrò di Mosca


Un'immeritatamente lussureggiante primavera è piombata quest'anno su Mosca. Sotto la mia finestra, che guarda sul centro commerciale e ricreativo “Evropejskij” [2], fioriscono odorosi i lillà e più forte della Babkina [3] cantano gli usignoli. Probabilmente proprio gli usignoli hanno inquietato i soldati del fronte invisibile: I cekisti [4] sono entrati compatti nell'inasprimento primaverile.

Non è riuscita la nostra rapida, qual rondine, Duma di Stato a valutare sia pure in prima lettura la legge Putin-Orwell giunta dalla Lubjanka [5] a nome del governo, che prevede pene per i reati del pensiero, come se gli eredi di Dzeržinskij [6] giocassero in anticipo.

Ricordiamo che il menzionato documento dà agli agenti dei servizi segreti il diritto di comminare ammonizioni a quei cittadini che ancora non hanno compiuto azioni punibili penalmente, ma, secondo lo FSB, sono capaci di farlo. Ma perché queste ammonizioni, come qualsiasi idea della Lubjanka, acquistino forza materiale, si propone di introdurre emendamenti al Codice sulle violazioni amministrative. Per il rifiuto di adempiere le richieste dei cekisti si minacciano i comuni cittadini di multe da 500 a 1000 rubli [7] o di arresto per 15 giorni, i funzionari, che agli occhi d'acciaio della gebucha [8] sono meglio dei cittadini, da 1000 a 3000 [9] e ai nemici del popolo giuridici toccherà pagare fino a 50000 [10]. Perfino il deputato della Duma di Stato Viktor Iljuchin, di cui i compagni di classe dicevano negli intervalli con un'ombra di orgoglio: “Guarda, è arrivato il nostro deržimorda [11]”, ha riconosciuto che i cekisti pretendono poteri oltre i limiti dell'abuso sovietico. “Oggi tutto è dato alla mercé delle strutture armate”, – ha detto Iljuchin, come facendosi simile a Colombo.

Ma un fedele allievo di Feliks Èdmundovič e Lavrentij Pavlovič [12], un certo coraggioso capitano dello FSB, ha deciso di non attendere l'esito felice dei dibattiti della Duma. Nell'atrio della stazione del metrò “Varšavskaja” [13] con la pistola d'ordinanza ha sparato eroicamente a una gamba di un criminale del pensiero, che, forse, analizzava fra se ad alta voce le partite di scacchi di Kasparov e si inquietava a causa di Katyn'. Secondo il comunicato dell'ITAR-TASS, l'incaricato operativo dello FSB era ubriaco. D'altra parte, la “RIA Novosti” [14], dove sono informati meglio degli altri sui nostri Stirlitz [15], afferma che ubriaco era il nemico del popolo, mentre il capitano si trovava in servizio e ha condotto nel metrò una battaglia mai vista. In un modo o nell'altro, dal luogo dell'incidente l'uomo sospetto è stato trasportato all'ospedale con una ferita ad una gamba, ma dove si sia nascosto il cekista non è noto. Probabilmente è andato al covo a creare una leggenda.

Secondo me il caso non vale un tubo [16]. Il nemico è penetrato nell'atrio della stazione “Varšavskaja” e ha maledetto mentalmente la verticale del potere. E il capitano dello FSB ha reagito istantaneamente e gli ha comminato un'ammonizione con la pistola di ordinanza. Che gli dica pure grazie che dopo la prima ammonizione non è seguita quella finale [17].

In epoca sovietica il popolo scherzava timorosamente: “Nel CC mettono a tacere, nella ČK fanno a pezzi” [18]. Adesso c'è stata una modernizzazione: lo FSB ha preso su di se entrambe le funzioni.

Leonid Florent'ev

14.05.2010, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2010/050/06.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio di Sicurezza Federale), il principale servizio segreto russo.

[2] Europeo.

[3] Nadežda Georgievna Babkina, famosa cantante melodica russa.

