30 dicembre 2010

A proposito di giornalismo (II)

Timošenko: nel rapporto del CPJ non sono entrate informazioni sulla morte di tre reporter russi

Dic. 27, 2010, 13:24

A dicembre il “Committee to Protect Journalists” [1] ha pubblicato un rapporto speciale sugli omicidi di giornalisti nel mondo. Fra l'altro nella lista dei morti non sono entrati tre giornalisti daghestani uccisi. Secondo i dati della “Glasnost Defense Foundation [2], questi omicidi erano legati alla loro attività professionale.

“Quanto al rapporto speciale, è venuto fuori stranamente che la Russia manca nella lista del CPJ (Committee to Protect Journalists). Su 12 casi di uccisioni di giornalisti registrati nel 2010 dalla GDF (Glasnost Defense Foundation) perlomeno tre casi sono molto simili a omicidi legati all'attività professionale”, – ha raccontato al corrispondente di "Kavkazskij uzel" il capo del servizio di monitoraggio della “Glasnost Defense Foundation”
Boris Timošenko.

“Sono gli omicidi in Daghestan di Sultan Sultanmagomedov,
Šamil' Aliev e Said Ibragimov. Negli ultimi nove casi in Russia non è tutto così evidente”, – chiarisce Timošenko.

Il Comitato per la difesa dei giornalisti (Committee to Protect Journalists, CPJ) il 15 dicembre a New York ha pubblicato un rapporto speciale dedicato agli omicidi di giornalisti nel 2010. I suoi autori ritengono che il paese più pericoloso per la stampa quest'anno sia diventato il Pakistan, dove nel 2010 si sono attivati in modo significativo i terroristi kamikaze.

Gli esperto del CPJ comunicano che come minimo otto giornalisti sono stati uccisi in Pakistan per la loro attività professionale. Secondo i dati del CPJ, complessivamente nel 2010 sono stati uccisi non meno di 42 giornalisti. La maggior parte delle morti di giornalisti nell'anno è dovuta ad attacchi di terroristi kamikaze e a scontri armati nelle strade. Tra gli uccisi cresce la quota di rappresentanti del giornalismo su Internet.

Nel rapporto si nota particolarmente che circa il 90 per cento degli omicidi di giornalisti restano casi irrisolti. Nel documento si sottolinea che il comitato per la difesa dei giornalisti conduce una Campagna mondiale per la lotta all'illegalità, facendo particolare attenzione alle Filippine e alla Russia, due paesi con un gran numero di casi irrisolti di omicidi di giornalisti”.

In seguito gli autori del rapporto scrivono che “di omicidi di giornalisti in Russia legati alla loro attività professionale quest'anno non c'è stata comunicazione”.

Timo
šenko ha notato che gli omicidi dei tre giornalisti daghestani sono tutti comunque legati alla loro attività professionale. Perfino se si trattava di qualche caso commerciale – tutti questi casi erano legati ai mezzi di informazione di massa.

Lo specialista della “International Federation of Journalists” (IFJ)
John Crowfoot ha raccontato al corrispondente del “Kavkazskij uzel” che la sua organizzazione insieme alla “Glasnost Defense Foundation” e il “Center for Journalism in Extreme Situations” ha già reso nota la banca dati sui giornalisti morti in Russia.

A breve tempo sarà pubblicata una seconda banca dati, in cui entreranno non solo casi di aggressioni e uccisioni di giornalisti, ma anche casi di minacce a giornalisti.

“Come mostra la pratica, praticamente tutti i giornalisti che hanno subito aggressioni sapevano in anticipo che poteva accadergli qualcosa. La maggior parte di essi aveva ricevuto minacce. Perciò abbiamo deciso di inserire una nuova sezione nella banca dati sui giornalisti russi. Questo darà notorietà a casi simili e forse aiuterà in qualche modo gli stessi giornalisti, nei cui confronti ci sono state minacce”, – ha raccontato John Crowfoot.

Secondo lui, in seguito si programma perfino di descrivere come i giornalisti siano usciti dalla difficile situazione creatasi – se hanno fatto dichiarazioni alla polizia, alla procura, alle organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani e a quelle di giornalisti. Questo, secondo Crowfoot, può diventare un qualche aiuto concreto per i giornalisti russi che si trovano in situazioni complesse e non sanno o non si decidono a rivolgersi a qualcuno.

“Non si aveva molta voglia ora di separare i casi di uccisioni di giornalisti che hanno illustrato temi caucasici, e non ci siamo messi per ora a separarli dagli altri. Ma effettivamente i fatti sono evidenti – nel Caucaso del Nord, in particolare in Daghestan, ci sono gli indici più tristi”, – ha notato allora John Crowfoot.

Al momento presente la banca dari comune dell' IFJ, della “Glasnost Defense Ffoundation” e del “Center for Journalism in Extreme Situations” si trova su Internet.

Secondo Boris Timo
šenko, se nella nuova banca date dei giornalisti russi uccisi sarà introdotta la sezione “minacce”, la statistica sulla Russia sarà molto grande.

La “Glasnost Defense Foundation” ha pubblicato i propri dati sui giornalisti uccisi in Russia nel 2010. Cinque di essi sono giornalisti del Caucaso del Nord, di cui tre del Daghestan.

Così nella triste lista è entrato Evgenij Fedotov di
Čita [3], ucciso il 19 ottobre da un proprio conoscente, secondo i dati delle indagini. La versione sul legame dell'omicidio con l'attività professionale del giornalista viene verificata.

Dajan
Šakirov della regione di Kirov [4] è morto nell'esercito. Il giovane giornalista del “Čeljabinskij rabočij” [5] teneva dei diari nel periodo di servizio, programmando di pubblicarli in seguito. Presumibilmente si è ucciso, tuttavia sul suo corpo sono stati trovati numerosi lividi ed emorragie interne. E' stato avviato un procedimento penale per “induzione al suicidio”. Il diario di Dajan Šakirov è scomparso. Šakirov è stato insignito post-mortem del premio Sacharov per il giornalismo.

Il 1 agosto in Cecenia in conseguenza di un DTP
[6] sulla strada Groznyj-Šatoj [7] insieme alla propria famiglia è tragicamente perita la corrispondente speciale del "DOŠ" [8] Malika Betieva, insignita del premio Sacharov per il giornalismo nel 2009. In precedenza alla redazione, temendo per la vita e la sicurezza di Malika, toccò pubblicare i suoi materiali sotto pseudonimo e talvolta a rinviare del tutto la pubblicazione di singoli suoi articoli.

Il 25 luglio nella repubblica di Kara
čaevo-Circassia è morta la corrispondente di "Kavkazskij uzel", la 26enne Bèlla Ksalova, che in precedenza si era lamentata di pedinamenti. Verso le 21, non lontano dalla sua casa a Čerkessk [9], l'ha investita un'automobile. Secondo i dati del ministero degli Interni della Karačaevo-Circassia, la ragazza aveva attraversato la strada in “un punto non stabilito”.

Secondo i dati preliminari dell'inchiesta, il guidatore dell'automobile che ha investito Bèlla Arsen Abajchanov al momento dell'incidente era sobrio e non è fuggito dal luogo del fatto. Era al volante di una Volga
[10] di servizio del Rosprirodnadzor [11]. Bèlla è stata portata alla clinica repubblicana della Karačaevo-Circassia, dov'è deceduta per i traumi subiti.

Il 25 giugno a Mosca è stato ucciso il telegiornalista Dmitrij Okkert. Secondo i dati della CKP
[12] della Federazione Russa, il giornalista è deceduto per una ferita da coltello al collo. I rappresentanti della SKP hanno annunciato che esamineranno tutte le versioni possibili, compresa quella legata alla sua attività professionale.

Il 23 febbraio nel Territorio della Transbajkalia
[13] nella città di Chilok è stato ucciso l'ex corrispondente del giornale “Zabajkal'skij rabočij[14], lo scrittore Ivan Stepanov.

Il 18 marzo a Kaliningrad
[15] è stato ucciso il noto giornalista e blogger Maksim Zuev. Il suo corpo è stato trovato in un appartamento di un condominio in via Krasnaja nella città di Kaliningrad con segni di morte violenta – ferite lacero-contuse al collo e al tronco.

Il 13 maggio nel distretto di Sergokala
[16] in Daghestan è stato ucciso il direttore del canale televisivo locale TBS Said Ibragimov. Insieme a una squadra di riparatori accompagnata da una brigata della polizia andava a ristabilire un ripetitore televisivo, mitragliato il giorno prima dai militanti. Vicino al paese di Ajazi la Niva con i riparatori e la UAZ della polizia sono cadute in una trappola. I militanti hanno fatto esplodere una bomba sulla strada seguita dalle macchine e poi hanno aperto il fuoco su di esse. Di conseguenza sono morte cinque persone, tra cui Said Ibragimov e quattro sono rimaste ferite.

Il direttore della compagnia televisiva “Macha
čkala-TV” [17], ex capo della sezione per l'istruzione islamica dell'amministrazione spirituale dei musulmani [18] del Daghestan Magomedvagif (Sultan) Sultanmagomedov è stato ucciso l'11 agosto a Machačkala.

