29 giugno 2011

A proposito di tortura

Non toccare!




A Nižnij Novgorod [1] perseguitano rozzamente e vigliaccamente la collaboratrice del Comitato Contro le Torture Ol'ga Sadovskaja


L'organizzazione per la difesa dei diritti umani “Comitato Contro le Torture” di Nižnij Novgorod esiste da 11 anni.

Dal nome dell'organizzazione è chiaro con quale problema hanno a che fare gli attivisti per i diritti umani. Quanto alla sola Nižnij Novgorod la statistica dice: un abitante su cinque è stato vittima di torture. In Cecenia e nel Caucaso, suppongo, tale statistica salirebbe, se, certo, là qualcuno la facesse.

Vi stupite, ma il Comitato Contro le Torture punisce efficacemente e, cosa principale, legalmente i carnefici. Negli anni di lavoro al Comitato Contro le Torture sono giunte 1402 dichiarazioni di chi è stato vittima di torture. I collaboratori del Comitato Contro le Torture hanno elaborato un proprio unico metodo per condurre ogni caso e sono riusciti a mandare in colonia penale [2] 75 membri delle strutture armate e hanno ottenuto 19 milioni 168 mila 740 rubli [3] di risarcimenti per le vittime.

A questa organizzazione i cittadini non solo devono essere grati, devono esserne orgogliosi. Nella nostra storia ci sono pochi precedenti di una così tranquilla, precisa e attiva resistenza a un sistema che ha la cattiva abitudine di infilare cavi elettrici nel sedere ai propri cittadini. (E' caratteristico, peraltro, che la tortura con la corrente elettrica, applicata massicciamente abbia ricevuto tra le masse popolari un nome sarcastico – la “Telefonata a Putin”.)

Nel mondo civile gli sforzi del Comitato Contro le Torture sono valutati degnamente. Solo negli ultimi due mesi il Comitato Contro le Torture ha ricevuto i due principali premi europei per la difesa dei diritti umani. Il 22 giugno a Strasburgo al presidente del comitato Igor' Kaljapin e alla vice-presidente del Comitato Contro le Torture Ol'ga Sadovskaja hanno consegnato il Premio per i Diritti Umani (Human Rights Prize), conferito dall'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa.

Naturalmente il governo russo non ha salutato i propri eroi. Questi non sono gli eroi che si possono premiare al Cremlino.

I collaboratori del Comitato Contro le Torture non fanno esplodere macchine con bambini a bordo – nel tentativo di uccidere i nemici della Russia; non avvelenano mezza Europa con il polonio – nel tentativo di uccidere i nemici della Russia; non fanno arrivare all'estero “documenti confidenziali” – nel tentativo di riciclare la grana rubata da alti funzionari.

Fanno imprigionare sbirri per aver torturato delle persone. Risulta che sono antieroi, traditori.

Cosa che è stata chiaramente mostrata ai collaboratori del Comitato Contro le Torture al ritorno da Strasburgo.

Olja Sadovskaja vive a Nižnij Novgorod con il marito e un bambino piccolo (ha un anno). Il 21 giugno (giorno in cui è volata a Strasburgo) tutti i muri di cinta vicini sono stati dipinti con strani graffiti: “Sadovskaja, perché vendi la Patria?”, “Forse Barack da di più?”, “Sadovskaja, noi ti… (di seguito croci)”, “Sadovskaja – zerbino americano”, “Pelle della Sadovskaja – aspéttatela presto”, “Sadovskaja – fiancheggiatrice di terroristi e estremisti”. Colpisce particolarmente il fatto che la firma sotto questa pittura rupestre sia “nacbol[4].

I nacboly di Nižnij Novgorod si sono indignati furiosamente. Lo stesso giorno in cui si è avuta notizia della vessazione ai danni di Olga, questi hanno dichiarato ufficialmente sul loro sito: “Non suscita dubbi che questo sia opera degli “anti-estremisti” locali, capeggiati dal signor Trifonov – capo del centro “Ė” [5] di Nižnij Novgorod. E né Sadovskaja, né l'intera società di Nižnij Novgorod, conoscendo i nacboly, crederà a queste provocazioni”.

Anche la stessa Sadovskaja nega la partecipazione dei nacboly alla vessazione. Tra l'altro, questa non ha notizie dirette che le minacce vengano dal locale centro “Ė. Anche se prove indirette della partecipazione dei membri delle strutture armate ci sono. Dall'inizio di giugno è già la quarta “spiacevolezza” accaduta a Ol'ga.

A giugno Nižnij Novgorod è stata il luogo di svolgimento del summit Russia-UE.

Ol'ga Sadovskaja ha organizzato incontri non governativi con diplomatici europei e attivisti per i diritti umani di Nižnij Novgorod nel corso di questo summit. Inizialmente a Ol'ga hanno bloccato contemporaneamente tutte le carte di credito. Le banche hanno dato un pretesto stereotipato: “E' giunta notizia di una trasmissione dei Suoi dati a terze persone”.

In seguito Sadovskaja è stata convocata alla Procura del distretto di Nižnij Novgorod e l'hanno interrogata dettagliatamente sul protocollo degli “incontri non governativi”. Durante il colloquio alla sua macchina sotto diretta osservazione di un agente della GIBDD [6] è stata svitata la targa. Alla vigilia dell'incontro con gli europei è stata violata la posta elettronica di un'assistente di Sadovskaja e da questa è partita una lettera disinformante sul luogo e sull'incontro diretta a tutti i partecipanti. Anche un partner del Comitato Contro le Torture – l'agenzia di stampa Rosbalt – all'ultimo momento si è rifiutato di fornire il locale per l'incontro tra gli attivisti locali per i diritti umani e i diplomatici europei.

Le birichinate dei malintenzionati non ha impedito al Comitato Contro le Torture di tenere tutte le iniziative progettate. Evidentemente, per vendicare quelli che hanno messo i bastoni tra le ruote a Sadovskaja, hanno deciso di ribadire le proprie cause gloriose in modo rupestre. Ma non bisogna sbagliarsi: i graffiti sui muri di cinta non sono una testimonianza di debolezza, ma una testimonianza di impunità. Il sistema in qualsiasi momento può passare ad azioni più dure. Semplicemente finora, evidentemente, l'ordine “fare secchi” non c'è stato.

P.S. Cecenia, 24 giugno. Subito dopo il picchetto dedicato alla Giornata Internazionale a sostegno delle vittime di torture, all'UVD [7] della città di Groznyj sono stati convocati i collaboratori del Comitato Contro la Tortura in Cecenia Sup'jan Baschanov e Magomed Alamov.

Con loro hanno “colloquiato” due alti ufficiali di polizia, tra cui anche il capo dell'UVD della città di Groznyj Ali Tagirov. A detta degli attivisti per i diritti umani, nel corso del colloquio sono stati apertamente minacciati. I poliziotti hanno copiato i loro indirizzi, hanno fatto domande sulla composizione delle loro famiglie, sui loro figli. Agli attivisti per i diritti umani è stato fatto capire chiaramente che qualsiasi nuova critica all'indirizzo dei membri delle strutture armate porterà delle conseguenze.

Elena Milašina

28.06.2011, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2011/069/06.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Città della Russia centrale, la Gor'kij del periodo sovietico.

[2] Letteralmente “nella zona”. “Zone” erano i campi del GULag...

[3] Oltre 476.300 euro.

[4] Cioè appartenente al “Partito Nazional-Bolscevico” (partito messo fuori legge che sostiene una versione nazionalista del bolscevismo). Il corsivo è mio.

[5] Ė sta per Ėkstremizm. Si tratta di strutture della polizia che con il pretesto di combattere l'estremismo politico lottano contro l'opposizione. Il corsivo è mio.

[6] Gosudarstvenaja Inspekcija po Besopasnosti Dorožnogo Dviženija (Ispettorato Statale per la Sicurezza del Traffico Stradale), in pratica la Stradale.

[7] Upravlenie Vnutrennich Del (Direzione degli Affari Interni), in pratica la sede della polizia.


http://matteobloggato.blogspot.com/2011/06/cosa-succede-lottare-contro-la-tortura.html

27 giugno 2011

A proposito della Russia e del Consiglio d'Europa

Cacceranno la Russia dall'Europa?




Nella prossima settimana la Duma di Stato compirà un rivolgimento costituzionale. Subito in tre sedute


Nel giugno 2011 il facente funzione di presidente del Consiglio della Federazione Aleksandr Toršin ha presentato alla Duma di Stato il disegno di legge “Legge costituzionale federale. Sull'introduzione di cambiamenti in singoli atti legislativi della Federazione Russa”.

Questo documento si sarebbe potuto chiamare più semplicemente: “Legge sulla non esecuzione delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo da parte della Russia”.

