18 maggio 2013

A proposito di wahhabiti (II)

Il wahhabita cammina per il paese [1]

Nessun rapporto e nessun istituto potranno rispondere sulle questioni sulla situazione del Caucaso del Nord finché non sarà risolta la principale di queste questioni: quale posto il Caucaso, in generale, occupa in Russia, ritiene Vadim Dubnov

16.05.2013, 09:50
 Osservatore politico
L'Istituto di Strategia Nazionale ha presentato il rapporto "Carta delle minacce etno-religiose. Il Caucaso del Nord e la regione del Volga". In realtà, come consegue dal testo, sotto attacco potrebbe rivelarsi di fatto tutto il territorio del paese.
Tra tutte queste minacce, tra cui gli autori annoverano anche il panturchismo, il separatismo regionale siberiano, il nazionalismo dei popoli ugro-finnici e perfino le sette, che "si formano nel corso del proselitismo dall'estero", gli autori si sono concentrati sul wahhabismo.
Secondo le stime degli autori, i wahhabiti sono circa 700 mila. "Nel 2013 comunità wahhabite sono state create in tutti i soggetti della Federazione Russa, ad esclusione del Circondario Autonomo dei Ciukci [2]", – segnalano gli autori del rapporto.
Wahhabismo per tutti
Bisogna dire che dei wahhabiti negli ultimi tempi hanno preso a parlare molto più di rado che al tempo in cui era a volte in uso perfino chiamare i talebani "wahhabiti afghani". Negli ultimi anni hanno chiamato i membri delle organizzazioni clandestine armate semplicemente banditi, talvolta islamisti, rapportandoli alla tradizione radicale mondiale. Talvolta, volendo sottolineare correttamente l'essenza puramente religiosa del radicalismo, salafiti. Il che, certo, è pure in misura considerevole convenzionale.
Anche per gli studiosi delle minacce etno-religiose il wahhabismo non è un concreto indirizzo dell'Islam, a cui, come pure al cristianesimo, non è estraneo il protestantesimo. Sotto il nome di wahhabismo, come ritengono gli autori del rapporto, "nella Russia contemporanea si intende di solito l'insieme delle branche dell'Islam aggressive e non tradizionali per la Russia". Probabilmente si stupirebbero molto scoprendo tra i wahhabiti sia i "Fratelli Musulmani", sia i rappresentanti di "Hizb ut-Tahrir" [3] (che nel rapporto chiamano semplicemente "chizbuty"), sia perfino gli estremisti della setta pakistana "Tablīghī Jama'at" [4]. Ma nel rapporto tutti questi ci sono per illustrare quanto "il wahhabismo russo è una corrente non uniforme".
Ma a quanto risulta, neanche religiosa. Nella parte di scienza delle religioni del rapporto tutto è detto senza mezzi termini: "Il wahhabismo fin dall'inizio fu creato come mezzo di lotta con gli stati che si indebolivano". Allora, come indicano gli autori, era l'Impero Ottomano, ma adesso, chiaramente, è la Russia. Questa come prima difende il proprio, per poco non il principale pezzo del fronte mondiale contro il wahhabismo mondiale, in cui wahhabiti sono sia al-Qa'ida, sia le folle della "primavera araba".
I wahhabiti ritengono l'Islam di tendenza sufi, tradizionale per l'Inguscezia, un male ideologico e già questo rende la situazione inguscia diversa da, diciamo, quella daghestana.
Forse di questo merita tener conto nell'analisi delle minacce etno-religiose? Sì, risponde uno degli autori, lo studioso di religioni Roman Silant'ev, le situazioni sono differenti, ma che significato ha? "Noi chiamavamo fascisti tutti – sia Mussolini, sia Hitler, sia i seguaci di Bandera [5]. Certo, tra loro c'erano differenze. Ma per noi restavano tutti fascisti e questo non dava noia a nessuno. Così come con i wahhabiti".
E perché tutto diventasse finalmente chiaro, il presidente dell'Istituto di Strategia Nazionale Michail Remizov ha aggiunto: "Per noi il wahhabismo è tutto ciò che è cattivo, tutto ciò che è anti-Russia, anti-russo, che minaccia la nostra integrità".
I russi per la periferia etnica
Ma è molto bene che l'Istituto di Strategia Nazionale abbia scritto questo rapporto. Per lo studio di tutti gli stereotipi esistenti sulla natura della protesta del Caucaso del Nord e delle tristi prospettive della lotta con essa il rapporto è inestimabile.
Infatti, in realtà, è così semplice e così bello: ridurre ciò che accade a "minacce etno-religiose". Le minacce interne naturalmente sono la prosecuzione di quelle esterne, cosa su cui insistono quasi tutti gli autori. E non si tratta solo del fatto che, come sempre, ci siamo "Noi" e ci sono "Loro". Si tratta del fatto che "Noi" e "Loro" sono designati con tutta precisione scientifica.
Nel rapporto dedicato alle minacce etno-religiose tra le raccomandazioni per il potere una di quelle fondamentali è il mutamento della posizione dei russi, l'ampliamento della loro partecipazione al governo e del tutto direttamente: per mezzo di loro lo stato deve difendere in questa, com'è detto, "periferia etnica della Russia" i propri interessi: "La presenza/posizione dei russi in questa o quella regione della Russia è strategicamente equivalente alla presenza dell'entità statale russa".
Alla presentazione del rapporto Jana Amelina dell'Istituto Russo di Studi Strategici ha pronunciato coraggiosamente ciò che deriva dalla logica del rapporto, ma che agli altri partecipanti alla ricerca finora non riesce pronunciare in modo così diretto: il wahhabismo è pericoloso perché interviene contro l'ortodossia e la spina dorsale dello stato – il popolo russo.