[4] Če-ka è lo spelling russo di ČK, abbreviazione di Črezvyčajnaja Komissija po bor'be s kontrrevoljuciej i sabotažem (Commissione Straordinaria per la lotta alla controrivoluzione e al sabotaggio), la prima polizia politica sovietica. I suoi agenti erano detti čekisty e così vengono chiamati tuttora gli agenti segreti.

[5] Nome colloquiale della sede del KGB (poi dello FSB) in piazza Lubjanskaja, nel centro di Mosca.

[6] Feliks Èdmundovič Dzeržinskij, fondatore della ČK.

[7] Da 13 a 26 euro circa.

[8] Nome colloquiale del KGB (che in russo si legge Ka-Gè-Bè).

[9] Da 26 a 79 euro circa.

[10] Oltre 1325 euro.

[11] Qualcosa come “reggi-muso”, sinonimo di soldataccio, rude uomo d'ordine.

[12] Lavrentij Pavlovič Berija, il terribile braccio destro di Stalin.

[13] “Varsaviana” (stazione della periferia meridionale sul viale Varšavskij, “Varsaviano”).

[14] Russian Information Agency (Agenzia Russa di Informazioni) Notizie, agenzia di stampa russa.

[15] Eroico e geniale agente sovietico infiltrato tra i nazisti del romanzo “Diciassette momenti di primavera” di Julian Semënov (Julian Semënovič Ljanders) e dello sceneggiato televisivo ad esso ispirato, su cui è nata in URSS un'infinità di barzellette paragonabili agli attuali “Chuck Norris facts”.

[16] Letteralmente “un uovo mangiato”.

[17] Letteralmente “di controllo” (così viene definito il colpo con cui ci assicura che il nemico muoia).

[18] In russo V CK (leggasi Cè-Ka) cykajut, v ČK čikajut, gioco di parole intraducibile.


http://matteobloggato.blogspot.com/2010/05/il-nuovo-kgb-della-russia-di-putin.html

13 maggio 2010

A proposito di Russia e UE

Violatori dei diritti umani con divieto di ingresso



La lista nera dell'area di Schengen è un documento segreto, in cui si finisce personalmente per motivi concreti. Se non si considerano casi clamorosi, gli “eroi” scoprono il proprio status di divieto di ingresso solo quando cercano di ottenere un visto o (se questo non è richiesto) o al banco di controllo dei passaporti in un aeroporto europeo.

Secondo dati non ufficiali, nella lista ci sono più di mille cittadini di diversi paesi e popoli e questa, come la “gabbia per le scimmie” [1] della polizia, si rinnova continuamente. Là ci sono non solo autorevoli terroristi internazionale, ma anche piccoli truffatori, ladri di automobili e semplicemente incalliti violatori dell'ordine pubblico e del Codice Stradale. E non importa quale paese di Schengen abbia scritto – non daranno il visto per alcuno dei 25.

L'Estonia ancor prima di unirsi a Schengen aveva “bandito” Vasilij Jakemenko, allora leader dei našisty [2] e adesso membro del governo russo. E non appena l'Estonia due anni fa ha aperto le frontiere occidentali, Jakemenko si è automaticamente trasferito nella lista paneuropea delle persone con divieto di ingresso insieme a centinaia di attivisti del movimento, che le autorità estoni accusarono di atti “di violenza e abuso nei confronti dei suoi cittadini” nel 2007. Cioè durante i disordini a Tallin e presso l'ambasciata estone a Mosca per via della rimozione del monumento ai soldati sovietici. Allora il servizio di sicurezza dell'ambasciatore estone in Russia salvò il diplomatico con l'aiuto del gas lacrimogeno e il ministero degli Esteri russo ricevette una nota con l'accusa di violazione della convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche.

“Il divieto di ingresso nei paesi dell'UE limita i piani di questi giovani per il futuro, – notò allora il ministro degli Interni dell'Estonia Jüri Pihl. – Ciò significa che sacrificano le possibilità di formazione, lavoro, carriera”.

Le parole su formazione, lavoro e carriera non riguardano lo stesso Jakemenko, che, a quanto è noto al corrispondente della “Novaja gazeta” a Bruxelles, finora resta nella lista di persone con divieto di ingresso in Europa.