La reazione dell'Europa è la perplessità: là non credono alle proprie orecchie. C'è ragione di farlo. Come se fosse poco che il disegno di Toršin significhi il rifiuto selettivo (come vogliamo e quando vogliamo) della Russia di adempiere i propri obblighi internazionali, i deputati russi hanno deciso di formulare legalmente anche le regole secondo cui, a loro parere, deve operare la Corte di Strasburgo.

C'è anche un terzo aspetto, che, pare, deve mettere in guardia il garante della Costituzione più degli europei, che possono semplicemente metterci fuori dalla loro casa – il progetto di Toršin di fatto cambia la Legge Fondamentale della Russia.

Il motivo per l'aggressione legislativa è stata la decisione della CEDU sul caso del militare Markin, che voleva prendere un congedo di paternità perché era rimasto solo con il bimbo neonato. Glielo hanno negato tutti, compresa la Corte Costituzionale della Federazione Russa, per via di una possibile violazione degli interessi della sicurezza dello stato russo. Strasburgo ha deliberato: le sentenze “basate su pure supposizioni e prive di fondamento ragionevole” vanno cassate e nelle leggi vanno introdotti gli adeguati cambiamenti.

E non si tratta del fatto che tutti si sono offesi e neanche del fatto che adesso migliaia di ufficiali decideranno di andare in congedo, ma del fatto che presto ci saranno le elezioni. E partiti non registrati con pretesti inventati e tolti dalle liste dei candidati, ma anche semplicemente rappresentanti dell'elettorato ingannati da brogli elettorali potranno mettere in discussione alla Corte Europea i principi della “democrazia sovrana” della Russia “basati su pure supposizioni e privi di fondamento ragionevole”.

E perciò questo disegno di legge non è una sciocchezza, ma un passo politico meditato. Il documento secco, non passato da alcun dibattito, già in questa settimana potrebbe essere approvato dalla Duma di Stato. Il primo vice-presidente della Commissione per la legislazione costituzionale e l'organizzazione dello stato Aleksandr Moskalec si è affrettato a dichiarare ai mezzi di informazione di massa che martedì 28 giugno il disegno sarà sottoposto a esame in prima istanza e che “potrebbe essere approvato nelle tre sedute prima della fine della sessione primaverile della camera bassa” – cioè già il 6 luglio.

Ma se dopo questo cacciassero la Russia dal Consiglio d'Europa, forse potrebbe anche essere la cosa migliore. Allora poi niente impedirebbe agli europei di bloccare i conti e gli immobili dei nostri funzionari e neanche di proibirgli di poltrire in Costa Azzurra e fare shopping in Oxford Street. E questo non significherà affatto che qualcuno ci impedisce “di alzarci dopo essere finiti in ginocchio” [1]. Noi stessi abbiamo chiesto di entrare nella Casa Europea, ci hanno permesso di entrare, ci hanno sopportati mentre guastavamo l'aria e torturavamo in cella i nostri familiari, ma una volta che abbiamo deciso di rompere i vetri al padrone di casa – allora merita prepararsi a una rapida discesa per le scale con le nostre cose.

Alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) e all'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa (PACE [2]) a Strasburgo si astengono dai commenti sugli “emendamenti di Toršin, secondo i quali, se saranno approvati, la Russia eseguirà solo le sentenze della Corte di Strasburgo che verranno timbrate dalla Corte Costituzionale della Federazione Russa.

Alla PACE la gente è più disinvolta, ma anche questi hanno detto che attenderanno i testi ufficiali. Forse non vogliono abboccare all'amo delle versioni emotive della stampa. Non vogliono credere alle proprie orecchie. In sessantatré anni, da quando esiste il Consiglio d'Europa, non rammentano niente di simile.

La Convenzione per la difesa dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali fu pensata come garanzia collettiva dei principi che l'Europa, senz'avere ancora rimosso le rovine, decise di seguire, prendendo spunto dalle lezioni della Seconda Guerra Mondiale. Il loro riconoscimento costò caro e sono ribaditi nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 10 dicembre 1948.

Dopo la guerra parte del continente si trovò dietro la “cortina di ferro”. Quando crollò, gli ex membri del campo socialista presero a chiedere di entrare in Europa, promettendo solennemente di servire i suoi valori. La Russia fece richiesta nel maggio 1992…

La garanzia dei principi è fondata non solo sulla volontà degli stati, che si sono obbligati con la propria firma a difendere alcuni valori universali, ma anche sull'interesse comune. E questo sta nella “sicurezza democratica” dell'Europa. Garantendo le condizioni per l'avvicinamento, gli stati europei devono rispettare i diritti dell'uomo, la supremazia della legge e il pluralismo politico.

La firma sotto la Convenzione significa che il paese riconosce la priorità delle sentenze della Corte per i Diritti dell'Uomo. Oggi questa è la condizione per essere membri del Consiglio d'Europa.

Una rinuncia a parte della sovranità? Sì, come pure all'ingresso in qualsiasi organizzazione internazionale. I dibattiti sul fatto che le sentenze della Corte di Strasburgo limitano la sovranità statale della Russia sono insensate. La Russia è entrata da sola nel Consiglio d'Europa e nessuno ce l'ha trascinata a forza.

Secondo il professor Jean-Pierre Massias dell'Istituto Francese di Relazioni Internazionali (IFRI), l'ammissione della Russia nel Consiglio d'Europa nel 1996 minò l'organizzazione politica internazionale. Da una parte, nel Consiglio riconobbero l'“europeità” russa e incoraggiarono la democratizzazione. Dall'altra, le lacune nella democrazia russa e, cosa più seria, il suo lento spostamento verso l'autoritarismo indeboliscono il Consiglio d'Europa.

La Russia è uno dei maggiori membri del CE con tutte le conseguenze derivanti. Quando entrò nel Consiglio sul suo conto c'era già la sparatoria sul parlamento, le dubbie elezioni presidenziali del 1996 e la prima guerra cecena (per via di questa il processo di ammissione fu bloccato nel 1995).

Le discussioni al momento dell'ingresso furono aspre, ma la Russia fece richiesta con insistenza, assicurando che bramava la democrazia e i diritti dell'uomo. “Il Cremlino può aver fatto un passo falso, – giudicarono in Europa. – Ma non si possono punire quei cittadini che dopo secoli di mancanza di libertà aspirano alla democrazia e al potere della legge”.

La maggior parte degli oratori alla PACE sostenne la candidatura della Russia “per la sua crescita”. Dissero che l'Europa non può tenere in disparte un paese così grande, le cui radici europee avrebbero portato da sole ai valori occidentali. Ciò sarebbe stato importante anche per l'autorità e l'influenza del CE come organizzazione. E il curriculum democratico di Mosca verso il 1996 era impressionante, se lo si paragonava ai tempi sovietici.

“L'ammissione della Russia nel CE, – ritiene il professor Massias, – è stata un errore di fondo. La Russia e l'UE [3] hanno compreso diversamente le domande: “In cosa consiste l'interesse dell'Europa?” e “In cosa consiste l'interesse della democrazia?” E dall'aprile 2000 al gennaio 2001 per le violazioni dei diritti dell'uomo nella seconda guerra cecena la delegazione russa fu privata del diritto di voto alla PACE.

Ma i partner del Consiglio d'Europa non dipingono tutto questo tempo a tinte nere. La Russia ha introdotto nella propria legislazione norme prescritte nei documenti del CE, la Corte Costituzionale della Federazione Russia ha usato sentenze della CEDU come fondamento delle proprie sentenze. Ma la cosa principale è che i cittadini russi hanno ottenuto la possibilità di rivolgersi direttamente a Strasburgo, se ritengono che un tribunale nazionale abbia violato i loro diritti.

La Corte è travolta dalle denunce dalla Russia. Inizialmente questa ha superato la Polonia, poi la Turchia.

Togliere ai cittadini russi questo diritto significa tarpare l'ultimo significativo legame della Russia con il Consiglio d'Europa. Questo diventerà inutile per loro. Resterà il rituale, i viaggi della grande delegazione russa a spese dello stato per una settimana a Strasburgo con una fermata alle terme di Baden-Baden sulla strada per l'aeroporto di Francoforte.

Ci si può chiedere, ma perché restare, quando i profitti da gas e petrolio permettono di guardare gli europei dall'alto, quando Mosca arricchita si è staccata dalle “romantiche”, secondo l'espressione dello stesso Kosačëv (presidente della Commissione della Duma per le questioni internazionali), illusioni degli anni '90?

