26 settembre 2010

A proposito del Daghestan

Le ricerche dei wahhabiti [1] sui monti del Daghestan




Il nostro capo principale ha telefonato a Mosca e ha chiesto soldi, – mi ha detto il guidatore di una vecchia Žiguli [2], su cui portava la nostra piccola troupe. – E Putin ha risposto: “Ho già mandato qualche miliardo [3] in Daghestan , davvero non vi basta?” – “A noi basta, – ha detto il capo. – Grazie, Vladimir Vladimirovič! A noi i soldi bastano, ma al popolo non bastano!”

Barzelletta vecchia, ma molto azzeccata...

Nella repubblica non ci sono trenta, non ci sono quaranta popolazioni, ne scrivono in ogni modo. Ma di lingue diverse là se ne contano circa un centinaio. “Daghestan” tradotto significa “Paese dei monti”. Là ne ho già sentita un'altra: “Il Daghestan è il monte dei popoli e delle lingue” – parola di un intellettuale locale. Mi è piaciuta. Ho deciso di intitolare proprio così il nostro film della serie dedicata ai piccoli popoli della Russia. Ma più tardi ho inventato un titolo che mi pare più interessante: quello sulla testata dell'articolo.

Quando la nostra troupe da Mosca si è diretta in Daghestan, ci siamo sentiti dire dietro: “Dove vi portano i diavoli? Là sparano, fanno saltare in aria! E se vi prenderanno in ostaggio, dove troveremo i soldi per il riscatto?”

Siamo partiti tutti in volo non senza timore.

– Come vi hanno accolti nei vari luoghi del Daghestan? – mi hanno domandato dei ragazzi del villaggio di alta montagna di Riča [4], l'ultimo dei cinque villaggi in cui siamo stati.

– Ci hanno accolti benevolmente, in modo ospitale, – ho risposto sinceramente.

– E perché in Russia non ci accolgono così bene? – hanno voluto sapere gli adolescenti. In estate sono stati ospiti a Rostov [5]. I coetanei locali si sono rifiutati di fare amicizia con loro, li chiamavano “čurki[6], “wahhabiti”, “terroristi”, li evitavano.

I monti e i montanari del Caucaso sono facili da immaginare come nelle rappresentazioni sui pacchetti di sigarette sovietiche Kazbek [7]. Uno spavaldo cavaliere con un mantello galoppa su un cavallo che quasi vola sullo sfondo di cime innevate. E si può supporre che i montanari vivano di questo, di galoppare e combattere. Una vita tumultuosa del genere. Quello che abbiamo visto nei villaggi montani del Daghestan è stata una totale sorpresa. Sapete di cosa si occupano questi montanari, questi abreki [8], nati per essere spavaldi cavalieri? Di galoppate, rapine, guerre? Là dove siamo stati, nei villaggi di alta montagna, la gente vive soprattutto piantando e facendo crescere patate, carote e cavoli. In tre settimane i cavalieri ci sono passati davanti agli occhi solo qualche volta. Più spesso abbiamo visto qualcuno su un asino, ma chiamarlo un cavaliere era difficile. Di solito per strada incontravamo asini carichi di sacchi pesanti e accanto i loro padroni carichi come gli asini.

La neve sulle cime rocciose dà acqua ininterrottamente. Di fonti, piccoli fiumi e fiumiciattoli sui monti ce ne sono molti, il sole a grandi altezze è moderato, non scotta. Di terra fertile, a dire il vero, ce n'è poca. Sulle rocce i montanari costruiscono le abitazioni, e là dove il terreno compare a brandelli, fanno terrazzamenti. In questi si stratificano stracci di vari tipi di orti. Le carote sui monti crescono dolci come cocomeri, le patate sono grandi, pulite, friabili. I cavoli sono bianchi come neve, senza macchie e difetti. Non si usa niente di chimico. In primo luogo, per i contadini sono cose troppo care, in secondo luogo, portare concimi chimici a un'altezza di oltre duemila metri per strade cattive e pericolose significa raddoppiarne il costo e in terzo luogo a che servono, quando ogni famiglia ha mucche e pecore? Il concime è proprio sotto i piedi, lo raccogli in sacchi e lo porti nell'orto.