Una guerra senza una fine vittoriosa
Il rapporto, tra l'altro, ha una qualità molto grande: è interiormente contraddittorio. Diciamo che la sezione sulla situazione del Caucaso del Nord, a differenza delle ricerche di storia delle religioni, è stata scritta dai professionisti Andrej Epifancev e Sergej Markedonov.
I loro coautori sono inclini a ritenere wahhabiti tutti quelli che non condividono le posizioni dell'Islam ufficiale e a ritenere chi non ritiene così, diciamo il presidente del Consiglio dei Muftì di Russia Ravil' Gajnutdin e certamente la "Novaja gazeta", una lobby wahhabita. E sostengono l'Islam tradizionale proprio perché è leale nei confronti dello stato.
Ma proprio con questa lealtà Epifancev e Markedonov spiegano l'essenza della stratificazione religiosa del Caucaso del Nord: "Nell'interpretazione di una non piccola parte di caucasici musulmani l'Islam tradizionale è la prosecuzione di un potere per loro odioso e questo spinge sempre più lontano da esso una significativa massa di popolo. In questo senso annoverare automaticamente tutti gli oppositori del clero ufficiale nel novero dei "nemici della Russia" sarebbe un grosso errore".
Tuttavia nell'idea degli altri autori del rapporto i wahhabiti sono 700 mila, sono ovunque e sono tutti nemici. Del fatto che il potere finalmente si sia convinto che tenere trattative con i wahhabiti sia insensato lo studioso di religioni Roman Silant'ev ha parlato con una qualche soddisfazione per niente da scienza delle religioni.
Di proposte corrispondenti il rapporto è pieno. Diciamo, proibire per legge il wahhabismo. Qualsiasi contatto con i rappresentanti delle organizzazioni clandestine è ritenuto dannoso e pericoloso, l'espressione "guerra fino alla fine vittoriosa" non è usata, ma è evidentemente sottintesa e la questione è solo far tornare nell'entità statale russa i popoli usciti da essa.
Perché, lamentano gli autori, risulta che alla Russia questi popoli si riferiscono con disprezzo e altezzosamente, ma appena succede qualcosa, subito si nascondono dietro la loro cittadinanza russa. E' necessario privare questi popoli di tale comodità.
Senso civico a prezzo accessibile
In questo sta il problema di qualsiasi rapporto del genere, anche se in esso il wahhabismo non è considerato una forma di fascismo. E' una cosa più seria.
Infatti nel rapporto si nota giustamente: negli anni '90 il popolo esigeva che si combattesse perché la Cecenia restasse Russia, ma adesso è tutto il contrario, sempre più si discute dell'erezione di un muro e non c'è neanche alcun separatismo.
D'altra parte i rapporti del centro con le repubbliche del Caucaso del Nord sono costruiti precisamente come per secoli sono stati costruiti nel genere coloniale, comprando la nobiltà locale e niente cambia. Infatti nessuno per due secoli ha mai inventato alcun modello più comodo per i funzionari sia a Mosca, sia a Nal'čik [6].
In Daghestan dicono che non si sentono Russia e invidiano la Cecenia, dove, come risulta per loro opinione, si sentono Russia, per cui si pone la semplice questione del prezzo a cui si compra questo sentimento. Per amor di giustizia bisogna riconoscere che secondo questo schema coloniale sono costruiti i rapporti federali in generale – strapotere sul territorio subordinato in cambio di lealtà e cifre giuste alle elezioni. Ma a Rjazan' [7] il senso di appartenenza alla Russia non è messo in dubbio per chiare ragioni, per quanto rubino i funzionari.
Ma come fare in quei posti che ancora considerano colonie non certo solo gli autori del rapporto sulle minacce etno-religiose della Russia?
Quali raccomandazioni si possono dare qui? Come si spiega, a grandi linee, a parte l'idea di trasferire nello JuFO [8] il Kuban' [9] e la regione di Stavropol' [10] russi, far aumentare il rispetto per i cosacchi e proibire il wahhabismo, l'appello è uno: solo con l'aumento della lealtà nei confronti dello stato si può risolvere il problema delle sfide etno-religiose.
Non c'è di che discutere. Solo che sullo stesso stato, a causa della cui organizzazione per molti versi i musulmani fuggono via dall'Islam leale nei confronti di questa organizzazione, nel rapporto non c'è una parola.
L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione
"Kavkazskaja politika", http://kavpolit.com/vaxxabit-shagaet-po-strane/ (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Allusione allo slogan pubblicitario del recente film russo "Gli abeti", "L'anno nuovo cammina per il paese" (l'abete, secondo l'usanza sovietica, si ricollega al laico Capodanno e non al religioso Natale).
[2] Territorio nell'estremità nord-orientale della Russia asiatica.
[3] "Partito di Liberazione", partito-setta islamico fondato in Palestina.
[4] "Società per la Diffusione della Fede".
[5] Stepan Andrijovič Bandera, leader nazionalista ucraino che per ottenere l'indipendenza del proprio paese si alleò anche con i nazisti invasori dell'URSS.
[6] Capitale della Repubblica Autonoma di Kabardino-Balkaria.
[7] Città della Russia centrale.
[8] Južnyj Federal'nyj Okrug (Distretto Federale Meridionale).
[9] Regione corrispondente al bacino dell'omonimo fiume della Russia meridionale.
[10] Città della Russia Meridionale.
[11] Russkoe Informacionnoe Agentstvo (Agenzia di Informazione Russa) "Notizie".
 
 

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