Ma pochi dell'élite fanno appello per uscire dal Consiglio d'Europa. Il motivo è lo stesso degli inizi degli anni “feroci” [3] con Boris El'cin: per loro è importante la rispettabilità internazionale. Essere membro del Consiglio d'Europa è come vivere a Rublëvka [4]. L'importante non è il contenuto, ma l'immagine. Ma non solo.

E' sufficiente ricordare come lo scorso anno la grande delegazione dell'Assemblea Federale si gettò a Strasburgo per convincere i deputati europei a non introdurre il divieto di visto e a non bloccare i conti dei funzionari russi inseriti nella “lista di Magnitskij” [5].

“Il Consiglio d'Europa si divide come prima tra l'indispensabilità politico-geografica di non escludere la Russia e i principi dei padri fondatori sul rispetto dei diritti dell'uomo e delle norme democratiche, – nota il professor Massias. – Ma se nel 1996 l'argomento della futura democratizzazione della Russia ancora andava, oggi appare debole. I regolari conflitti tra Russia e CE legati alla violazione dei diritti dell'uomo sono impossibili da mettere sul conto di un futuro migliore. In realtà questa è la manifestazione di due diverse concezioni della democrazia e di una diversa comprensione delle relazioni tra il CE e i paesi membri”.

Secondo il politologo, oggi non si può parlare di escludere la Russia dal Consiglio d'Europa. “Uno choc del genere destabilizzerebbe fortemente il Consiglio e danneggerebbe la democrazia in Russia, dove anche senza questo si è in presenza di un chiaro discorso anti-occidentale. D'altra parte, sarebbe un'infedeltà ignorare i principi del Consiglio d'Europa in nome di una “realpolitik” europea”.

Alcuni mezzi d'informazione di massa europei hanno già reagito al “piano Toršin”.

“La Russia vuole garantirsi il diritto di ignorare la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo. Per questo, alla fine, possono punirla con la privazione del diritto di voto al Consiglio d'Europa o perfino con la privazione dello status di membro”, – scrive il “Tagesspiegel” di Berlino.

“Se tale decisione entrerà in vigore, considerando i due terzi dei voti in parlamento di “Russia Unita” al governo, la Russia rischia di essere cacciata dal Consiglio d'Europa già nel prossimo autunno. Perché la nuova legge da alla Russia la possibilità di decidere da sola quali delibere della CEDU eseguire e quali no”, – nota il giornale.

Questa è una violazione della Convenzione che la Russia ha firmato. La pena potrebbe essere la temporanea privazione del diritto di voto al Consiglio d'Europa e perfino la privazione dello status di membro. Una cosa del genere è stata applicata una sola volta: contro l'“ultimo dittatore d'Europa” Aleksandr Lukašenko.

Lo scandalo e l'isolamento nel Consiglio d'Europa porteranno al risultato opposto a quello che cercava l'élite russa entrando nell'organizzazione. Ne soffrirà il prestigio internazionale della Russia. In primo luogo, le sue relazioni con il principale partner internazionale – l'Unione Europea.

Questi negli ultimi tempi non sono già così lieti.

– Quando un paese entra nel Consiglio d'Europa, si obbliga ad eseguire le sue decisioni, tra cui quelle della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo, a porle al di sopra delle decisioni prese a livello nazionale. E' la condizione immancabile della partecipazione al CE, – è convinto Fraser Cameron, direttore di uno dei principali brain trust di Bruxelles – il Centro UE-Russia. – La Russia non è un membro dell'Unione Europea, ma l'approvazione da parte del parlamento russo di leggi che permettono di non riconoscere le sentenze della CEDU probabilmente avrà conseguenze molto serie per le sue relazioni con l'UE. Tutti i paesi dell'UE sono membri del Consiglio d'Europa e giocano un ruolo decisivo là, perciò tali leggi lanciano una sfida all'UE. In quale grado questo guasterà le relazioni UE-Russia si potrà dire solo avendo in mano i testi ufficiali delle nuove leggi. Ma delle conseguenze ci saranno di certo. Questo inciderà anche sui colloqui per il nuovo accordo di base, che vanno avanti già da due anni, e su altre piste di interazione tra Russia e UE.

– Fra queste anche il dialogo sugli scambi senza visti?

– Indubbiamente.

Anche un altro interlocutore della “Novaja gazeta”, il principale esperto del Centro di Politica Europea (CEPS [6]), l'ex ambasciatore dell'UE a Mosca Michael Emerson ritiene che con un tale sviluppi degli eventi le relazioni UE-Russia non potranno non soffrire.

– La Corte di Strasburgo nella sua sfera di giurisdizione è la più alta corte di tutti i membri del Consiglio d'Europa. Cancellare le sue sentenze significa ignorare le norme del diritto internazionale. Di conseguenza aumenta molto fortemente il divario tra le dichiarazioni del presidente Medvedev e la pratica di fatto russa. Questo tema sarà continuamente all'ordine del giorno delle relazioni UE-Russia e degli incontri ad altissimo livello. Toccherà attendere la reazione critica di tutte le istituzioni dell'UE e in particolare un inasprimento della retorica del Parlamento Europeo.

– Sentiamo comunque una dura retorica negli ultimi giorni. Sulla questione delle elezioni, per esempio. Cosa ci si può aspettare oltre alla retorica?

– L'UE cercherà di pensare qualcosa perché Mosca cambi le decisioni illegali. Ma così, per non gonfiare la polemica quando diventerà incontrollabile. Posso immaginarmi che il Presidente del Consiglio Europeo Herman van Rompuy si metterà direttamente in contatto con Medvedev, gli chiederà di chiarire la posizione e prendere una decisione accettabile.

Il potere esecutivo dell'UE, che ha in testa la dipendenza dal gas russo e la possibilità di usare la Russia per svolgere i propri compiti internazionali, si sforza di non litigare con Mosca e pronuncia parole spiacevoli per l'élite russa solo sotto la pressione dei deputati, stavolta è orientato abbastanza decisamente.

Il più alto rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Catherine Ashton ha espresso preoccupazione per il rifiuto delle autorità russe di registrare il partito PARNAS [7]. Questa ha ricordato che la Corte Europea per i Diritti Umani il 12 aprile a seguito dell'istanza del Partito Repubblicano di Vladimir Ryžkov ha emesso una sentenza che critica la farraginosa procedura di registrazione dei partiti in Russia.

– Il pluralismo politico nella società contemporanea è la fonte della legittimità politica, – ha notato.

In realtà il tono è molto più importante della valutazione pragmatica e della formula giuridica. Questo, alla fine, determina le relazioni con un paese, l'atmosfera degli accordi e, se è davvero alto, l'appartenenza a un'unica Europa.

I diplomatici russi, descrivendo i processi delle trattative con l'Unione Europea, di solito li riconducono a schemi formali, giuridici – come dire gli europei cercano di legare alla questione cose secondarie, che non sono in relazione diretta con l'oggetto trattato. Il più delle volte queste cose “secondarie”, dal punto di vista dei funzionari russi, sono i diritti dell'uomo, la democrazia, la supremazia della legge. I nostri diplomatici si sforzano di ricondurre qualsiasi discussione al nudo pragmatismo. Ma l'Europa, con tutti i debiti greci e altri disordini, non è pronta a un trattare puramente pragmatico.

Aleksandr Mineev
nostro corrispondente, Bruxelles

26.06.2011, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2011/068/00.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Celebre espressione di Putin.

[2] Dall'inglese Parliamentary Assembly of the Council of Europe.

[3] Gli anni '90, quelli del passaggio traumatico al mondo post-sovietico.

[4] Nome non ufficiale degli insediamenti chic sulla strada per l'abitato di Rublëvo, nella periferia a ovest di Mosca.

[5] Le persone coinvolte nel caso dell'avvocato Sergej Leonidovič Magnitskij, arrestato con accuse pretestuose dopo aver denunciato alcuni funzionari e morto “misteriosamente” in prigione nel 2009.

[6] Centre for European Policy Studies (Centro per gli Studi di Politica Europea).

[7] PARtija NArodnoj Svobody “Za Rossiju bes proizvola i korrupcii (Partito della Speranza Popolare “Per la Russia senza abusi e corruzione”), partito di opposizione democratica. Parnas è anche il Parnaso.


http://matteobloggato.blogspot.com/2011/06/la-russia-legifera-contro-la-corte.html

18 giugno 2011

A proposito del Caucaso (II)

Jon Alpert: negli USA manca interesse per la situazione del Caucaso del Nord

17 giugno 2011, 09.20

Nella Casa Centrale del Giornalista [1] a Mosca il 14 giugno ha avuto luogo una conferenza con la partecipazione del documentarista del canale televisivo americano НВО Jon Alpert e del presidente dell'Unione dei Giornalisti Russa Vsevolod Bogdanov. Sono stati mostrati frammenti dei reportage televisivi di Alpert, girati durante le operazioni militari in Vietnam, Filippine, Nicaragua, Cuba e Iraq. Dopo la conclusione della conferenza il regista ha raccontato al corrsipondente di "Kavkazskij uzel" che negli USA ora non seguono la situazione nel Caucaso del Nord in quanto non influenza la vita di ogni giorno degli americani.