L'attentato a Sultanmagomedov è stato compiuto di mattina – l'automobile su cui si trovava è stata colpita da ignoti con armi automatiche all'incrocio dei viali
Šamil' e Akušinskij. Sultanmagomedov è stato portato in ospedale, ma non sono riusciti a salvare il giornalista – è deceduto per le ferite subite, senza riprendere conoscenza.

Sultanmagomedov era diventato direttore della compagnia televisiva “Macha
čkala-TV” dopo la morte del precedente direttore Abdulla Ališaev, ucciso a colpi d'arma da fuoco il 2 settembre 2008. Sultanmagomedov, così come il suo predecessore Ališaev, era un avversario ideologico dei wahhabiti [19]. Sull'esplosione dell'automobile sono stati aperti due procedimenti penali per due articoli del Codice Penale della Federazione Russa – “tentato omicidio” [20] e “uso illegale di munizioni e di sostanze esplosive”.

Il 5 maggio a Machačkala è stato ucciso
Šamil' Aliev, creatore e capo delle stazioni radio “Priboj” [21] e “Vatan” [22], direttore del canale televisivo “TNT [23]-Machačkala”. La sua automobile è stata colpita con armi automatiche da ignoti, che sono rapidamente fuggiti dal luogo del delitto. In conseguenza dell'attacco sono rimaste uccise due persone – si tratta di Šamil' Aliev e della sua guardia del corpo Saidmagomed Ubajdullaev, l'autista Ramzan Magomedov è rimasto ferito.

Ricordiamo che il problema delle uccisioni di giornalisti russi è stato discusso anche alla conferenza internazionale "Garanzia per un futuro sicuro del giornalismo in Europa Orientale" tenuta a Mosca dall'8 al 10 dicembre.

Nota della redazione: vedi anche le notizie “Ad Astrachan' [24] il tribunale ha rimandato al procuratore il caso del pestaggio di giornalisti durante le elezioni del sindaco della città", "Salagaev [25]: il primo ministro della Federazione Russa ha dato garanzie sulla sicurezza della giornalista Aslamazjan [26], "A Mosca il 19 novembre avrà luogo una proiezione alternativa del film sulla giornalista Baburova".

Autore: Dmitrij Florin; fonte: corrispondente del “Kavkazskij uzel”


[1] Organizzazione internazionale in difesa della libertà di stampa.

[2] Fondazione russa in difesa della libertà di stampa.

[3] Città della Siberia meridionale.

[4] Città della Russia centrale.

[5] “Il Lavoratore di Čeljabinsk”, giornale nato a Čeljabinsk (città ai piedi degli Urali nella Russia asiatica) come organo rivoluzionario.

[6] Dorožno- Transportnoe Proisšestvie (Incidente legato ai Trasporti Stradali).

[7] Šatoj è un importante villaggio della Cecenia meridionale.

[8] “Parola” in ceceno.

[9] Città della parte settentrionale della Repubblica di Karačaevo-Circassia.

[10] Automobile russa.

[11] Nome colloquiale dell'Obščestvennyj sovet pri Federal'noj službe po nadzor v sfere prirodopol'zovanija (Consiglio sociale presso il Servizio Federale nell'ambito dello sfruttamento delle risorse naturali).

[12] Sledstevennaja Komissija pri Prokurature (Commissione Inquirente presso la Procura).

[13] Territorio della Siberia meridionale.

[14] “Il Lavoratore della Transbajkalia”, giornale nato come organo rivoluzionario.

[15] Capitale dell'omonima enclave russa sul Mar Baltico.

[16] Villaggio del Daghestan centro-meridionale.

[17] Machačkala è la capitale del Daghestan.

[18] Principale centro culturale-spirituale islamico.

[19] Termine usato in Russia per definire gli estremisti islamici in generale.

[20] Sic.

[21] “Risacca”.

[22] “Patria” in àvaro, lingua maggioritaria del Daghestan.

[23] Tvoë Novoe Televidenie (La Tua Nuova Televisione), con allusione all'esplosivo...

[24] Città russa alla foce del Volga.

[25] Èduard Michajlovič Salagaev, presidente dell'associazione nazionale russa dei giornalisti televisivi e radiofonici.

[26] Manana Al'bertovna Aslamazjan, giornalista russa di origine armena sottoposta a persecuzioni giudiziarie e costretta a riparare in Francia.


http://matteobloggato.blogspot.com/2010/12/anche-le-organizzazioni-di-settore.html

27 dicembre 2010

A proposito della resistenza caucasica

Chi sono gli abreki [1]?

25.12.1015:56


Da più di sei secoli nella letteratura mondiale vive la leggenda del nobile brigante Robin Hood e agli studiosi finora non è ancora riuscito stabilire se Robin Hood sia esistito in realtà. “Robin un fiero brigante era, visse egli, visse egli senza conoscer paura e allegre canzoni amò” – scrisse l'ignoto autore della “Ballata di Robin Hood” della fine del XV secolo, presentando il proprio eroe. La maggior parte dei ricercatori concorda sull'idea che Robin Hood sia un simbolo letterario di eroe fiero e indipendente – il brigante, che aiutava gli orfani e i diseredati. Ma per i ragazzini caucasici idoli della lotta per la giustizia sono diventati delle persone reali, che hanno costituito la gloria leggendaria del movimento di liberazione del Caucaso.
Dopo il compimento della conquista del Caucaso nel XIX secolo, le rivolte, scoppiando una dopo l'altra, facevano venire la febbre alla società caucasica, la regione periodicamente esplodeva e bruciava da Derbent [2] all'Abcasia. Una delle forme di resistenza alla politica dello zarismo diventò il movimento partigiano montanaro – quello degli abreki. Gli abreki c'erano in ogni popolo caucasico, ma i più noti erano il ceceno Zelimchan, il lezgino [3] Kiri Buba, il georgiano Data Tutašchi, l'inguscio Achmed Chučbarov. Gli abreki erano guerrieri solitari, vendicatori, che, disperando di ottenere giustizia, fuggivano sui monti e cominciavano la propria guerra con un sistema estraneo.
Il destino dell'abrek ceceno Chasuch [4] Magomadov, ucciso da agenti del KGB nel marzo del 1976, è diventata una delle più chiare e tragiche storie del movimento di resistenza. Negli anni '30, quando l'enorme paese era coperto da un'ondata di repressione, al potente stato totalitario dichiarò guerra il ceceno Chasucha e per quarant'anni condusse una lotta impari in nome del diritto di vivere liberamente sulla terra dei suoi avi. Era nato in un piccolo paese di alta montagna del distretto di Šatoj [5] nel maggio del 1905 in una famiglia numerosa. I dieci figli dei Magomadov crebbero, come in tutti i villaggi montani, senza lussi: il vestito del maggiore passava al minore e così finché non si consumava del tutto. Chasucha voleva istruirsi e lo mandarono a studiare da un mullah, tuttavia di un'istruzione ulteriore non si poteva neanche parlare, poiché la famiglia tirava a campare a fatica. Sapendo l'arabo, il giovane cominciò a studiare da solo il Corano e le basi della religione musulmana. A diciannove anni mise su famiglia. Conosceva non male la lingua russa, perciò la dirigenza locale non di rado lo invitò come traduttore. Così Chasucha fu testimone di molti drammi umani.

Alla fine degli anni '30 cominciò l'epoca del grande terrore, l'intellighenzia e il clero furono sterminati senza pietà: furono fucilati i letterati Baduev, Dudaev, Ajsachanov, Oziev, Šadiev. Per tutte le torture dei carnefici staliniani passò Abdurachman Avtorchanov, futuro politologo di fama mondiale. Ma Magomadov non ebbe forza di cambiare il corso degli eventi. 1939 fu l'anno delle sue vittorie e infelicità personali. Per mano sua muore un compaesano, lontano parente di Magomadov. Da allora Chasucha divenne nemico di sangue per i parenti del defunto, anche se questi prima della morte aveva detto che dell'accaduto era colpevole egli stesso. Il caso fu trasmesso a una corte shariatica. Chasucha fu riconosciuto innocente. Lo perdonarono anche i parenti del morto, la vendetta di sangue fu tolta. Ma i rappresentanti del potere arrestarono Magomadov e lo portarono nella prigione di Groznyj. L'incubo della breve reclusione in prigione spinge l'arrestato alla fuga. In qualche modo Chasucha chiese a una delle guardie se si potesse fuggire da questa prigione. Questi rispose che in cento anni e passa da lì era riuscita a fuggire solo una persona – l'abrek Zelimchan. Magomadov divenne il secondo evaso dalla prigione di Groznyj. Si unì al reparto di insorti di Chasan Israilov, ex corrispondente della “Krest'janskaja gazeta” [6], condannato a 10 anni per “propaganda controrivoluzionaria”. In una delle battaglie Israilov fu ucciso. Chasucha e i suoi compagni organizzano una trappola e dodici persone restano a giacere sulla strada di montagna. Il giorno seguente nella gola viene gettata un'intera divisione, tuttavia senza risultati. Magomadov è imprendibile.

