25 novembre 2009

A proposito di guerre fratricide

Ho visto crollare il mondo [1]



Storia della caduta del villaggio di Vanati – l'ultima isoletta di buon senso nel mare di follia georgiano-osseto


Beh, come va là nel mio caro villaggio di Vanati?
– Non c'è più, mia cara.
– Come non c'è più?
– E' stato distrutto. Completamente.

Da una conversazione con la nostra corrispondente Elena Milašina, tornata dall'Ossezia del Sud


Ecco cosa sapevo davvero: comunque si metta la mia vita, giungerò invariabilmente fino a Vanati.

Dio non mi ha concesso le forze per giungere fino a questo villaggio dell'Ossezia del Sud subito dopo la guerra.

…Settembre 2009. Sono a Beslan. Da qui a Vanati – è vicino.

…Senza arrivare fino a Cchinvali [2], lasciamo la strada che è stata battuta da me per otto anni.

Sì, sì, ogni autunno, a cominciare dal 1992 fino al 1999 compreso, sono andata per lo stesso percorso: Tbilisi – Gori [3] – Èredvi [4] – Vanati – Saccheneti. Non c'è stato un caso in cui mi sia persa un solo autunno.

…1992. Sto al posto di blocco del battaglione delle forze di pace di Nikozij [5], battuto da venti e pioggia. La mia strada andava a Cchinvali. Al quartier generale delle forze miste per il mantenimento della pace e dell'ordine legale.

Mi si avvicinò un giovane con la fascia della Croce Rossa. Aspettava che gli facessero avere dei medicinali.

– Non vuole vedere come vivono da anni bambini e vecchi sotto tiro? – chiese, non sperando molto in una risposta.

– Lo voglio, – dissi.

Tre giorni dopo venne a cercarmi con un Ural [6]. Ci muovemmo verso Vanati, aggirando i villaggi osseti.

Mi alloggiarono nell'edificio di un ospedale con le finestre sfondate. Tèmo Soznašvili – medico del battaglione delle forze di pace. Lavora a contratto. Ha bisogno di denaro per trasportare la sua grande biblioteca da Tbilisi a Ekaterinburg [7], dove vive con la famiglia.

Ho vissuto un'intera settimana in questo strano territorio caucasico. Proprio qui ho sentito tutta l'assurdità e l'insensatezza della guerra tra osseti e georgiani. Tèmo mi chiese di non dire a sua madre com'era pericoloso lì.

“Qual è il pericolo?!” - ripensai ingenuamente. Rumoreggiavano fiumi di montagna, impressionavano le antiche fortezze costruite sulle cime dei monti. Cadevano noci. Per le strade vagavano strani cani. Cani normali, ma c'era qualcosa dei lupi nel loro comportamento. Non guardavano dritto negli occhi. Abbassando la coda, si avvicinavano alle persone di fianco. E non abbaiavano.

Il villaggio non aveva accettato la guerra. Fin dalle origini era osseto-georgiano. Qui non si era ancora diviso tutto per nazionalità. Quasi ogni famiglia ha il proprio dramma. Lo ha definito precisamente Liza Chaduri:

– Sono colpevole due volte. La prima, quando io, osseta, ho sposato un georgiano. Perciò l'hanno ucciso. La seconda, quando dal georgiano sono nati due bambini. Hanno ucciso anche loro.

Tre morti in un anno.

…La casa della georgiana Zamira è semidistrutta, perché il primo presidente della Georgia Zviad Gamsachurdia aveva ordinato: le case danneggiate dal terremoto vanno rimesse in sesto solo ai georgiani e il marito di Zamira è osseto.

– Dimmi, può essere? – mi chiede l'insegnante Sevasti. – Ieri era un fratello, oggi è un nemico.

No, non può essere!

…Vachtang è di Tbilisi. Vanati è il suo luogo natale. Qui è nato suo figlio Iosif. La sua frase preferita è di un vecchio filosofo: “Voglio salvaguardare la verità!”. La verità sta nel fatto che per secoli su questa terra hanno vissuto due popoli dai destini intrecciati come quelli di nessun altro popolo al mondo. Gli osseti e i georgiani. Anche Iosif, figlio di suo padre, ha salvaguardato la verità. Una volta, alle mie ennesime grida per la bellezza di Vanati, ha detto: “Non posso amare il mio villaggio”. Ha mostrato i resti di una casa bruciata.

– Ma è la guerra… – ho farfugliato.

– Chiedimi di chi è questa casa e te lo dirò…

L'ho chiesto.

– E' la casa di un osseto. L'hanno bruciata i nostri. Può esser bello un villaggio, se c'è una casa del genere? La bellezza se n'è andata dal nostro villaggio.

…Il bel Georgij è osseto. E' un boscaiolo. E' sposato con la georgiana Tanja, insegnante di fisica. Non può riconciliarsi con il fatto che gli appezzamenti siano determinati per nazionalità. Come osseto lavora in un appezzamento osseto.

– Colpiscono sul vivo, – ha detto.

…Una volta la folla si è radunata presso la casa del boscaiolo. Chiedevano che Tanja uscisse. E' uscito. Dalla folla infuriata l'hanno salvata gli allievi. Ma in quella folla ha incrociato lo sguardo con un suo allievo. Il giorno seguente questi è andato dall'insegnante a dichiararsi pentito. Tre giorni dopo il pentimento si è ucciso.