“Dopo la comparsa della telecamera, questa ha preso a influenzare la vita della gente”

Vsevolod Bodanov ha notato che i reportage di Alpert non somigliano ai soggetti del format della televisione di Stato. Prima della proiezione il reporter ha raccontato alle persone lì riunite che la sua strada giornalistica comuinciò con il lavoro come autista di un camion, in cui installò due schermi televisivi.

“Inizialmente non avevo il desiderio di diventare un documentarista, ma negli anni Sessanta la gente voleva cambiare qualcosa in meglio”, – ha ricordato Alpert.

Durante il lavoro come tassista girò un video sul lavoro dei tassisti e lo mostrò agli amici, al che gli risposero che era fantastico.

“Quando puoi cambiare qualcosa, è inimmaginabile! Prendemmo a girare film sui problemi del nostro distretto, per esempio sulle elezioni che si svolgevano nelle scuole. Là si creava un terribile disordine e questo faceva infuriare la gente. Ma ai racconti in proposito nessuno credeva finché non girammo un flim in proposito. Questa è la lodata democrazia americana di quegli anni”, – ha commentato l'autore il frammento del proprio lavoro.

Le persone riunite hanno visto un brano del film di Alpert, in cui si vede che le elezioni in una scuola americana procedono disordinatamente. “Dopo il film cambiarono il comitato nella scuola e le elezioni presero a svolgersi meglio”, – ha sottolineato l'autore.

Il giornalista ha notato che dopo la comparsa della telecamera, questa ha preso a influenzare la vita della gentee. Nel 1977 fu girato un film sul maggiore ospedale pubblico di Brooklyn (quartiere di New York – nota di “Kavkazskij uzel”). “Per via della crisi finanziaria in esso il numero delle infermiere fu ridotto del 50% e poi smisero di comprare medicine e la situazione peggiorò soltanto”, – ricorda il reporter. A suo dire, durante la registrazione vide per la prima volta la morte di una persona .

“Ai reportage di guerra non si può mai essere pronti”

Jon Alpert ha condiviso con le persone riunite le proprie impressioni sul lavoro nei punti “caldi”. Ha notto che ai “reportage di guerra non si può mai essere pronti”.

Il primo frammento su un reportage di Jon Alpert da una zona di operazioni militari mostrato alla conferenza era sulla guerra del Vietnam.

“Fummo i primi giornalisti degli USA che capitarono in Vietnam durante la guerra. Ad altri giornalisti toccò aspettare il visto per sei mesi. Ci proponemmo alla NBC come reporter. Andammo al confine con la Cina, dov'erano gli unici giornalisti degli USA”, – ha detto Alpert.

In seguito ci furono i reportage da Cuba, dove a Alpert tocco trasportare l'apparecchiatura video in una carrozzina, per non spaventare la gente. “Registrammo l'intervista a Fidel Castro solo in parte, perché gli interessava la carrozzina”, – ricorda Alpert con un sorriso.

Alla domanda al leader cubano se davvero portasse sempre un giubbotto antiproiettili, Castro si sbottonò la camicia e mostrò al giornalista che sotto di essa non c'era alcuna difesa aggiuntiva. Per questo motivo il presidente dell'Unione dei Giornalisti Vsevolod Bogdanov ha detto che nel reportage di Jon Alpert per la prima volta “ha visto Fidel così”.

Il documentarista americano ha notato che i suoi reportage hanno influenzato la situazione politica come minimo in cinque casi.

Sullo schermo della sala di marmo della Casa Centrale del Giornalista è comparso un frammento di un filmato del monte “fumante” delle Filippine del 1978 (il rilievo delle isole Filippine è formato soprattutto da monti, il più alto dei quali è il vulcano Apo, dal suo cratere si staccano scie di gas sulfureo, acido solforico misto ad altri gas e vapore acqueo). Nel video si vede che la gente scava tra i rifiuti in cerca di cibo, vestiti e plastica allo scopo di guadagnare con questo almeno un po' di soldi.

“Questo reportaga dal monte “fumante” suscitò la protesta di molte persone verso il dittatore filippino Ferdinand [2] Marcos. Gli USA cessarono di appoggiare questo dittatore. E la gente comune prese a raccogliere soldi per gli abitanti del monte “fumante” e poterono perfino costruire là un condominio”, – ha riferito Alpert.

E' stato mostrato anche un brano di un reportage girato durante la prima guerra in Iraq. Nel video viene mostrato che i bambini e i pazienti di un ospedale muoiono senza cibo e medicine al tempo in cui i militari cercavano di convincere la comunità mondiale che i civili non soffrivano a causa delle operazioni militari.

“Allora la “General Electric” comprò la NBC (la compagnia televisiva che trasmetteva i reportage di Jon Alpert – nota di “Kavkazskij uzel”), questi facevano grandi forniture di armi e i miei reportage non gli piacevano. A quel tempo tutti i reporter se ne andarono da Baghdad, ma io sapevo che per il popolo americano era importante sapere cosa avveniva in realtà. C'era la censura più dura, le istruzioni per il lavoro dei giornalisti erano in tre pagine e di conseguenza abbiamo violato tutte le regole”, – ha raccontato Alpert.

Dopo essere finito nella lista “nera” della televisione commerciale, Jon Alpert cominciò a collaborare con la rete via cavo НВО, per questa compagnia ha girato circa quindici film, anche antimilitaristi. Uno di questi è sui soldati che tornano dalla guerra con la sindrome post-traumatica.

“Negli USA ora non seguono la situazione del Caucaso del Nord”

All'incontro gli ospiti hanno raccontato alle persone riunite anche i propri piani per la creazione in Russia di un'agenzia di stampa pubblica, in quanto al giorno d'oggi nel paese non ci sono mezzi di informazione di massa pubblici. Bogdanov ha riferito che convincerà l'americano a diventare membro del consiglio della nuova agenzia di stampa. Alla fine dell'incontro il reporter americano ha espresso la speranza di creare un progetto comune – la Scuola del Centro di Informazione Televisiva Pubblica. Il presidente dell'Unione dei Giornalisti Russi ha appoggiato questa idea, ricordando che Alpert ha già un'esperienza simile negli USA e che cinquantamila suoi allievi ora cercano di formare l'opinione pubblica.

Dopo la conclusione della conferenza Jon Alpert ha detto al corrsipondente di "Kavkazskij uzel" che negli USA ora non seguono la situazione del Caucaso del Nord che, a suo parere, è molto brutta.

“Se lavorassi ancora per la NBC, andrei là. Ma si da il caso che ora non ci sia posto dove potrei mostrare tali reportage. Sono sempre lieto di andare dove c'è un conflitto o una guerra, se posso rendermi utile. Ma andare semplicemente dove c'è una guerra non avendo possibilità di mostrarla non ha senso”, – ha chiarito il reporter.

A suo dire, la mancanza di interesse degli USA per la situazione del Caucaso del Nord è legata al fatto che questa “non influisce sulla vita di tutti i giorni degli americani comuni”, ma alla domanda se gli abitanti degli USA debbano conoscerla, Alpert ha risposto che devono.

Alpert ha ricordato che gli USA ora sono coninvolti in due guerre – in Afgahnistan e in Iraq.

“La guerra in Iraq è stata folle, ma la guerra in Afghanistan potrebbe avere una giustificazione come lotta per i diritti universali delle donne. Quando l'Afghanistan era sotto l'influenza sovietica ebbe la fioritura dell'istruzione femminile, fu l'età “dell'oro” per le donne, ma ora sono tornate nell'età della pietra. Io credo nei diritti delle donne, ho una figlia e voglio che abbia gli stessi diritti che ho io. Purtroppo la guerra in Afghanistan è risultata inefficace per molti anni. A nessuno è riuscito andare da loro e dirgli cosa bisogna fare”, – ha sottolineato il giornalista.

Alpert vede l'uscita da questa situazione nel ritiro delle truppe dall'Afghanistan. “Queste guerre danneggiano il nostro paese e non ne vedo l'efficacia. Penso che se guardassimo le truppe sovietiche in Afghanistan, potremmo trarne una lezione”, – ha aggiunto Jon Alpert.