All'inizio del 1944 nei villaggi della Cecenia si acquartierarono, travestiti da soldati dell'Armata Rossa, gli uomini dello NKVD [7]. E dopo una settimana nei villaggi c'erano più soldati e cekisti [8] che abitanti. Gli abitanti temporanei che vivevano nelle case dei montanari si rivelarono reparti punitivi. 180 convogli, pieni zeppi di montanari perduti, che non capivano niente, si portarono nelle steppe del Kirghizistan e del Kazakistan. In questi giorni Magomadov fu testimone di un crimine disumano nel paese di Chajbach [9], dove nella stalla “Berija” (proprio così si chiamava la costruzione colcosiana) furono bruciati vivi 705 abitanti dei villaggi circostanti. Adesso al vendicatore non restava già più nulla, il sangue degli uccisi lo invocherà fino alla fine della sua vita. Essendo stato testimone di molti crimini compiuti dal primo stato al mondo degli operai e dei contadini, si vendicò di questo potere con tutti i mezzi possibili. Chasucha uccise a colpi d'arma da fuoco i cekisti particolarmente zelanti, uccise a colpi d'arma da fuoco anche gli sciacalli, che derubavano le proprietà abbandonate. Ma non toccò mai donne, bambini e vecchi indifesi – questo era il codice d'Onore. Se l'abrek avesse raccontato tutto ciò che gli toccò sperimentare dal giorno in cui si dette alla fuga, in questa confessione ci sarebbero state abbastanza amarezza e tristezza per cento persone che considerano tragico il proprio destino.

Bevuto l'amaro calice fino al fondo, i ceceni dopo tredici pesanti anni torneranno in patria. A Magomadov tolsero la patria per sempre. Con la famiglia poté incontrarsi solo una volta ogni qualche mese e a volte anche solo una volta l'anno. Passava la notte dove capitava: nelle grotte, nel bosco, nella steppa. E sempre in guardia: dormiva esclusivamente sulla schiena, ponendo una gamba sull'altra. Appena si addormentava, la gamba destra scivolava ed egli apriva gli occhi. La terra umida e le pietre fredde gli facevano da dimora fissa. Con il maltempo e il gelo lo riscaldava il mantello di pelo, da cui Chasucha non si separava mai. Questa era la vita di una persona fuori legge, che era perseguitata di giorno in giorno, di anno in anno. Alla sua ricerca si armavano intere spedizioni, che, impiantato un campo nel bosco, per cinque-sei mesi passavano al pettine i dintorni. Gli inviavano provocatori. Conducevano ispezioni dei luoghi con gli elicotteri. Organizzavano trappole dove poteva essere stato ospitato. Esiliarono dalla Cecenia intere famiglie sospettate di legami con lui ed egli ancor più raramente prese a comparire nei villaggi, ma fra l'altro si spostava liberamente sotto il naso dei nemici, gli scriveva messaggi, perché non lo perseguitassero, se volevano vivere. E' incredibile, ma gli riuscì stare per tre mesi in incognito nell'Ospedale Centrale di Groznyj e curarsi. Uscendo dall'ospedale, Chasucha lasciò un messaggio: “Grazie per le buone cure. Chasucha”. Trovandosi in continuo pericolo, al confine tra la vita e la morte, imparò ad essere più prudente di una bestia, assomigliando al navigato lupo della leggenda cecena, che sta ritto contro il crudele e spietato vento di uragano, che gli strappa la pelle di dosso.

L'inverno 1975-1976 fu il più pesante per Chasucha. Sembrava nevoso e freddo. Trovare cibo diventava ogni giorno più difficile. E anche le malattie si facevano sentire. La gente temeva punizioni da parte delle autorità ed evitava di incontrare Chasucha. Questi capì che i suoi giorni erano contati. Adesso aveva un solo sogno: morire da uomo ed essere sepolto com'è stabilito per un fedele musulmano. Alla fine di marzo del 1976 mandò un messaggio a suo fratello, perché venisse al cimitero e lo seppellisse. Gravemente malato, passa qualche giorno là in attesa della morte. Si scava la tomba da solo. Notato un vecchio armato, alcuni scolari lo raccontano ai genitori e questi ne danno notizia alla polizia. Saputo che lo hanno trovato, Chasucha decide di andare in un altro cimitero. Ma qui lo circondano la polizia e i compaesani. Chasucha sedeva sulla riva di un ruscello appoggiandosi a un bastone, mormorava qualcosa. Dal collo pendeva un binocolo legato a un cinturino, alla cintura ballonzolava un pugnale, da sotto il mantello-tenda gettato sulle spalle sporgeva il fucile da combattimento. Stavolta non c'era dove nascondersi e Chasucha lo capiva. Un attivista del Komsomol [10] gli gridava di arrendersi. Il vecchio non replicò. Aveva bisogno di fare in tempo a scavarsi la tomba. Cominciava a fare buio. Gli abitanti del posto, per la maggior parte semplicemente curiosi, dettero fuoco a degli pneumatici e li gettarono giù, sperando di vedere l'ultimo abrek. Nessuno si decideva ad avvicinarsi a lui, anche se tutti sapevano che era gravemente malato e che era venuto lì a morire. Di questo aveva avvertito i persecutori anche lo stesso Chasucha. Non di meno, il giovane attivista gridò di nuovo: “Sei circondato! Non ti lasceranno andare. Arrenditi, Chasucha”. In risposta seguì uno sparo. Chasucha non avvertiva due volte. Sajd-Selim, così si chiamava il ragazzo, fu ferito mortalmente. Nell'oscurità era difficile distinguere qualcuno, Chasucha sparò alla voce. Un agente di polizia che stava accanto al ragazzo ferito sparò tutto il caricatore del fucile automatico. Per tutta la notte gettarono giù pneumatici in fiamme. Per due giorni e due notti nessuno si decise a scendere giù. Il terzo giorno le autorità cercarono il fratello maggiore di Chasucha, gli dettero un fucile automatico e, convinti che quello non avrebbe sparato al fratello, lo costrinsero a scendere al cimitero. Chasucha era morto. Una salva di proiettili di fucile automatico gli aveva crivellato la testa. La morte era giunta all'istante. Questi giaceva non lontano da un piccolo bastone biforcuto piantato in terra. Chasucha già non poteva più tener saldo il fucile e per sparare senza fare cilecca usava questo bastone biforcuto.

Con un senso di dovere compiuto e di vittoria ottenuta, gli agenti del KGB portarono il cadavere di Chasucha a Groznyj. Lo fotografarono con le armi e senza e lo pesarono. Pesava trentasei chilogrammi. E aveva 71 anni. E per Mosca in piazza Lubjanskaja [11] partì un dispaccio rapido, che diceva che l'ultimo abrek del paese era stato eliminato. Le autorità si rifiutarono di restituire il suo corpo, ai parenti toccò riscattare il cadavere con denaro. Il fenomeno degli abreki era diventato una sorta di reazione nazionale di difesa dei montanari caucasici contro gli abusi delle autorità, contro l'oppressione nazionale e sociale.
Tuttavia, se sotto il potere zarista attorno ad essi si conservava ancora l'aura di nobili vendicatori, i comunisti fecero tutto il possibile per fissare sugli abreki l'immagine di “banditi” e “nemici del potere sovietico” Comunque, gli abreki innaffiarono generosamente del proprio sangue la terra del Caucaso, preferendo morire lottando contro il sistema, ma non inginocchiarsi. Forse, se il potere in Russia fosse stato più elastico e saggio, avrebbe potuto volgere questo incredibile amore dei montanari per la libertà, l'eroismo, il coraggio e l'impavidità anche a proprio vantaggio. Ma alla luce dei fatti odierni che avvengono nel Caucaso, si può constatare che l'unica lezione che la Russia ha tratto dalla propria storia consiste nel fatto che non ha ancora imparato a trarre alcuna lezione dalla storia.


Roza Mal'sagova, “Ingushetia.Org”, http://www.ingushetia.org/ru/news/line/Kto-takie-abreki/ (traduzione e note di Matteo Mazzoni)


[1] Il corsivo, qui e altrove, è mio.

[2] Città del Daghestan sulla costa del mar Caspio.

[3] Appartenente al popolo caucasico autoctono dei Lezgini.

[4] La forma corretta è Chasucha, usata in seguito.

[5] Villaggio della Cecenia meridionale.

[6] “Giornale contadino”.

[7] Narodnyj Komissariat Vnutrennich Del (Commissariato del Popolo degli Affari Interni), la polizia politica staliniana.

[8] Agenti della ČK, – nello spelling russo Čè-ka – (Črezvyčajnaja Komissija po bor'be s kontrrevoljucej i sabotažem, “Commissione Straordinaria per la lotta alla controrivoluzione e al sabotaggio”, la prima polizia politica sovietica), per estensione “agenti segreti”.

[9] Villaggio della Cecenia meridionale.

[10] KOMmunističeskij SOjuz MOLodëži (Unione della Gioventù Comunista), l'organizzazione giovanile comunista ufficiale.