Tutto è fatto manualmente. Non c'è tecnica, solo pale e sacchi. Una famiglia è in grado di far crescere e raccogliere tre-quattro tonnellate di patate all'anno. I tirchi pagano sette-otto rubli [9] al chilo, poi portano gli ortaggi a Stavropol' [10] e anche a Mosca. L'anno scorso nel villaggio di Usiša la metà delle patate è stata venduta a questo prezzo, ma il resto nessuno l'ha voluto neanche a un rublo [11] al chilo. Una parte è marcita, con una parte è stato nutrito il bestiame.

Ascoltando i contadini, ho condiviso con loro un'inquietudine: a Mosca sentiamo sempre di esplosioni, ostaggi e omicidi a colpi d'arma da fuoco in Daghestan. Ma questi, a loro volta, hanno raccontato che tali notizie di omicidi e altri atti di violenza giungono a loro per radio e televisione anche da Mosca e da altre città russe. Là da noi consideriamo il Daghestan un punto caldo, ma per loro anche Mosca è un punto caldo. “In un modo o nell'altro viviamo in un solo paese”. Non c'è da stupirsi, le usanze sono le stesse. Ma più ci si allontana dalla capitale, più si abusa di queste usanze.

Ho intitolato il mio film “Le ricerche dei wahhabiti sui monti del Daghestan”. Ciò significa che di wahhabiti (nel nostro modo di intendere – di terroristi) nei villaggi montani dove abbiamo potuto soggiornare non ne abbiamo trovati. La gente vive la vita naturale degli agricoltori, tutto l'indispensabile lo ottengono con il proprio lavoro. La ricchezza non si accumula in alcune mani, non c'è niente da ammucchiare, non sono gente da fare i terroristi. Piegano la schiena sugli orti e pensano a come arrivare alla primavera successiva.

– E' una barzelletta, probabilmente, ma la gente racconta che il nostro capo principale ha telefonato a Mosca e ha chiesto soldi, – mi ha detto il guidatore di una vecchia Žiguli, su cui portava la nostra piccola troupe. – E Putin ha risposto: “Ho già mandato qualche miliardo in Daghestan, davvero non vi basta?” – “A noi basta, – ha detto il capo. – Grazie, Vladimir Vladimirovič! A noi i soldi bastano, ma al popolo non bastano!” Credetemi, fanno tutto quelli con le mostrine! Ne hanno ucciso uno, ne hanno ucciso un altro… Per qualcuno non c'è posto, tolgono di mezzo qualcuno e ci mettono uno di loro. Chi ha le armi, ha il potere. Chi ha il potere, ha i soldi. Quelli con le mostrine si uccidono a vicenda. La Russia manda qui soldi e questi se li spartiscono. E si spartiscono gli incarichi. Grande potere – grandi soldi. Gli uomini delle strutture armate sparano a uomini delle strutture armate. Hanno a disposizione armi automatiche ed esplosivi. E questi fanno ordine. Uccidi a colpi d'arma da fuoco una persona, la chiami “militante” e ricevi anche un premio. A noi questi atti terroristici e questo sangue non servono a niente. Che facciano saltare in aria qualcuno da voi o facciano saltare in aria qualcuno da noi, significa che ovunque sia capiterà una disgrazia anche a me. Che sia a Machačkala [12] o sia a Mosca. In un modo o in un altro viviamo in un solo paese!

Dobbiamo ammettere che in Daghestan noi, ospiti di Mosca, siamo stati accolti proprio bene. Da loro sui monti quando si incontra una persona qualsiasi, conosciuta o sconosciuta, usa chiedere se è stanco, se ha bisogno di aiuto. All'inizio ero smarrito. Se qualcuno mi vedeva in mano molte cose, il cavalletto, la borsa con la cinepresa o altro, mi si avvicinava, in silenzio prendeva qualcuno dei miei pesi e li portava. Poi obbligatoriamente mi invitava a casa, mi offriva un tetto, cibo, aiuto. Chiunque abbiamo incontrato là era benevolo ed estremamente gentile, l'ospite veniva prima di tutto. Campagna, in una parola! Gente semplice, buona, non pervertita dalla vita cittadina a più piani.