Notiamo che nel Caucaso del Nord il conflitto armato continua. Solo a maggio qui sono state uccise o ferite non meno di 97 persone, tra cui 54 sono morte e 43 sono rimaste ferite. Tali sono i risultati dei calcoli di "Kavkazskij uzel", basati sui propri materiali e su informazioni da fonti accessibili. Tra i morti ci sono 29 sospetti membri di organizzazioni armate clandestine, 19 agenti delle strutture armate e sette civili. Nell'ultimo mese di primavera [3] nella regione vi sono stati sei atti terroristici e esplosioni, sono avvenuti non meno di 29 scontri armati, ci sono stati 11 attacchi contro civili, nove contro agenti delle strutture armate, un attentato a un funzionario. 11 esplosioni ai danni delle forze dell'ordine sono state prevenute.

Ricordiamo che ad aprile in Italia si è svolta la conferenza “Guerra e pace”, dedicata ai problemi della tolleranza nel Caucaso del Nord. Nel corso di essa il capo dell'associazione sociale di volontariato “Mondo in cammino” Massimo Bonfatti ha dichiarato indispensabile far conoscere a giornalisti e operatori sociali di diversi paesi la realtà del Caucaso del Nord attuale e dire la verità sulle guerre in Cecenia per fermare lo scontro armato.

"Kavkazskij uzel" segue la situazione in Daghestan, Cecenia, Inguscezia e Cabardino-Balcaria e tiene la cronaca degli scontri armati che si verificano là.

Nota della redazione: vedi anche le notizie "Ad aprile 71 persone sono rimaste uccise in scontri armati nel Caucaso del Nord ", "Sui monti dell'Inguscezia sono stati trovati due covi di militanti", "L'esame ha stabilito l'identità delle persone uccise nelle operazioni speciali nella regione di Stavropol' [4] e in Cabardino-Balcaria", "Un giornalista di un giornale islamico è stato ucciso in Daghestan", "In Cecenia la polizia ha arrestato un presunto fiancheggiatore di militanti".

Autrice: Julija Buslavskaja; fonte: corrispondente del “Kavkazskij uzel”


Kavkazskij uzel”, http://www.kavkaz-uzel.ru/articles/187410/


NoteInserisci link

[1] Centro giornalistico indipendente.

[2] Sic.

[3] Maggio, secondo la tradizione russa.

[4] Città della Russia meridionale.


http://matteobloggato.blogspot.com/2011/06/un-grande-reporter-e-una-guerra.html

17 giugno 2011

A proposito del modo di far politica in Russia (XVII)

La società civile si è data alla macchia




Oggi nel bosco di Chimki [1] si è aperto il forum degli attivisti della società civile “Antiseliger” [2]


L'“Antiseliger” è dedicato alla difesa della natura e allo sviluppo della società civile. Durerà fino al 20 giugno. Organizzatore dell'azione è il Movimento in difesa del bosco di Chimki.

All'“Antiseliger” sono stati invitati musicisti, artisti, attivisti per i diritti umani, ecologi, blogger. Ci si poteva registrare come partecipanti sul sito del forum. Il campo è stato ricavato nel bosco nella zona della strada rotabile di Vašutino [3]. Gli organizzatori dichiarano che in questi giorni non ostacoleranno la costruzione della strada Mosca-San Pietroburgo.

Alla conferenza stampa tenuta mercoledì 15 giugno Evgenija Čirikova ha detto che ognuno dei quattro giorni del forum è convenzionalmente diviso in due parti. La prima metà sono incontri con opinion leader. Per esempio, terranno lezioni i blogger Aleksej Naval'nyj e Il'ja Varlamov, i collaboratori della sezione russa di Transparency International Elena Panfilova e Ivan Ninenko, il critico d'arte Andrej Erofeev.

– Il problema fondamentale degli attivisti della società civile è che siamo terribilmente dissociati. Quando accade qualche disgrazia, non sappiamo a chi rivolgerci. All'“Antiseliger” ci sarà possibilità di avviare contatti, perché possiamo aiutarci efficacemente in casi concreti, – ha notato Čirikova. – La società civile non è quando qualcuno siede e riflette, ma quando le persone cominciano ad autoorganizzarsi. Allora da noi anche le autorità saranno miti.

La seconda metà di ogni giorno sarà culturale. Sono in programma esibizioni di gruppi musicali (tra questi i Televizor [4] e i Centr [5]) e letture dei versi di Nick Rock'n'Roll [6] e Vsevolod Emelin [7]. Il 19 giugno i partecipanti al forum pianteranno alberi nel varco e il 20, ultimo giorno del forum, ripuliranno il terreno.

Secondo Čirikova, inaspettatamente anche per se stessi gli organizzatori hanno alzato molto l'asticella:

– Quando abbiamo visto cosa bisognava realmente preparare perché tutto andasse bene, abbiamo capito che era un compito insormontabile. Infatti bisognava non solo far divertire le persone, ma anche nutrirle, metterle a dormire. Il cibo è molto semplice – cucina da campo militare. Sistemazione – nelle tende. Ci siamo buttati e abbiamo comprato alcune enormi tende militari. Normali condizioni da campo.

Il permesso delle autorità per questo tipo di azione non è richiesto: “Non è una manifestazione, non è un picchetto. E' semplicemente un incontro di persone nel bosco”, – ha chiarito Evgenija.

L'“Antiseliger” è protetto da volontari partecipanti al forum. Ljudmila Alekseeva [8], appoggiando l'iniziativa degli eco-attivisti, ha notato alla conferenza stampa che la sicurezza dell'azione si può garantire prima di tutto con la trasparenza e ha portato ad esempio il caso del “sottufficiale di perla” [9] Vadim Bojko. Alcuni testimoni hanno registrato su video come Bojko picchiasse una persona sul volto con il manganello alla manifestazione dell'opposizione del 31 luglio 2010 a San Pietroburgo. Al momento il procedimento penale contro il sottufficiale è in corso in tribunale.

Valutando il problema della costruzione dell'autostrada attraverso il bosco di Chimki, Ljudmila Alekseeva ha rammentato che dal lato di San Pietroburgo l'autostrada potrebbe passare attraverso Mjasnoj Bor [10], dove durante la Grande Guerra Patriottica morirono non meno di 100 mila soldati della 2.a armata d'assalto, tra cui c'era suo padre (vedi il reportage dei corrispondenti della “Novaja gazeta” sui lavori di ricerca a Mjasnoj Bor nel n. 52 del 18 maggio 2011). I combattenti finirono in una “sacca”, circondati dai tedeschi.

– Questi giacciono ancora là insepolti e adesso attraverso questa pineta vogliono… – Ljudmila Alekseeva non ha finito la frase e si è messa a piangere.

Mercoledì gli organizzatori dell'“Antiseliger” hanno inviato una lettera a Dmitrij Medvedev. In essa hanno chiesto al presidente di “esercitare i poteri stabiliti dall'art. 80 della Costituzione russa di garante dei diritti e delle libertà dell'uomo e del cittadino e di prendere le misure indispensabili per garantire ai partecipanti al forum la difesa dei diritti e delle libertà da parte dello stato. In particolare del diritti di spostarsi e scegliere liberamente il luogo di residenza (comma 1 dell'art. 27), del diritto di riunirsi pacificamente, senza armi (art. 31) e del diritto di ricevere, trasmettere, produrre e diffondere informazioni con qualsiasi mezzo legale (comma 4 dell'art. 29).

Gli organizzatori non temono provocazioni da parte delle “organizzazioni giovanili del Cremlino”, che potrebbero offendersi del nome del forum: “Ci si possono piuttosto aspettare provocazioni da parte delle forze dell'ordine”, – dice Čirikova.

Nikita Girin

16.06.2011, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2011/064/12.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Cittadina nei pressi di Mosca, il cui bosco (in teoria riserva naturale) sta venendo distrutto dai lavori dell'autostrada Mosca-San Pietroburgo.

[2] Contraltare al lago Seliger nella Russia centro-settentrionale, sulle cui sponde si tiene ogni estate un forum giovanile organizzato dai movimenti pro-Putin.

[3] Centro abitato nei pressi di Chimki.

[4] “Televisore”, gruppo rock in stile Depeche Mode.

[5] “Centro”, gruppo rock del genere New Wave.

[6] Nome d'arte del cantante punk Nikolaj Francevič Kuncevič.

[7] Vsevolod Olegovič Emelin, poeta difficilmente classificabile.

[8] Ljudmila Michajlovna Alekseeva, dissidente e attivista per i diritti umani.Inserisci link

[9] Chiamato così perché portava un braccialetto di perle.