[11] Più nota con il nome colloquiale di Lubjanka, sede del KGB.


http://matteobloggato.blogspot.com/2010/12/lultimo-robin-hood-caucasico.html

26 dicembre 2010

A proposito di paradisi fiscali

Nauru. L'isoletta dell'amore per la Russia




La corrispondente speciale della “Novaja gazeta” Elena Račëva è sbarcata per prima sull'isola dell'Oceania, dove vengono riciclati i miliardi della criminalità e dove come prima aspettano soldi per il riconoscimento di Abcasia e Ossezia del Sud


Esattamente un anno fa, il 15 e il 16 dicembre, il più piccolo stato sovrano del mondo, Nauru, nella persona del ministro degli Esteri e dell'Economia Kirena [1] Keke stabilì relazioni diplomatiche con Abcasia e Ossezia del Sud, divenendo il principale partner strategico della Russia. Le autorità di Mosca proclamarono che – del tutto indipendentemente dal riconoscimento – programmano di fornire aiuti umanitari al lontano stato di Nauru.

…Sulla cravatta del signor ministro c'è Babbo Natale, che vola su un tiro di renne. Lo stesso ministro Kiren [2] Keke è giovane, intelligente, di spalle larghe e serio. Il principale sport dei nauruani è l'atletica pesante e per qualche motivo tutti, donne comprese, assomigliano ad atleti pesanti: grossi e seri.

Il ministro dice che a Nauru hanno cominciato a interessarsi al destino delle repubbliche non riconosciute nell'ambito della collaborazione con la Russia, le hanno osservate per sei mesi, dopodiché hanno chiesto alla Russia di organizzare una visita:

– Abbiamo capito che gli abitanti di entrambe le repubbliche storicamente erano indipendenti, non si sono mai considerati parte della Georgia e avevano organi di potere autonomi. Sono molto simili a Nauru nel periodo della lotta per l'indipendenza e noi ricordiamo come fu importante per noi l'appoggio di altri paesi.

Fra l'altro, la storia del riconoscimento è cominciata prima, quando nell'autunno del 2009 su invito di Nauru soggiornò sull'isola l'ambasciatore russo in Australia Aleksandr Blochin. Dopo il suo ritorno fu anche proclamato che la Russia aveva in programma di fornire aiuti umanitari a Nauru. “L'ambasciatore tornò da Mosca con raccomandazioni di sostenerci”.

Dico al ministro che molti affermano: il riconoscimento dell'indipendenza e l'aiuto materiale sono un'unica questione, non due.

– E' la prevedibile e attesa reazione della Georgia, – risponde tranquillo Keke. – Ma queste sono cose del tutto slegate. Noi stabiliamo attivamente relazioni con i nuovi paesi anche senza di esso.

Qui il ministro ha ragione. Nel 2002 Nauru si rifiutò di riconoscere l'indipendenza di Taiwan, stabilì relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese e inaspettatamente ricevette da essa aiuti per 130 milioni di $. Ma nel 2005 la repubblica ci ripensò, ruppe le relazioni con Pechino e adesso riceve già aiuti da Taiwan.

In generale il commercio dei riconoscimenti è un affare ordinario dei paesi dell'Oceania. La differenza del nuovo partner strategico della Russia sta nel fatto che tutta la sua storia contemporanea è una storia di piccole truffe, grandi scandali, barzellette giuridiche e affari politici.

L'ex isola

Nauru è certamente un buco. Мiddle of nowhere*, se al “nowhere” si può annoverare l'Oceano Mondiale. 4505 chilometri a nord-est dell'Australia, 1500 a ovest della Nuova Guinea. Inoltre 42 km a sud dell'equatore.

Su 21 chilometri quadrati di isola stanno 10500 abitanti di nazionalità nauruana, l'architettura è del tipo “baracca” e i negozi sono del tipo “spaccio”. Con gli affari ai nauruani non va molto bene. Tutto il commercio è tenuto dai cinesi in chioschi sparsi per tutta l'isola – conserve australiane, riso, acqua prodotta alle isole Salomone [3]. La fauna – cani, maiali e polli semi-selvatici. La flora – fondamentalmente palme e queste spelacchiate e battute.

Lo stato non ha capitale, perché non ci sono città. Invece ci sono 14 circondari, il capoluogo è considerato quello di Yaren. Non ci sono vie. La strada è buona , ma a dire il vero, è una. Si stende per 19 km lungo la costa e, di regola, può essere percorsa in quattro ore.

Non esistono fonti di acqua dolce. Poco tempo fa hanno imparato a desalinizzare quella marina, prima la portavano in cisterne dal continente. Non ci sono centrali elettriche, al loro posto ci sono cinque generatori (ne funzionano tre).

La disoccupazione è al 35-40%. Non ci sono cose notevoli, i principali divertimenti sono andare in chiesa e girare per strada.

Nauru non ha una valuta (ha corso il dollaro australiano), l'unica banca è crollata 10 anni fa, tutte le transazioni si fanno in contanti. Inoltre le lingue sono ben due: nauruano e inglese, che parlano tutti.

All'aeroporto mi viene incontro Rod Henshaw, in passato giornalista della radio australiana ABC e adesso consulente mediatico e addetto stampa del governo di Nauru. Dice che la volta scorsa sono giunti sull'isola dei giornalisti del GEO [4] per scrivere un articolo per la rubrica immaginaria “I paesi dove non siete mai stati e dove difficilmente capiterete”.

La domanda se c'è turismo a Nauru decade dopo l'uscita dall'aeroporto. Non ci sono spiagge sull'isola, lungo tutta la costa si stendono acuti picchi di coralli, dietro di essi comincia l'oceano con forti correnti e bestie velenose. C'è un golf club senza erba, una piscina senz'acqua e un chiosco di souvenir, dove vendono sapone e riso. “Oh, talvolta da noi capitano turisti, – sorride Rod. – Sai come li chiamiamo? Lost (perduti)”.

Tra le buone notizie. Dagli isolani non esigono tasse, alloggio, istruzione e sanità sono gratuite. A Nauru – attenzione! – c'è la democrazia. Il parlamento e il governo sono eletti per tre anni, questi nominano tra le proprie file il presidente. I parlamentari sono 18, di questi nove del partito del presidente e nove oppositori. La base della legislazione è australiana, il libretto della Costituzione per 55 $ [5] si vende al supermercato tra le conserve e i biscotti, non c'è censura. Nel rating internazionale della libertà di parola della Freedom House Foundation Nauru ha ottenuto voti altissimi. Come spiega Rod Henshaw, ancora poco tempo fa il principale mezzo di informazione di massa di Nauru erano le scritte sui muri degli edifici pubblici. Ma a febbraio è stato aperto il giornale mensile “Mwinen Ko”, vanno in onda “Radio Nauru” e i notiziari serali della TV.

Andiamo per l'unica strada lungo l'oceano. Per entrambi i lati si stendono cose a un piano, un po' baracche, un po' scatole. Non ci sono vetri, ci sono buchi nei muri, alle finestre ballonzola qualche straccio. Intorno mucchi di rifiuti, nell'ombra delle palme vagano cani randagi. Chiedo a Rod perché la gente ha lasciato queste case.

Rod frena, mi guarda attentamente. “Le case sono abitate”.

Dolce vita [6] alla nauruana

L'articolo sulla storia della flotta nauruana nel “Mwinen Ko” comincia con le parole: “Probabilmente voi già non lo ricordate, ma il nostro paese era ricco”.

Di regola, la vita a Nauru è sempre stata niente male. Nell'oceano sguazzavano pesci, dalle palme cadevano cocchi. Le tribù locali periodicamente si sterminavano l'un l'altra, invece nemici, come nella vicina Figi, non parevano esserci. Nel 1798 Nauru fu scoperta e dichiarata loro proprietà dai navigatori inglesi, nel 1888 la occuparono i tedeschi, dopo la Prima Guerra Mondiale l'Australia. Sui nauruani questo non si riflesse: civilizzare l'isola faceva fatica ai colonizzatori.

I problemi cominciarono, scusate, a causa della merda [7]. Nauru è un enorme scogliera corallina, sollevatasi chissà quando dal fondo. Per milioni di anni gli uccelli migratori si sono fermati su di essa, coprendola di letame, il cui strato ha raggiunto decine di metri. Di fatto l'isola è diventata un enorme pezzo di fosforite, base dei costosissimi concimi di fosfati.

A estrarre fosfati cominciarono nel 1906. Nel 1968 i capi dell'isola con una popolazione di tremila abitanti ottennero l'indipendenza. Inizialmente le nuove autorità nazionalizzarono la compagnia dei fosfati, fondando la Nauru Phosphate Corporation (NPC) e tutta la terra dell'isola fu divisa tra il popolo. Un quarto dei ricavi furono divisi tra gli agricoltori, il resto fu indirizzato al fondo di stabilità nazionale. E per qualche anno i nauruani diventarono inverosimilmente, favolosamente ricchi.

Verso gli anni '70 l'estrazione di fosfati raggiunse i 2 milioni di tonnellate l'anno e il prezzo sul mercato i 68 $ alla tonnellata. In 30 anni Nauru guadagnò 3,6 miliardi di $ – circa 4 milioni di $ per famiglia. Il livello dei redditi nel paese superò di quattro volte quello degli USA e si avvicinò al lusso degli sceicchi arabi.