Al contempo e per lo stesso motivo nella lista è finito il deputato della Duma di Stato Sergej Markov. A lui, come persona con il passaporto diplomatico [3], non ha bisogno di un visto per l'Europa , ma quando si è recato alla seduta dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa a Strasburgo, le guardie di frontiera tedesche lo hanno fermato a Francoforte sul Meno. Perché era nella lista . A dire il vero, 30 minuti dopo lo hanno lasciato andare in quanto delegato accreditato.

Ma in questa “gabbia per le scimmie” c'è anche una piccola parte pubblica, in cui finiscono nominalmente politici e alti funzionari di stati esteri. Il più delle volte con l'inclusione in essa l'Unione Europea punisce le violazioni dei diritti umani. Nel 2006, dopo le scandalose elezioni in conseguenza delle quali Aleksandr Lukašenko divenne presidente della Bielorussia per la terza volta, a lui e a un'altra trentina di membri della leadership della repubblica fu vietato l'ingresso nell'UE. Gli europei minacciarono anche di congelare le loro attività nei paesi dell'Unione. Ancora prima era stato introdotto il divieto di ingresso per sei VIP bielorussi sospettati di complicità nella scomparsa di attivisti dell'opposizione.

Bruxelles usa lo strumento dei divieti ai visti per far pressione sui regimi al potere. Si applica il sistema di “proroga e congelamento” dei divieti. Cioè il divieto non viene abrogato e viene perfino prorogato, ma a tempo determinato viene congelata la sua validità, dichiarando che in qualsiasi momento il “congelamento” può essere tolto.

Due anni fa i ministri degli Esteri dell'UE decisero di “congelare” il divieto di ingresso nell'UE allo stesso Lukašenko e alla maggior parte dei sui funzionari chiave (ma non tutti). Questa fu una ricompensa a Minsk per la liberazione di prigionieri politici. Ma il divieto non è stato abrogato e pende come una spada di Damocle.

Simile è la situazione con i leader della Transnistria – Igor' Smirnov, Vladimir Antuf'ev e altri. Secondo Bruxelles, questi ostacolano la libertà di spostamento delle persone attraverso la frontiera e l'insegnamento della lingua ufficiale, il moldavo, nelle scuole della Transnistria. Non ufficialmente si allude al fatto che il regime di Smirnov si regge sul commercio illegale di metallo e di vodka, sul traffico di droga e di armi e sul commercio di esseri umani. A loro è ufficialmente vietato entrare nell'UE, ma il divieto è congelato per l'ennesima volta fino al 30 settembre. Poi ci sarà una nuova decisione – dipenderà dallo sviluppo degli avvenimenti…

Secondo gli osservatori indipendenti a Bruxelles, l'UE mostra un'eccessiva morbidezza, togliendo le sanzioni ai leader dei vertici dei paesi “puniti” quando considerazioni pragmatiche la spingono a farlo. Così è stato ben poco tempo fa, quando Bruxelles ha tolto il divieto di ingresso alle alte personalità dell'Uzbekistan (lo avevano introdotto nel 2005 dopo l'uccisione a colpi d'arma da fuoco dei dimostranti di Andijan [4]). In entrambi i casi hanno preso il sopravvento gli interessi economici. A Tashkent non è toccato neanche adempiere la richiesta di un'indagine internazionale sugli avvenimenti di Andijan. Per Bruxelles è stato sufficiente un gesto simbolico: l'abrogazione della pena di morte e la liberazione per alcuni prigionieri politici.

A quanto si ricorda negli ultimi anni sono stati introdotti divieti ai visti nei confronti del presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe e dei membri del suo governo e dei membri delle giunte militari della Guinea e di Myanmar. Là è più semplice: gli interessi economici non sono così evidenti.

Aleksandr Mineev
nostro corrispondente, Bruxelles


12.05.2010, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2010/049/26.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Cella nel posto di polizia.

[2] Membri del movimento giovanile putiniano Naši (Nostri), chiamati così per i loro atteggiamenti fascisti.

[3] Letteralmente “passaporto verde” (tale è il colore).

[4] Città dell'Uzbekistan orientale.


http://matteobloggato.blogspot.com/2010/05/la-russia-e-i-divieti-di-ingresso.html