[10] Letteralmente “Pineta della Carne”, paese della Russia settentrionale.


http://matteobloggato.blogspot.com/2011/06/il-bosco-della-societa-civile-contro-il.html

16 giugno 2011

A proposito del modo di far politica in Russia (XVI)

Il precedente della libertà




Due decenni fa ebbero luogo le prime elezioni dirette del presidente della Russia. Da queste è derivato il sistema elettorale odierno, il cui meccanismo chiave è descritto dalle parole di Putin: “Sediamoci e mettiamoci d'accordo”


Il 12 giugno 1991 Boris El'cin fu eletto capo dello stato russo (ancora RSFSR [1]), avendo raccolto più del 57% dei voti. Il suo ingresso finale e senza ritorno nella grande politica con questo acquistò una legittimità non più sociologica, ma di diritto. Ma al contempo conteneva in se ancora un granello, forse il più grande perfino in confronto alle repubbliche baltiche, del crollo dell'Unione Sovietica.

Allora El'cin non aveva concorrenti. Nikolaj Ryžkov, che occupò il secondo posto, giunse al traguardo con meno del 17 per cento. Lo seguì “l'eterno terzo” Vladimir Žirinovskij, che oggi è un esempio di stupefacente longevità politica, paragonabile solo ad altri modelli sovietici, che si descrivevano con il detto: “Da Il'ič a Il'ič [2] senza infarti e paralisi”.

Il vero concorrente per Boris El'cin era Michail Gorbačëv. Camuffare questa circostanza era già impossibile. Poi, a dire il vero, nella loro contrapposizione si immischiò una “terza forza” impersonata dai golpisti, il che, effettivamente, accelerò pure il crollo dell'URSS. E cioè – tale è il capriccio della storia – i golpisti, non volendo, giocarono a favore di El'cin.

Comunque si guardi a quella campagna elettorale, questa, come anche le elezioni del Soviet Supremo di due anni prima, come anche le elezioni del presidente dell'URSS, costituì un altro precedente di libertà: si chiarì che il popolo, attraverso l'immediata espressione della propria volontà, può scegliersi coscientemente un leader. A dire il vero, allora l'elettore pensava in misura minore che, scegliendo, condivideva tutti i rischi legati a questo o a quel leader. E che non c'era poi da lamentarsi delle mutate circostanze, se tu solo, essendo sano di mente e con la memoria forte, deponevi nell'urna una scheda con un certo cognome. Passano meno di dieci anni e lo stesso popolo si è stancato molto di questa responsabilità per la propria decisione e decide di non condividerla con il potere eletto. Le elezioni si trasformeranno non in un atto di azione attiva, ma in un atto di azione passiva, diventeranno solo la conferma dell'indifferenza verso chi si trova al primo (secondo la Costituzione) posto nello stato.

Quando si è verificato il peccato originale che ha portato al regime personalistico in Russia con la forma di governo bicipite quasi ignota alla storia e il fenomeno della leadership informale sotto l'insegna di “leader nazionale” [3]?

Quando si sparò sul parlamento? Forse. Quale che fosse il Soviet Supremo, aveva lo status di organo di potere legale. Ma a quel tempo il parlamento fece capire distintamente che era pronto ad andare oltre i limiti della propria legittimità. Il che provocò una breve, ma già sanguinosa guerra civile.

O quando le elezioni del 1996 furono vinte a caro prezzo ? Caro sia dal punto di vista della salute dello stesso Boris El'cin, sia dal punto di vista delle risorse finanziarie e di tecnologia politica spese nella campagna. Forse è anche il punto di peccato originale della democrazia, poiché proprio da qui è nato il capitalismo oligarchico, precursore dell'attuale “capitalismo degli amici”. Ma la verità è anche che l'ottica del 1996 era del tutto diversa: si aveva la scelta tra i comunisti e la cerchia più vicina a El'cin con “il loro padre spirituale Soskovec” [4]. E in questa situazione gli oligarchi che avevano puntato su Boris Nikolaevič sembravano il male minore.

Ma forse il peccato originale si verificò quando El'cin – volontariamente o volontariamente-forzatamente – si scelse un successore? Non fu il popolo che si scelse un candidato alla presidenza, ma lo stesso presidente. Non fu il popolo che determinò, con quale menù, costituito da vari politici, dovesse avere a che fare alle elezioni, ma una ristretta cerchia di alti funzionari politici.

Per esempio, Andrej Vavra, ex speech writer di El'cin, testimone di questi fatti, ritiene che proprio il modello di successione è risultato distruttivo per il sistema politico russo. Ecco il suo pensiero, espresso nel corso di una discussione alla fondazione Gajdar: “Penso che il punto sia stato la decisione che in quel momento si presentava come l'unica possibile, condizionata dalla concreta situazione politica. Intendo il principio della trasmissione del potere a una persona fidata (qui non parlo della persona, ma proprio dello stesso principio). Una decisione monouso, trasformatasi in breve tempo nel principio base di tutto il nostro sistema politico. Nei posti chiave si sono ritrovate persone fidate. “La propria gente”. Ma le persone fidate non possono fare tutto da sole. Devono pure appoggiarsi a persone fidate del genere – pure sulla “propria gente”. Di conseguenza il paese si è diviso tra “la propria gente” e “tutti gli altri”.

Secondo me è una definizione molto precisa dell'essenza del nuovo sistema politico, diventato per noi così abituale. E un vicolo cieco dal punto di vista dello sviluppo del paese.

Così il precedente della libertà attraverso alcune reincarnazioni ha portato alla formazione di un sistema politico non libero, di un sistema con una legittimità limitata e una non piena rappresentanza degli interessi della popolazione della Russia.

Così il precedente della libertà ha portato al potere - letteralmente “al manico” – il suo pieno opposto. Antagonista a tutto ciò che pure ha in qualche modo costruito e costruisce la propria carriera politica partendo dall'opposto – dagli anni '90, dal decennio di El'cin.

…Vent'anni è molto. Quale burrone divide il 1950 dal 1970, il 1970 e il 1990! Anche la distanza tra il 1991 e il 2011 è grande, ma il principio di successione in questi regimi, come si è chiarito, non è di minore importanza che, diciamo, tra quello staliniano e quello brezneviano. Uno è derivato dall'altro. Il paradosso della storia sta nel fatto che dalle elezioni libere del 1991 sia derivato il sistema elettorale della Russia odierna, il cui meccanismo chiave è descritto personalmente da Putin V.V.: “Sediamoci e mettiamoci d'accordo”.

Non c'è con chi lamentarsi di questa situazione. Lo stesso popolo russo, a nome del quale è scritta la Costituzione, ha rinunciato volontariamente alla propria naturale e legittima funzione – essere la fonte del potere. E non c'è nessuno che può correggere questa situazione, tranne il popolo russo.

Se, certamente, lo vuole ancora. E non muore d'invidia, ricordando se stesso a venti anni di distanza – giovane, passionale, pieno di forze e di aspirazione alla libertà.

Andrej Kolesnikov
osservatore della "Novaja gazeta"

14.06.2011, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2011/063/11.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Rossijskaja Sovetskaja Federativnaja Socialističeskaja Respublika (Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa).

[2] Cioè da Vladimir Il'ič Lenin a Leonid Il'ič Brežnev.Inserisci link

[3] Titolo quasi ufficiale di Putin.

[4] Oleg Nikolaevič Soskovec (vice-premier), Michail Ivanovič Barsukov (capo dello FSB – Federal'naja Služba Bezopasnosti, “Servizio Federale di Sicurezza” –, il principale servizio segreto) e Aleksandr Vasil'evič Koržakov (capo delle guardie del corpo di El'cin) furono defenestrati il 20 giugno 1996. Sarebbero stati questi a far arrestare due membri dello staff elettorale di El'cin, trovati in possesso di mezzo milione di dollari di ignota origine (la vicenda fu poi insabbiata). Il capo dello staff, il politico e imprenditore Anatolij Borisovič Čubajs, definì Soskovec “padre spirituale” degli altri due defenestrati.


13 giugno 2011

A proposito di Budanov (II)

Martagov: la lista dei kamikaze e l'omicidio di Budanov sono anelli di una sola catena

12 giugno 2011, 19.44

La notizia di una lista apparentemente a disposizione di potenziali kamikaze del Caucaso del Nord e il recente omicidio dell'ex colonnello Budanov sono “anelli di una sola catena” e perseguono lo scopo di destabilizzare la situazione nella regione, ritiene il politologo Ruslan Martagov.

In precedenza "Kavkazskij uzel" ha riferito che il giornale “Life News” [1], rimandando a una fonte nelle forze dell'ordine dello SKFO [2] ha pubblicato una lista di persone, che vengono definite i più pericolosi terroristi del Caucaso del Nord, potenzialmente pronti a compiere atti terroristici in qualsiasi punto della Federazione Russa. Secondo il giornale, la maggior parte delle persone della lista sono nativi dell'Inguscezia. Tuttavia il ministero degli Interni inguscio ha dichiarato che questa notizia non corrisponde assolutamente alla realtà – nella lista, secondo l'ente, “non c'è un solo nome di radici ingusce”.