Sull'isola smisero di lavorare. All'estrazione dei fosfati lavoravano indiani o cinesi, li comandavano espatriati di Australia, Europa e USA. I bambini si rifiutavano di studiare. Come ricorda l'attuale ministro della Pubblica Istruzione Roland Kun, solo la minaccia del tribunale poteva costringere i genitori a mandare i figli a scuola. Le persone abituate a cibarsi dei frutti dell'albero del pane, di cocco e di pesce passarono alla farina e al riso. Adesso il 30% degli abitanti ha il diabete.

I soldi facili furono spesi in viaggi, nuovi oggetti tecnologici, automobili, servitù. Sull'isola risultavano esserci circa 5-6 macchine per famiglia. Portarono perfino una Lamborghini. Per le strade fatte di fosfati poteva andare solo in seconda e presto fu rimandata indietro sul continente. Non c'erano meccanici automobilistici, le macchine rotte si ammucchiavano direttamente nei cortili.

Nel frattempo le persone più ricche del mondo continuavano a vivere in quelle stesse case, praticamente di cartone. Dormivano sul pavimento. Cominciarono a bere molto.

Ma poi i fosfati finirono.

Il fondo di stabilità

I russi degli anni '90 giunsero a Nauru negli anni 2000. Alla NPC sull'isola apparteneva tutto: la banca, i negozi, l'ospedale, il porto. La compagnia non faceva ispezioni sul giacimento. Quando diventò chiaro che I fosfati si sarebbero presto esauriti, crollò tutto.

La crisi avvenne in una notte. Svegliatisi, i naruani scoprirono che la banca con tutti i loro risparmi aveva fatto un crac, il paese era in bancarotta.

Risultò che non c'era nulla con cui pagare il cibo, l'acqua e l'elettricità che venivano portati là. I generatori si fermarono, la luce si spense. La disoccupazione si avvicinò al cento per cento. I manager, i medici e gli insegnanti stranieri cominciarono ad andarsene. La vita dell'isola ricorda una trama di Marquez. Quando finì il cibo, il mare cominciò a gettare pesce sulle rive. Questo continuò così per tutta una stagione, di specialisti per studiare questo fenomeno sull'isola non ce n'erano. Nessuno, a dire il vero, neanche ci provò. “Grazia divina”, – spiegarono tutti.

Ma cos'è mai il fondo di stabilità? A metà degli anni '80 il suo volume raggiunse i 2 miliardi di $. Notizie di investimenti comparivano episodicamente, fra l'altro più spesso come barzellette. Il governo comprò hotel in perdita in Australia, immobili a Guam [8], investì nella messa in scena di un musical sulla vita privata di Da Vinci (“Leonardo” fece fiasco). In generale, il giorno della caduta della banca nazionale al posto del fondo di stabilità il paese si scoprì un debito di 870 milioni di $.

Quando chiedi ai nauruani perché mai tacquero e non obiettarono contro gli assurdi investimenti, ne segue una risposta ingenua, impotente e incredibilmente russa: “Ma avevamo un governo, funzionava pure. Ci siamo semplicemente fidati e abbiamo aspettato”.

Topside

I locali chiamano le miniere di fosfati esaurite nel centro collinoso dell'isola Topside (cima). Quando un aereo sorvola l'isola, Topside sembra coperta di macchie: qui c'è la giungla tropicale, accanto le macchie grigie delle miniere. Poco tempo fa all'isola è riuscito riavviare l'estrazione. Secondo le stime, la riserva di fosfati primari basterà per circa due anni, quella di secondari (già trattati una volta dai coralli) ancora per circa 30 anni.

Su Topside mi porta Chelsea, ingegnere della corporazione di stato Ronphos, che ha sostituito la NPC. Ci fermiamo proprio sulla cima. Su entrambi i lati della strada per qualche metro pendono torri di coralli. A sinistra vecchi lavori con pietre annerite e erba calpestata tra esse. A destra i nuovi: un deserto bianco, puntellato da gigantesche dita.

Chelsea si mette a fumare un po', si guarda intorno. “La gente non viene qui. Io ci sono abituato per lavoro. In qualche modo ci ho portato mia moglie – si è messa pure a piangere: non voglio, dice, guardare questo. Eppure l'abbiamo fatto noi, capisci? Ancora nella mia infanzia qui cresceva la foresta tropicale”.

Nell'aria arroventata è sospeso qualcosa di pesante e silenzioso, come polvere di fosfati. Sembra che Topside concentri su di se la tensione dell'isola, che sieda in memoria degli abitanti, che si sottometta. Una sensazione kafkiana. Spinge a controllare se il biglietto di ritorno sia al suo posto. Sembra che non sia rimasto nulla tranne una brillante superficie di coralli, arroventata dal sole e dalla polvere bianca.

Ibarbra ospite

L'uomo bianco in nauruano è “ibarbra”. La parola è stilisticamente neutrale: non “estraneo”, non “ospite”, semplicemente “altro”. Se un ibarbra si ferma davanti a una casa, gli porgono una sedia. Se chiama un taxi per strada, lo portano dove vuole, non prendono soldi.

Il maestro di scuola Dale viene a sapere che sono russa e immediatamente mi invita in casa.

– La Russia ci ha molto, molto aiutati. Sai come la chiamiamo? Il fratello grande [9].

Dale non parla di soldi. Su circa venti nauruani interrogati le parole “Abcasia” e “Ossezia” le hanno sentite in quattro, compreso il ministro degli Esteri. Ma nel 1968 l'URSS fu il principale alleato di Nauru nella conquista dell'indipendenza. Ogni nauruano lo ricorda ancora.

Nella storia della partnership tra Russia e Nauru c'è anche un altro, recente legame storico.

Afferrato che i fosfati stavano finendo e che il fondo di stabilità si era sciolto nell'oceano finanziario mondiale, il governo del presidente Bernard Dowiyogo prese a cercare una nuova fonte di reddito e aprì un centro offshore. Registrare una banca attraverso l'impresa statale Nauru Agency Corporation sarebbe costato in tutto 25 mila $. Prolungare la registrazione per un anno altri cinquemila circa.

Da qualche anno Nauru è diventata un centro dell'economia sommersa mondiale. Più di quattrocento banche, cinquemila miliardi (!) di dollari di criminali, riciclaggio di denaro proveniente da racket, spaccio di droga e macchinazioni finanziarie illegali. Nel 1998 il vice-direttore della Banca Centrale Viktor Mel'nikov annunciò che dalla Russia verso i conti delle banche di Nauru erano usciti 70 miliardi di $. L'uomo d'affari nauruano Sean Oppenheimer, che a quel tempo organizzava battute di pesca sull'isola, ricorda che aveva continuamente clienti dalla Russia: registravano una banca, pescavano e volavano via con l'aereo successivo.

Il centro offshore non c'è già più, ma il sito è rimasto. Questo propone “un paradiso fiscale in un paradiso terrestre”, la registrazione della banca viene detta rapida e sicura e la stessa Nauru una dolce isoletta tropicale. Indirizzo di registrazione: Civic Centre, distretto di Aiwa [10]. Come ha comunicato la Banca Centrale, a questo indirizzo sono state registrate 104 banche russe.

…Il Civic Centre è una scatola di cemento a due piani con le tegole sbreccate. Sui gradini vendono decorazioni per l'albero di Natale e pianelle, al primo piano c'è il chiosco dei generi alimentari (la merce principale è l'acqua potabile), al secondo c'è l'ambasciata di Taiwan, l'Auditorium centrale di Nauru e qualche altro ufficio.

L'ufficio della Nauru Agency Corporation è in fondo al corridoio. La vernice sulla porta è screpolata, intorno alla maniglia c'è una striscia di sporco, la porta stessa è chiusa a chiave. Non si sente odore di grandi soldi; c'è odore di pesce, di polvere, di frettazzi bagnati dal ripostiglio. Accanto, battendo sonoramente i piedi nudi, passa una donna delle pulizia, un guardiano taiwanese mormora una canzone con voce nasale. 70 miliardi! La maggior parte è stata riciclata tra queste mura.

…Nel 2002 tra il denaro riciclato a Nauru risultarono quattro milioni di dollari di origine criminale provenienti dagli USA. Il Tesoro americano minacciò sanzioni e il centro offshore fu chiuso.

Gli “affari” di Nauru non sono andati più oltre questa estensione. L'isola ha fatto commercio della cittadinanza (dopo gli atti terroristici dell'11 settembre ad alcuni kamikaze sono stati trovati passaporti di Nauru); si è programmato di vendere il prefisso telefonico ai servizi di sesso al telefono; sono stati aperti due campi per i profughi che attendono la decisione sulla concessione della cittadinanza australiana (esiliati sulla lontana isola, per l'angoscia e la disperazione i profughi hanno proclamato lo sciopero della fame). Ma poi sono giunti al potere gli uomini di forza.