Non parlo, si capisce, di tutto il Daghestan. Nella repubblica si trovano sia nobiltà d'animo, sia corruzione, sia disinteresse, sia tangenti e banditismo. Parlo esclusivamente di quella gente che vive in singole isolette in alto sui monti, con la propria, singola lingua [13] e i propri costumi.

Non c'è gas, le case sono riscaldate con il kizjak, letame secco mischiato con paglia. Le strade sono cattive. Altro lavoro che dar di pala e pascolare pecore non è previsto. Ma la televisione stuzzica, in televisione tutto è bello. I giovani se ne vanno. Ma a Mosca questi, ospiti delle soleggiate repubbliche sorelle, vengono accolti con sfiducia e odio. Si spingono a centinaia nel metrò, stanno appoggiati ai muri per ore, conversano rumorosamente, irritando non solo le teste rapate – gli skinheads –, ma anche i pacifici passeggeri, sostenitori dell'amicizia tra i popoli di tutte le razze e di tutte le fedi. Vengono quelli a cui la Russia ha insegnato la lingua russa e li ha fatti propri cittadini. Con la speranza di trovare lavoro e felicità vanno là, non a Londra. Tra loro ci sono sia persone oneste, sia disoneste, buoni e cattivi. Tutti sono senza soldi, senza lavoro, senza casa – sbirri e datori di lavoro li inganneranno, umilieranno e deruberanno allo stesso modo. Tutti questi – sia buoni, sia cattivi – faranno la scuola dell'inganno e della viltà, acquisiranno i concetti e le abitudini legati ad essi e agiranno di conseguenza. E anche chi era buono diverrà cattivo. Altrimenti non sopravviverà. E il loro odio verso di noi e il nostro verso di loro ogni giorno crescerà soltanto. “In un modo o in un altro viviamo in un solo paese!”

In risposta alla domanda dei ragazzi del villaggio di Riča sul perché in Daghestan i russi sono accolti bene e i daghestani in Russia sono accolti male, ho pronunciato molte parole forti sull'amicizia tra i popoli, la comprensione e il rispetto reciproci e la tolleranza. Non sono sicuro di aver convinto questi bravi ragazzi. So solo che di quello che ho detto non ho potuto convincere me stesso.

Tofik Šachverdiev [14]

24.09.2010, "Novaja gazeta", http://www.novayagazeta.ru/data/2010/106/15.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Da intendersi come “estremisti islamici”.  

[2] Modello della Lada che riprende la Fiat 124.


[
3] Un miliardo di rubli sono oltre 24,1 milioni di euro.


[
4] Villaggio del Daghestan meridionale.


[
5] Città della Russia meridionale.


[
6] Dispregiativo per “turchi”.


[
7] L'immagine delle sigarette Kazbek (prodotte per altro a Leningrado prima e sui
monti Altai poi) era piuttosto di genere e inoltre il monte raffigurato non era il
Kazbek georgiano, ma l'Elbrus.


[
8] Briganti caucasici. Il corsivo, qui e altrove, è mio.


[
9] Meno di 0,2 euro.


[
10] Città della Russia meridionale.


[
11] Circa 0,02 euro.


[
12] Capitale della repubblica autonoma del Daghestan.


[
13] Non è un'esagerazione, nel Caucaso vi sono lingue parlate in un solo villaggio
e senza parentela con altre.


[14] Regista russo.



http://matteobloggato.blogspot.com/2010/09/laltro-caucaso-quello-vero.html


2 commenti:

Anonimo ha detto...

non credo che i soldi li ha dati Putin,potrei essere stata io ma no Putin.

Matteo Mazzoni ha detto...

@Anonimo: ?