Secondo il capo del dipartimento per la collaborazione con le forze dell'ordine e le strutture armate della Repubblica Cecena Achmed Dakaev [3], non gli è noto nulla di alcuna lista di kamikaze, che consisterebbe di 52 nativi del Caucaso del Nord.

Anche per Dakaev, a suo dire, risulta una novità che questa “lista sia stata resa nota ad alcuni mezzi di informazione di massa da fonti delle forze dell'ordine dello SKFO”. Achmed Dakaev si è rifiutato di commentare questa notizia, dichiarando che “commentare ciò che in realtà non esiste non ha senso”.

A un'opinione analoga si tiene anche Ruslan Martagov. “Dubito che ci sia una simile lista di kamikaze. Se fosse disponibile, allora perché gli agenti dei servizi segreti non attuano misure per ricercarli e arrestarli? Non è una sola persona, ma più di cinquanta, inoltre tra queste, come testimoniano alcuni mezzi di informazione di massa, ci sono anche delle donne”, – ha notato. – Cioè, una delle due: o non sono capaci di trovarli oppure non vogliono. Come durante la prima campagna cecena non potevano trovare, per esempio, lo stesso Basaev”.

Martagov ritiene che le voci sul fatto che ci sia tale lista sono state diffuse dai mezzi di informazione di massa in modo speciale come “uno dei metodi per dare un giro di vita al tema del Caucaso del Nord”. “Non dimenticate che presto ci saranno le elezioni. La situazione nel paese fa sì che il sostegno ai candidati al posto di presidente del paese cada. Oggi l'unica cosa a cui ci si possa appoggiare è il creare di nuovo il pericolo che viene dal Caucaso. E come fu nel 1999, intervenire nel ruolo di salvatore”, – afferma il politologo.

Secondo Martagov, il recente fatto di Budanov “per l'appunto conferma queste supposizioni”. “Sono convinto che sia la bufala delle liste di kamikaze, sia l'omicidio dell'ex colonnello siano anelli di una sola catena. C'è un'agitazione intenzionale della situazione”, – ha dichiarato.

Tra l'altro il politologo ha espresso dubbi sul fatto che all'omicidio dell'ex colonnello Jurij Budanov possano aver preso parte dei ceceni. “Se ci sono anch'essi, hanno preparato e compiuto questa operazione insieme ad agenti dei servizi segreti – è stato fatto tutto troppo professionalmente. A conferma di questa versione parla il fatto che Budanov, come riferiscono i mezzi di informazione di massa, avendo notato che lo seguivano, aveva chiesto una scorta. Ma gli è stata rifiutata”, – ha notato Ruslan Martagov.

Ricordiamo che l'ex colonnello Jurij Budanov, che nel 2003 fu condannato per l'omicidio dell'abitante della Cecenia Ėl'za Kungaeva e nel 2009 fu liberato dalla colonia penale, è stato ucciso il 10 giugno con quattro colpi d'arma da fuoco alla testa a Mosca. Tra le versioni dell'omicidio di Budanov, le forze dell'ordine indicano la vendetta e la provocazione. E' già noto che gli assalitori erano due e che sono fuggiti su una Mitsubishi Lancer bianca, la macchina è stata trovata.

Il 25 luglio 2003 il tribunale riconobbe l'ex colonnello Budanov colpevole del sequestro e dell'omicidio della ragazza cecena Ėl'za Kungaeva e lo condannò a 10 anni di reclusione. A disposizione degli inquirenti c'erano anche testimonianze del fatto che prima della morte la ragazza avesse subito violenza, tuttavia in seguito gli inquirenti non presero in esame questo episodio. Il tribunale privò Budanov anche del titolo di colonnello, dell'Ordine del Coraggio e del diritto di svolgere determinate funzioni per 3 anni. Nel gennaio 2009 Budanov fu scarcerato con la condizionale.

Nota della redazioni: vedi anche le notizie "Un'altra persona implicata nel caso dell'atto terroristico a Domodedovo è stata arrestata dal tribunale di Mosca", "Nella macchina di due abitanti del Daghestan uccisi sono state trovate una bomba e una cintura da kamikaze", "In Inguscezia si sono arresi due presunti organizzatori dell'esplosione al mercato di Vladikavkaz [4]", "117 civili sono morti in scontri armati nel Caucaso del Nord nel 2010".

Autrice: Tat'jana Gantimurova; fonte: corrispondente del “Kavkazskij uzel”


Note

[1] Giornale russo on line.Inserisci link

[2] Severo-Kavkazskij Federal'nyj Okrug (Distretto Federale del Caucaso del Nord).

[3] Qui e altrove il rilievo grafico è nell'originale.

[4] Capitale dell'Ossezia del Nord.


http://matteobloggato.blogspot.com/2011/06/false-liste-e-veri-omicidi-per-tornare.html

12 giugno 2011

A proposito di Budanov

Jurij Budanov vivo era pericoloso per i ceceni. Budanov morto è pericoloso per noi tutti




L'odio a livello etnico non finisce con la vendetta di sangue, ma con un lago di sangue


Dal '94, quando è cominciata la guerra cecena, non è noto un solo fatto di vendetta di sangue da parte di ceceni su militari russi. Tuttavia ogni volta che gli attivisti per i diritti umani hanno chiesto che si facessero nomi di militari federali, numeri di reparto e appartenenza alle strutture armate di chi ha svolto ripuliture [1] di massa in Cecenia o bombardamenti, di chi ha sequestrato e ucciso civili in Cecenia, i generali russi hanno rammentato l'antica usanza vainaca [2] della vendetta di sangue e si sono rifiutati di fare i nomi dei criminali di guerra. Noi ve li faremo e I ceceni si vendicheranno di loro. Così si sono scusati.

Negli anni della guerra, che ufficialmente è terminata solo l'anno scorso (è stato abrogato il regime di operazione antiterroristica in Cecenia), solo tre militari russi sono stati condannati per quelli che nella lingua del diritto internazionale si chiamano “crimini di guerra”.

L'agente del GRU [3] Ul'man, l'agente dell'OMON [4] Lapin e il colonnello dell'esercito russo Budanov. Li hanno condannati grazie agli sforzi degli attivisti per i diritti umani russi, di normali giornalisti e anche – per molti versi – grazie al presidente ceceno Achmat-Chadži Kadyrov. Proprio con lui sono diventati possibili questi tre processi esemplari a federali.

Con suo figlio – Ramzan Kadyrov – il tema dei crimini di guerra compiuti in Cecenia non si solleva affatto. Questo, evidentemente, è un patto di non aggressione siglato tra il Cremlino e Kadyrov-junior, il cui nome spesso appare legato ad omicidi. Ma quasi sempre sono omicidi di ceceni e mai di soldati russi.

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha emesso un'enorme quantità di sentenze su casi di omicidi di massa di civili ceceni. Si è scritto molto di uno di questi crimini – la ripulitura di massa del 2001 nel villaggio ceceno di Aldy [5] da parte dell'OMON di San Pietroburgo, in conseguenza della quale morirono più di 50 persone, tra cui dei bambini (il più piccolo aveva solo 2 mesi). Il governo russo ha presentato alla Corte di Strasburgo la lista degli agenti dell'OMON che compirono la ripulitura. Solo nei confronti di due agenti dell'OMON è stato aperto un procedimento penale, entrambi sono ricercati a livello federale. Nessuno degli agenti dell'OMON di Piter [6] che hanno ripulito Aldy, diventati simbolo della seconda guerra cecena, è stato punito dai tribunali russi o dalle usanze vainache.

Non si sono notati vendicatori ceceni nel circondario di Chanty-Mansijsk [7], dove vivono secondo l'anagrafe i complici ricercati a livello federale di Sergej Lapin, più noto con il soprannome Kadet [8]. I “Chanty-Mansi” [9], come chiamavano l'OMON di Chanty-Mansijsk in Cecenia, figurano in centinaia di procedimenti penali, avviati per sequestri e torture ai danni di ceceni. La base dei “Chanty” a Groznyj è stata demolita, anche se l'edificio era del tutto integro. Solo in tal modo era possibile distruggere le tracce di sangue negli uffici, sui muri intonacati.