Sull'utilità degli uomini di forza

La grande politica della Repubblica di Nauru si compie in un territorio di 300 metri. In questi ha luogo il palazzo presidenziale (una casetta di legno con una balaustra e una siepe fiorita come in una fattoria dello stato dello Iowa) e l'edificio del parlamento (una casetta rosa più piccola). Proprio di fronte – la pista di decollo dell'aeroporto di Nauru. Secondo la legge del genere, se davanti al palazzo presidenziale c'è una pista di decollo, su di essa devono sparare alla fine. Questo successe nel 2003. Il paese fu a lungo in crisi.

– La pista di decollo era tutta piena di gente – ricorda Kiren Keke. – Il popolo stava sulla recinzione, circondò l'aereo. Noi non potevamo neanche pensare che si sollevasse tutto il paese.

Il presidente comunque poté battersela, la gente si disperse e gli istigatori, compreso il futuro presidente e Kiren Keke, finirono in prigione (dietro il palazzo presidenziale sulla destra). Da là sono anche andati dritti al governo, ottenendo una convincente maggioranza alle successive elezioni.

La base del nuovo governo sono diventati gli uomini delle strutture armate. Il presidente Marcus Stevens [11] è un pesista (quattro medaglie d'oro ai campionati del mondo). Kiren Keke è un rugbista, il ministro dei trasporti e delle telecomunicazioni è un campione di powerlifting. Molti parlamentari hanno giocato a calcio.

Fra l'altro, compiute le carriere sportive, Stephens ha ottenuto il titolo di MBA, Kiren Keke è diventato un medico. In un primo tempo come ministro era a mezzo servizio: la mattina operava, la sera guidava il paese. All'ospedale locale ancora rimpiangono che se ne sia andato. Era un ottimo chirurgo, dicono.

Sotto il nuovo governo il livello di vita di Nauru ha cominciato a crescere. E' continuata l'estrazione di fosfati, è cominciato un programma di ristabilimento ecologico. In generale i nauruani dicono che con il governo hanno finalmente avuto fortuna.

Il pesce piccolo

– Il mercato di sbocco del pesce a Nauru non è molto grande, – dice tristemente il ministro della Pubblica Istruzione e della Pesca** Roland Kun.

Il ministro sembra triste in generale. Su diecimila nauruani hanno un'istruzione tutt'al più in mille, il “mercato di sbocco” sono tre banchi di vendita di fronte alla posta, cosicché si può capire il ministro.

Ai colloqui con Mosca i nauruani hanno raccontato dettagliatamente per cosa esattamente sono più necessari all'isola i soldi russi. Di conseguenza una tranche di 10 milioni di $ è andata per la ricostruzione del porto e per un Boeing per la compagnia aerea Our Airlines.

Dalla prima tranche è passato quasi un anno.

Prudentemente dico al ministro che talvolta merita mettere fretta ai russi e prometto di trasmettere un biglietto da visita di Roland Kun all'Agenzia per la Pesca a Mosca.

– E sa, – improvvisamente il ministro abbassa la voce, – perché la flotta russa possa pescare nell'Oceano Pacifico, deve ottenere il permesso dell'unione dei pescatori, comprare una licenza, pagare una tassa. Ma… – fa una pausa a effetto. – Se una nave russa va sotto la bandiera di Nauru, può fare a meno di pagare la tassa. Capisce?

Capisco, signor Kun.

Il cavaliere di Malta

Nel salotto del cavaliere di Malta, nativo irlandese e unico oligarca di Nauru Desmond Oppenheimer c'è un frigorifero bielorusso Atlant. Sul frigorifero ci sono un ritratto di Lenin e due fotografie di Michail Gorbačëv: una anche con Desmond Oppenheimer.

Il cavaliere stesso si muove per il salotto con una bottiglia di birra, mostrando una lettera di raccomandazione della compagnia Tekma [12], una corrispondenza amichevole con Evgenij Primakov [13], un ordine di Lenin (come se fosse suo) e una croce di Malta (probabilmente sua). Snocciola cognomi e nomi russi, ricorda un ricevimento in Australia, dove conobbe Gorbačëv, una visita in Iraq, dove incontrò Hussein e che una volta in una rappresentanza commerciale in Germania vide il giovane Putin: “Era sveglio il pischello [14], pare”.

Oppenheimer, tipico irlandese esuberante, appartiene all'attiva, netta e, pare, morente stirpe degli avventurieri internazionali. A Nauru conosce tutti e partecipa a tutto, solo che tutto quello che dice va diviso per 10 e poi ancora per 5.

Sull'isola Desmond capitò durante il servizio nell'esercito australiano. Poi il congedo, il commercio di oggetti tecnologici della fabbrica Ižmaš [15] (se fossero kalashnikov o motociclette, da lui non si coglie), il lavoro con le prime ditte sovietiche da esportazione, trasferte a Mosca.

Inondando l'Oceania di frigoriferi Atlant, motociclette Ural [16] e macchine fotografiche Zenit [17], a Nauru Desmond aprì un proprio negozio. Negli anni questo crebbe nell'enorme (per le misure locali) impero Capelle&Partners con un supermarket, un caffè e produzione propria. Ma ricorda ancora il ruolo della Russia nella sua vita.

Gli chiedo a che ci serve Nauru.

– Questo è proprio il centro dell'Oceania, – si stupisce Desmond. – Intorno vanno i sottomarini americani. E adesso immagina che qui ci sia un'enclave di interessi russi.

– E allora?

– Beh, questo è poco. Una base militare. Un nuovo spazioporto. Una stazione di osservazione sugli armamenti degli USA. Perché la Russia sempre, – il signor Oppenheimer fa una pausa, alza un dito, socchiude gli occhi, – sempre si ricorda dello Zio Sam!

Non accade nulla

Il continuo rumore di fondo di Nauru è lo strusciare di pianelle. I locali vanno piano, con qualche rilassatezza corporale: grattandosi, sputacchiando, dondolando mentre camminano. E' come se non fossero convinti se vadano da qualche parte, se vadano e se abbiano bisogno di andare. Andando lungo la strada, vedi come sulle sedie, sulle soglie dei negozi o semplicemente per terra siedono persone, come se aspettassero qualcosa. Solo che non accade nulla.

– Ecco che dicono: hanno venduto l'isola, abbiamo perso il reddito, – io e Chelsea scendiamo da Topside. – Non dimenticare che abbiamo visto i soldi per la prima volta negli anni '30. Quando cominciò la guerra, andavano in gonne di foglie di cocco e vivevano in case di paglia. E tu chiedi dove abbiamo investito il fondo di stabilità.

A Chelsea è andata bene: i suoi genitori investirono i soldi facili dei fosfati in immobili australiani e mandarono i cinque figli a studiare all'estero. Adesso Chelsea è un ingegnere, lavora all'estrazione di fosfati, alla loro lavorazione, al porto. Semplicemente di ingegneri sull'isola ce ne sono tre in tutto.

La cosa migliore che ci sia a Nauru sono le calme ore serali, quando cala il caldo. Il cielo è disseminato di stelle, l'oceano rumoreggia monotono e rombante, la schiuma della corrente, così pare, brilla nell'oscurità. C'è odore di alberi in fiore, un denso aroma di mare. Meravigliosamente buono.

Ecco che in una casa fa le prove un coro maschile. Una lampadina nuda sotto il soffitto, brandelli di carta “tipo legno” sul vecchio muro, alla finestra si vedono bambini riccioluti dagli occhi scuri. Una decina di uomini siede sul pavimento, con voce regolare e smorzata, come timidamente, cantando un gospel in nauruano: è Natale comunque. Il solista ha la voce profonda e forte, batte il ritmo con la pianella che tiene in mano.

All'ingresso della casa vicina c'è un mucchio di scarpe da bambini: nelle famiglie si usa avere 6-8 figli, anche se si arriva pure a dodici. La metà degli abitanti ha meno di 18 anni.

Molte case sono decorate per Natale: sotto il soffitto brillano CD legati a cordicelle, lungo le facciate ci sono lampadine luminose. Non c'è un obitorio sull'isola, i morti vengono sepolti il giorno della morte, talvolta nel giardino dietro casa. Anche sulle tombe ci sono delle ghirlande.

Guardare la vita dei nauruani comuni è facile. Spesso vetri e porte non ci sono affatto, le case si guardano attraverso. Un tavolo, un televisore, raramente un vecchio computer. Quadretti alle pareti, mucchi di stoviglie o di stracci. Dormono sul pavimento o su qualcosa come larghe brande. Queste stesse brande stanno all'ombra davanti alle case. Su di esse giocano i bambini, su di esse pranzano, passano la notte – in pratica ci vivono. Questa non è miseria, ma qualcosa del genere.

E improvvisamente mi immagino la Russia.

E penso che 50 milioni di $ non sono una somma poi così grossa per il mio grande e disordinato paese. Al mondo non ci sono poi molti paesi, dove la Russia è ancora chiamata Fratello Grande e le sono grati “per il 1968”.

Ma dopo il riconoscimento delle repubbliche l'ambasciatore Aleksandr Blochin non è più stato a Nauru.

* * *

– Io ieri ho fatto sposare un figlio, sa? E' venuto un matrimonio allegro, anche se modesto: solo i parenti stretti, in tutto circa duecento persone. Ieri è stata una bella serata: due matrimoni, un funerale e tre feste.

La tenda sopra il terrazzo getta un'ombra. Sul campo da tennis giocano a calcio, il padrone di casa Richard strimpella un salmo con la chitarra: domani in chiesa c'è un concerto, si esibisce. Nessuno chiede cosa faccia qui – passavo lì vicino e sono rimasta, che c'è da dire?

La vicina, l'insegnante cinquantenne Anita (quella che veniva dal matrimonio) ricorda i vecchi tempi. In famiglia c'erano 10 persone e otto macchine, facevano feste ogni sera, non c'era niente da fare, perciò bevevano. “Quando non c'è bisogno di lavorare, si beve sempre. Cosicché è proprio meglio così”.

In risposta alle domande racconto per l'ennesima volta di Ossezia e Abcasia. “Cosa sono, isole?” – si stupisce Richard.

– A me la Russia prima non piaceva: un paese pericoloso, – dice Anita. – La bomba atomica, il comunismo, Gheddafi. Ma è vostro?

– Ma che ne sai del comunismo! – si immischia Richard. – Da noi ha lavorato un dottore di Cuba, mi ha raccontato tutto. Il comunismo è prendere tutta la terra e dividerla. Proprio come da noi.

- Aha, – non crede Anita, – e anche rubarsi i soldi?

Il giorno è caldo, la conversazione è lenta, il salmo è nostalgico. Il pensiero si muove piano come un'onda nella bassa marea; non si ha voglia di andar via, e poi dove? Anche domani sarà caldo, sia il sole, sia l'oceano. Probabilmente, tutte le disgrazie di questo posto vengono sempre dal fatto che oggi è come domani, domani come ieri, il mare porta il tonno e l'inverno non viene mai. La bellezza dell'oceano priva di senso la realtà è il clima caldo è questione di case. Di soldi certamente si ha voglia, ma anche senza non importa. La storia in questi territori non è neanche cominciata, perdi il senso del tempo in due giorni. Alle Figi con questo fanno già soldi, Fiji time è un brand turistico: visto che non accade nulla – rilassati e riposati.

* In mezzo al niente.

** I ministri nel paese sono quattro in tutto e abbinano le cariche. La migliore, secondo me, l'ha Matthew Batsua: ministro della Sanità, della Giustizia e dello Sport.

Elena Račëva

24.12.2010, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2010/145/18.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Più spesso scritto Kirene.

[2] Sic.

[3] Isole ad est della Nuova Guinea.

[4] Rivista simile al “National Geographic”.

[5] 55 dollari australiani (non si capisce mai di quali dollari si tratti, però) sono circa 42 euro.

[6] In italiano nell'originale.

[7] Sic. Ma il termine der'mo in Russia è sempre meno tabù.

[8] Isola al largo delle Filippine sotto sovranità americana.

[9] Nel senso affettivo di “fratellone”, non di Grande Fratello orwelliano.

[10] In realtà Aiwo (ma le trascrizioni del nauruano non hanno un criterio preciso).

[11] Più spesso indicato come Stephen.

[12] Produce materiali da costruzione.

[13] Evgenij Maksimovič Primakov, politico russo, che fu anche Primo Ministro.

[14] Pacan è un termine gergale per “ragazzo”.

[15] Iževskij Mašinostroitel'nyj Zavod (Fabbrica Metalmeccanica di Iževsk), fabbrica che a Iževsk, ai piedi degli Urali occidentali, produce automobili, motocicli e soprattutto armi.

[16] Fabbrica russa di motociclette pesanti, che produce ancora moto con sidecar.

[17] Fabbrica di apparecchi fotografici russa, con sede anche in Bielorussia.


http://matteobloggato.blogspot.com/2010/12/nauru-come-vive-il-paradiso-fiscale.html

24 dicembre 2010

A proposito dell'estrema destra russa (VI)

Fascismo-light




Dieci differenze tra nazi russi e caucasici


Le rivolte attuali hanno due componenti. Una di esse è il fascismo caucasico. Il fascismo caucasico è un serio problema della Russia, proprio come il fascismo islamico è un serio problema dell'Europa. Quando un musulmano si fa esplodere a Stoccolma, non fa questo in risposta al fascismo svedese. Quando la comunità cecena organizza una rissa di massa in Belgio o in Austria, non lo fa in risposta al fascismo belga. Non è difficile notare che quasi tutte le risse interetniche sul territorio russo sono risse con i ceceni. Ceceni e calmucchi [1], ceceni e àvari [2], ceceni e cabardi [3], ceceni e russi.

Ecco una storia reale di una dei condomini d'élite di Mosca nella parte sud-occidentale (raccontata, tra l'altro, da un ufficiale del gruppo “Alpha” [4]): nel condominio dove viveva buona parte degli appartamenti sono stati comprati dalla nuova élite cecena. Gli adulti insegnavano ai bambini a infischiarsene dei vicini russi. Questo non è fascismo?

E l'autobus di linea, su cui nel gennaio dello scorso anno spararono gli sbirri ceceni, perché gli aveva tipo tagliato la strada? E i guardiani di quello “Evropejskij” [5], che fermarono un “32enne nativo di Šali [6]” perché era armato; dopo di che il fermato tornò con i rinforzi e i guardiani furono picchiati con mazze da baseball?

Lo strapotere dei caucasici, più precisamente delle comunità di vainachi [7] è diventato uno dei problemi principali delle università russe d'élite, particolarmente nelle sezioni finanziate dallo Stato, dove l'accesso si compra con le bustarelle. I russi sono disorganizzati, il che viene preso per debolezza, i ceceni sono tutti per uno, il che viene preso per forza e superiorità morale. I russi sono tirchi, i caucasici spandono soldi. Le conseguenze sono risse, estorsioni, violenze ai danni di ragazzine, ecc.

Nel campo “Don” presso Tuapse [8] un gruppo di adolescenti ceceni con l'approvazione di un educatore terrorizzava tutti e di conseguenza andava a caccia dei pugni della folla. E' strabiliante, ma le autorità cecene si sono mosse in difesa delle proprie “guardie rosse” e hanno richiesto che fosse punita una persona che aveva preso una coltellata per essere intervenuto in difesa di una ragazzina picchiata dai ceceni (cosa che era stata pure motivo di scontro).

Se pure c'è una differenza tra il fascismo russo e il fascismo ceceno, questa sta nel fatto che per il 99% dell'élite russa l'affermazione “io sono russo, cioè sono il migliore” è anatema. Ma per l'élite cecena l'affermazione “io sono ceceno, cioè sono il migliore” è semplicemente la constatazione di un fatto. La visione del mondo basilare. Che permette di sparare a un autobus o ai guardiani dello “Evropejskij” nel centro di Mosca con un senso di piena impunità.

La Russia è ora davanti a un problema simile a quello che è davanti all'Europa. Il problema dell'Europa è la tolleranza, che gli immigrati, giunti da società più tradizionali e basate sui clan, prendono per debolezza.

Il problema della Russia è l'assenza dello Stato, per cui la popolazione comincia a organizzarsi in bande e la rivincita che si prende la Cecenia per il massacro compiuto dall'esercito russo. Davanti alla potente Cecenia è servile perfino Surkov [9]. Non a caso il 22 ottobre, dopo il pestaggio di Oleg Kašin, è andato a Groznyj e là, all'incontro con gli attivisti ceceni, ha detto: “Che bel popolo siamo comunque”.

La coscienza liberale contemporanea teme perfino i sospetti di fascismo come il diavolo l'incenso. Di conseguenza essa si rifiuta di discutere e perfino di notare i problemi di tipo nazionale. “Il problema nazionale non deve esistere”. “Tutti sono uguali” – ecco l'assioma per la società civilizzata.

Questo è notevole. Il problema è che il nazismo è la filosofia naturale di qualsiasi società tradizionale, in particolare se si scontra con la civilizzazione aperta. “Io sono somalo (ceceno, arabo, kikuyu [10]), ho famiglia e onore; mantengo in un regime severo le mie donne e uccido mia figlia, se va a spassarsela. Perché io sono migliore di questi maiali vigliacchi, che non hanno famiglia e onore”. Il selvaggio supera sempre la persona civilizzata in capacità di violenza; e guai alla civiltà, quando invece di rammentare al selvaggio che il compito suo, del selvaggio, è uscire dallo stato di barbarie, si scusa ed è servile.

* * *

La seconda componente è il fascismo russo e con esso la faccenda sta in un altro modo. Se per un popolo che vive in un regime basato sui gruppi familiari, il nazismo e i rapporti di clan sono un modo per sopravvivere in assenza dello Stato, allora per i russi, proprio come per i francesi, i britannici o i norvegesi, il nazismo dev'essere un fenomeno marginale.

Così era pure – sotto El'cin. Abbiamo un fatto paradossale: nei “feroci Novanta”, quando si chiudevano le fabbriche, si trattenevano gli stipendi, non c'erano soldi nelle casse statali, il nazismo era un fenomeno marginale. Ma ecco che sotto Putin, quando sono cominciate la “stabilità” e la “verticale”, gli omicidi su base nazionalista sono divenuti un fenomeno usuale; fra l'altro i nazisti odiano gli insolenti ceceni, ma uccidono per qualche motivo i silenziosi tagiki.