Molti ceceni hanno visto queste tracce. Dal sotterraneo dell'edificio, dopo l'uscita dell'OMON di Chanty-Mansijsk dalla Cecenia, furono estratte decine di corpi martoriati. Tuttavia i notiziari russi non hanno registrato un solo caso di vendetta di sangue, nessun “Chant” è stato massacrato o ucciso a colpi d'arma da fuoco. Solo uno è stato condannato – Sergej Lapin. Semplicemente gli è andata male, perché contro di lui è intervenuto un poco numeroso, ma molto efficace gruppo di persone: i semplici, ma molto coraggiosi genitori di Zelimchan Murdalov, sequestrato da Lapin, la giornalista Anna Politkovskaja, l'avvocato Stanislav Markelov, l'attivista per i diritti umani Natal'ja Ėstemirova e il presidente ceceno Achmat-Chadži Kadyrov.

Budanov, Ul'man e Lapin sono stati processati. Questo è molto importante. Cioè, nonostante la forte pressione della società, che ha innalzato tre criminali al rango di eroi russi, i ceceni hanno preferito il processo russo aperto e non l'anonimo linciaggio [10].

La vendetta di sangue è un'usanza per la propria gente. Ora non c'è alcuna base fattuale per parlare di una vendetta di sangue nel caso della morte di Jurij Budanov. Non si può parlare di questo. Bisogna esigere dagli inquirenti indagini di qualità e dalla leadership del paese un serio controllo sulle indagini.

Jurij Budanov vivo era pericoloso per i ceceni. Budanov morto è pericoloso per noi tutti. L'odio a livello etnico non finisce con la vendetta di sangue, ma con un lago di sangue.



Elena Milašina

10.06.2011, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2011/062/33.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Nome dato alle azioni repressive.

[2] I Vainachi sono gli antenati di Ceceni e Ingusci.

[3] Glavnoe Razvedyvatel'noe Upravlenie (Direzione Centrale dell'Intelligence), il servizio segreto militare.

[4] Otdel Milicii Osobogo Naznačenija (Sezione di Polizia con Compiti Speciali), sorta di Celere, nota per la sua durezza.

[5] Novye Aldy, sobborgo della capitale Groznyj.

[6] Nome colloquiale di San Pietroburgo.Inserisci link

[7] Città della Siberia occidentale.

[8] Cadetto.

[9] Chanty e Mansi sono popoli ugro-finnici che hanno dato il nome alla città e alla regione.

[10] In russo sud Linča, “processo di Linch”.


http://matteobloggato.blogspot.com/2011/06/considerazioni-sulla-morte-di-budanov.html

11 giugno 2011

A proposito di misericordia

Forma di vita – misericordia





Misericordia è la prontezza a dare aiuto a chi ne ha bisogno per compassione.
Dizionario monolingue di lingua russa redatto da D.N. Ušakov

Ho conosciuto il sacerdote Arkadij Šatov circa 15 anni fa. Allora lavoravo alla “Nezavisimaja gazeta” [1] ed ecco che arriva una sorta di redattore del supplemento tematico “Religione” Natal'ja Archipova e dice: “Ascolta! Ho trovato qui casualmente un sacerdote, un tipo del tutto sconvolgente, assolutamente vero, andiamo, facciamo un reportage…”

Arriviamo, facciamo conoscenza e subito cadono tutti i dubbi, ecco che ci sono persone così autentiche, la cui chiarezza, nitidezza e affidabilità una volta per sempre vincono qualsiasi scetticismo, qualsiasi incredulità.

In epoca sovietica lavorò come infermiere in un ospedale e vide tante di quelle sofferenze e di quella rozzezza che decise di diventare sacerdote per portare misericordia nella vita di tutti i giorni di quegli stessi ospedali, per esempio…

Intendeva la misericordia come un lavoro. Anche oggi la intende così.

Nel 1990 padre Arkadij (Šatov) insieme alla sua parrocchia sul territorio del 1° Ospedale Cittadino “N.I. Pirogov” (costruito 200 anni prima su progetto dell'architetto Matvej Kazakov) restaurò la chiesa di san Demetrio, zarevic [2] ucciso (là in epoca sovietica c'era certamente un magazzino) e creò il primo istituto medico ortodosso in Russia dopo la rivoluzione del 1917, che già da vent'anni prepara infermiere per la sanità nazionale.

Alla sanità nazionale è andata bene da non dirsi che da noi ci siano tale istituto e tali infermiere!

Le prime diplomate di questo istituto erano donne del tutto adulte, con due lauree o un dottorato, inoltre madri di quattro o più figli. Queste volevano appassionatamente (e sinceramente) cambiare la propria vita e intendendo la misericordia alla lettera: come cuori amorosi volevano dedicarsi proprio a opere di misericordia. Insieme a padre Arkadij andarono nei reparti più difficili del 1° ospedale cittadino, dai malati più gravi e disperati e non li accudivano, li sanavano [3]. Dandosi il cambio, giorno e notte non si allontanavano dai letti dei malati…

I medici mi raccontavano, che inizialmente non credevano alle sorelle della misericordia piombategli addosso, cercava di strappare a padre Arkadij cosa gli servisse, ma poi si riempirono di fiducia e gratitudine e con stupore scoprirono che con l'arrivo di queste sorelle della misericordia era calata la mortalità tra i malati più gravi, era calata perché “era migliorata la cura per loro”. Semplicemente la cura…

La professione di sorella della misericordia, un tempo diffusa nell'Impero Russo, adesso è rinata. Le diplomate ottengono titoli di tipo statale (da quando esiste l'istituto ci sono stati 22 diplomi). La preparazione delle specialiste e la fornitura di conoscenze, la formazione di attitudini e capacità è svolta nell'istituto secondo lo standard statale di istruzione. Ma la principale differenza dell'istituto dagli altri sta nel fatto che in esso insegnano amore, misericordia e compassione per il prossimo. Sarete d'accordo che è un compito difficile.

Alla sezione diurna giungono ragazze e anche ragazzi di diverse famiglie, credenti e non credenti. La cosa importante è che l'adolescente stesso voglia studiare qui e non compia la volontà dei genitori. E ancora più importante è il desiderio di aiutare le persone. Perché a volte riportare una persona alla vita normale è più importante che salvarla dalla stessa morte.

Nell'istituto c'è una materia, si chiama “duchovnye osnovy miloserdija[4] (DOM). Come nessuna casa [5] può restare stabile senza fondamenta, così il fare il bene è impossibile senza fede e amore.

Già nel primo anno gli studenti fanno pratica in molti ospedali di Mosca: il 1° ospedale clinico, la clinica infantile “N.G. Speranskij”, gli ospedali clinici n. 4 e n. 7 e altri, ma la base principale dell'istituto è l'ospedale di sant'Alessio.

Nell'istituto delle sorelle della misericordia insegnano a curare i malati, di regola, dopo malattie gravi e, di regola, sono pazienti costretti a letto, con piaghe da decubito e atrofie muscolari, qui le conseguenze di patologie gravi si curano con un metodo speciale.

E perciò adesso gli studenti dell'istituto già dal primo anno vanno per la maggiore, li chiamano a fare pratica tutti gli ospedali di Mosca, strappandoseli l'un l'altro…

Senza guardare i voti nei libretti, ma guardandoli negli occhi, la frase fatta “Gli occhi sono lo specchio dell'anima” qui è adeguata come non mai. In altro modo è semplicemente impossibile valutare quel grado di compassione per il prossimo.

La misericordia non ha nazionalità, appartenenza politica e neanche una propria fede. Sì, le cose si sono messe in modo che le sorelle della misericordia e l'ortodossia sono recepiti da noi come qualcosa di unico. Ma non è proprio così. Perlomeno di questo è convinto il vescovo Arkadij Šatov: “Cristo stesso, parlando di misericordia, portò ad esempio un samaritano, che non aveva la vera fede, – spiega padre Arkadij, – ma aveva compassione e aspirazione ad aiutare. Un esempio più vicino – le infermiere della Grande Guerra Patriottica [6]. Le giovani del Komsomol [7], lavorate fin dalla scuola dalla propaganda dell'ateismo, quali miracoli di abnegazione, immolazione e amore hanno compiuto!”.

Natal'ja Preobraženskaja

09.06.2011, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2011/062/17.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] “Giornale indipendente” (che per un buon periodo ha fatto onore al nome).

[2] Lo carevič era il figlio maggiore erede dello zar. Dimitrij era figlio di Ivan il Terribile e morì ucciso nel corso della lotta per il trono dopo la morte del padre.

[3] I verbi hanno una radice comune in russo, ma u-chaživat' indica il “prendersi cura”, vy-chaživat' il “guarire, sanare”.

[4] “Basi Spirituali della Misericordia”.

[5] Dom in russo.

[6] La guerra contro la Germania nazista.

[7] Kommunističeskij Sojuz Molodëži (Unione della Gioventù Comunista).


http://matteobloggato.blogspot.com/2011/06/unaltra-russia.html