Perché? Uno dei motivi è molto semplice. Il modo principale di legittimarsi dell'attuale regime è diventato qualcosa che si può chiamare “fascismo-light”.

Il fascismo-light è quando le persone responsabili della legittimazione della cleptocrazia dominante spiegano che la Democrazia Parlamentare è Chiacchiera, che una Grande Nazione ha bisogno di una Grande Guida e che l'Occidente non Ci Ama. E quando gli dicono: “Ma questo è proprio fascismo!” – rispondono: “Questa non è proprio l'ideologia ufficiale. E' che qualcuno ha detto qualcosa sul Seliger [11]”.

Il fascismo-light è quando “Quelli che vanno insieme” [12] gettano i libri di Sorokin [13] nella tazza del water e poi lo citano in tribunale, perché li ha chiamati fascisti. “Bruciare libri è un'azione fascista”, – spiegano, ma non li abbiamo gettati, non li abbiamo bruciati.

Fascismo-light è quando in piazza Triumfal'naja [14] bruciano i libri di Nemcov, ma non lo fanno “I Nostri” [15], bensì un qualche altro movimento: “Gioventù per la Russia”. Il fascismo-light è quando un movimento giovanile pro-Cremlino copia completamente gli slogan di Goebbels nella propria dichiarazione programmatica e poi ci dice: “Questo non è il movimento “I Nostri””. E' un qualche movimento “Acciaio”.

Il fascismo-light è quando creano movimenti pro-Cremlino innumerevoli come “ditte da un giorno” [16] per operazioni concrete: bruciare libri, impalare un simulacro di Alekseeva [17], ecc. e poi ci dicono: “Beh, questi non sono mica “I Nostri”. E' qualcun altro ancora”.

E' quando Putin, durante gli incendi che infuriano in Russia, non trova occupazione più importante che andare a un raduno di biker su moto a tre ruote. Guardate chi va alla sua destra – il capo dei biker Chirurg [18]. Dove pensate che fosse Chirurg durante i fatti di piazza del Maneggio [19]?

Durante tutto il governo di Putin alla società russa è stata accuratamente inculcata una psicologia da selvaggi. La televisione ha lavato il cervello agli spettatori, inculcando: “Noi viviamo peggio, ma siamo grandi”. Dopo le parole di Putin sui polacchi [20] a Mosca presero a picchiare professionalmente diplomatici e giornalisti polacchi. E l'epopea del Soldato di Bronzo [20] svoltasi in Estonia non fu già più neanche fascismo-light. Fu un tentativo consapevole di trasformare i russi che vivono in Estonia in emarginati, una sorta di somali in Europa, di fare di loro una quinta colonna e destabilizzare l'Estonia. Fu un consapevole incentivo al fascismo russo in un paese entrato nella NATO e nell'UE.

Il problema sta nel fatto che il fascismo-light non dura a lungo. Quando in un paese non c'è uno Stato, quando i funzionari esigono bustarelle e gli sbirri fanno commercio della giustizia, quando qualsiasi omicida viene liberato per soldi, non importa di quale nazionalità [22], allora il bestiame, istruito sul Seliger che “la Russia sta più in alto di tutto”, comincia, a differenza dell'élite, a prendere questo slogan sul serio.

Uno dei capi dei disordini nella piazza del Maneggio è risultato essere Vasja Killer, cioè Vasilij Stepanov, capo della presa del bunker dello NBP [23] nel 2005, noto per i suoi stretti legami con il movimento “I Nostri”. Pure là, nella piazza del Maneggio, è stato arrestato Valerij Zaborovskij, ex addetto stampa dell'organizzazione giovanile “Primo confine”, creata a Pskov [24] per la lotta con l'opposizione e in seguito membro di “Russia giovane”, il cui leader è Maksim Miščenko, che siede alla Duma.

E il 16 dicembre è avvenuta una confusione di uniformi. Dei blogger, tra cui anche tifosi di calcio, hanno fatto attenzione a un provocatore, che intenzionalmente faceva saluti romani davanti ai fotografi, poi si nascondeva dietro la schiena del capo della direzione informativa e dei rapporti con il pubblico del GUVD [25] della capitale Viktor Birjukov. Questi è risultato essere in fin dei conti un visitatore del Seliger che due anni fa faceva parte del movimento “I Nostri”, Levon Arzumanjan. Non ci sono notizie di una sua uscita dal movimento.

Il sig. Surkov ha avuto lo stesso problema della maggioranza degli stati arabi. I loro governanti non hanno condotto riforme, si sono abbuffati a quattro palmenti [26] e per spiegare alla popolazione il loro diritto al potere hanno detto: “Noi siamo musulmani”. Poi è arrivato Bin Laden e ha detto: “No, io sono musulmano. E voi siete merda [27]“.

Gli ideologi del Cremlino hanno pensato di volare a Londra, fare shopping a Parigi, abbronzarsi a Nizza e poi arrivare in volo al Seliger e spiegare là al bestiame: “Noi siamo russi”. Ma è arrivato il nostro Bin Laden russo e ha detto: “No. I russi siamo noi”.

Per la prima volta questo è diventato chiaro dopo gli omicidi di Markelov e Baburova. I loro assassini erano legati all'organizzazione “Immagine Russa”, incentivata nell'ambito del progetto di un nazionalismo controllato. Ma il nazionalismo è risultato incontrollabile. La surkovščina [28] si è trasformata in azefovščina [29].

Per una strana coincidenza, le attuali agitazioni sono praticamente coincise con la condanna di Chodorkovskij. Ed è difficile non pensare che nel 2003, quando Chodorkovskij fu arrestato, agitazioni su base nazionalista fossero impensabili. Impensabili erano anche le centinaia di kadyroviti [30], che siedono nel “President-Hotel” [31] in pantofole e con le Stečkin [32] e bande di nazisti che massacrano i chirghisi.

Una cosa segue l'altra. L'arresto di Chodorkovskij e la conseguente trasformazione dello Stato Russo in un feudo privato ha portato anche alla disgregazione dello Stato e a un'ondata di fascismo – tanto russo, quanto anche caucasico.

Julija Latynina
osservatrice della "Novaja gazeta"

22.12.2010, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2010/144/19.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Popolo mongolico della Russia meridionale.

[2] Popolo autoctono del Caucaso.

[3] Popolo autoctono del Caucaso.

[4] Uno dei gruppi di “teste di cuoio” russe.

[5] “Europeo”, centro commerciale e ricreativo di Mosca.

[6] Villaggio della Cecenia centrale.

[7] Gruppo etnico di cui fanno parte Ceceni e Ingusci.

[8] Città della Russia meridionale sul Mar Nero.

[9] Vladislav Jur'evič Surkov, “ideologo” del Cremlino.

[10] L'etnia maggioritaria del Kenya.

[11] Sul lago Seliger, nella Russia centro-settentrionale, si radunano ogni estate le organizzazioni giovanili putiniane.

[12] Una delle organizzazioni giovanili putiniane.

[13] Vladimir Georgievič Sorokin, scrittore concettualista non allineato.

[14] “Trionfale”, piazza del centro di Mosca.

[15] La principale organizzazione giovanile putiniana.

[16] Quelle che vengono create in Russia per compiere operazioni finanziarie illecite.

[17] Ljudmila Michajlovna Alekseeva, attivista per i diritti umani.

[18] “Chirurgo”.

[19] Piazza vicina alla Piazza Rossa, dove l'11 dicembre si sono scontrati tifosi neofascisti dello “Spartak”, caucasici e polizia.

[20] Putin ha polemizzato con i polacchi, giustificando in qualche modo lo sterminio di ufficiali polacchi compiuto a Katyn', in Bielorussia, per ordine di Stalin come rivalsa per la morte di decine di migliaia di soldati dell'Armata Rossa dopo la guerra polacco-sovietica degli anni 1919-1921.

[21] Monumento commemorativo della vittoria sovietica sulla Germania nazista demolito dagli estoni.

[22] Da intendersi come “popolo”, “etnia”.

[23] Nacional-Bol'ševistskaja Partija (Partito Nazional-Bolscevico), organizzazione d'opposizione di estrema sinistra.

[24] Città ai confini con l'Estonia.

[25] Glavnoe Upravlenie Vnutrennich Del (Direzione Centrale degli Affari Interni), in pratica la sede centrale della polizia.

[26] Letteralmente “a tre gole”.

[27] Sic.

[28] Qualcosa come “surkovismo”, con una sfumatura peggiorativa impossibile da rendere.

[29] Qualcosa come “doppiogiochismo”. Evno Fišelevič (o Evgenij Filippovič) Azef, rivoluzionario che faceva il doppio gioco per i servizi segreti zaristi, è il provocatore per antonomasia.

[30] Gli uomini dell'esercito personale del presidente ceceno Ramzan Achmetovič Kadyrov.

[31] Lussuosissimo hotel di Mosca.

[32] Pistole mitragliatrici russe.


http://matteobloggato.blogspot.com/2010/12/i-fascismi-contrapposti-della-decadente.html