– Sarebbe stato meglio se avessero ucciso me ed egli fosse rimasto in vita, – dice Tanja.

…Lira è figlia di Georgij e Tanja. Ha sentito tutto l'orrore della guerra su di se. La famiglia si è divisa. Padre e figli vivevano a Cchinvali. E la madre gli portava cibo da Vanati andando in slitta per sentieri segreti.

– Ho visto tutto questo con i miei occhi. So che è successo ma non credo che ciò sia accaduto.

La vita riservava ogni giorno sorprese che dovevano far nascere divisioni. Ma il villaggio reggeva, duro e inflessibile, stavano saldi i monti, che, a credere a Važa Pšavela [3], pensano i propri pensieri.

Amavo Vanati per questo spirito di resistenza alla follia. Perché nessuna vittima diventava motivo di vendetta.

C'era un'altra circostanza che mi toccava profondamente. Appena usciti dagli allarmi di guerra, ricordavano solo i casi che confermavano una verità immutabile: noi siamo fratelli.

Quale avvenimento fondamentale è accaduto nella vita dell'insegnante Sevasti? Sua figlia viveva a Cchinvali. Hanno dato fuoco alla casa. E allora un'osseta di nome Nadja (“Non scriva il cognome, si troverebbe un po' di nemici”…) nel buio pesto della notte ha sfondato la porta della casa in fiamme gridando “Mettetevi in salvo!”. Sua figlia si è salvata. E oggi in un villaggio osseto su una cima seppelliscono una parente di Nadja. Tutta la famiglia del vecchio insegnante è andata al funerali sui monti.

…La trentasettenne Guliko, madre di quattro figli, racconta: un anno fa gli osseti organizzarono un assembramento a Marmazeti [9]. Le donne di Saccheneti andarono verso i monti. Le circondarono. Decisero di bruciarle. Guliko fu messa in una stanza a parte. A guardia misero un ragazzino sui tredici anni. Si comportava stranamente: si copriva il volto con il giubbotto, faceva qualche segno. La riconobbe. Guliko aveva lavorato in un collegio di Cchinvali. Alla fine gettò l'arma rumorosamente e indicò la porta. Guliko si salvò. Si salvarono anche le donne

Comparve LUI. Vecchio. Osseto. Si gettò ai piedi degli incendiari e gridò: “Uccidete me! Bruciate me. Lasciate andare le donne!”.

Da allora ho cominciato a raccogliere storie di georgiani sugli osseti, di armeni sugli azeri, di russi sui ceceni, di georgiani sugli abcasi. L'inizio a questi racconti fu dato a Vanati. Ciò fu il pegno di ciò che è indistruttibile nell'uomo – la sua essenza umana.

Adesso lo sapevo: ha un futuro il popolo, che mantiene nella memoria delle generazioni storie sugli uomini come fratelli.

Mèdzebe!

Il medico Tèmo si rivelò nel giusto. Vanati era comunque un posto pericoloso. Scomparve senza lasciare tracce il giorno dopo la mia partenza.

…1999. Novembre. Rusiko, madre di Tèmo, spera comunque ancora di trovare il corpo del figlio. Sono sette anni che vaghiamo per i villaggi dei dintorni.

…Ecco che già si vedono i villaggi osseti di montagna. Gli abitanti di questi luoghi conoscono bene Rusiko.

– Comunque cerco ancora mio figlio, – si rivolge agli osseti. – Mi appare ogni notte in sogno e dice: “Mèdzebe” (“Cercami”). Non ce l'ho con voi. Davanti a Dio siete giustificati. Potrebbero averlo ucciso i suoi.

Chiedo a Rusiko:

– Pensi davvero che l'abbiano ucciso i georgiani?

– Non si tratta di questo. Anche una madre osseta ha perso il proprio figlio. Come sta? Come me.

Quando Rusiko è andata nei villaggi di montagna, l'ha aiutato un giovane osseto. Era nella neve fino al collo. Adesso per lei è come un figlio.

…Rusiko e Tanja parlano in georgiano. Da come è scoppiata a piangere la madre di Tèmo, capisco: ha saputo come hanno ucciso suo figlio.

– Adesso non verrai da noi? – chiede Zamira e per qualche motivo si dirige in soffitta – cerca un calendario del 2000.

Zamira è stata derubata. E sa chi è stato.

– I miei topi hanno mangiato molto granturco, ma non sono diventati un gatto. Così questi. Bisogna vivere in modo da non aver nulla che possa essere rubato. Ecco, dirò ai bambini di portare un materasso. Avrai dove dormire. Non dimenticare di venire in tempo l'anno prossimo.

Ed ecco il calendario. Devo ricordare: il dieci, il diciassette e il ventiquattro settembre 2000 saranno i giorni di san Giorgio – feste del villaggio osseto di Geri. E' un villaggio di montagna. Là c'è già la neve ora.

Se ancora qualche anno fa i georgiani avevano paura di andare nel villaggio, quest'anno, il novantanove, è arrivata molta gente. Perfino da Tbilisi.

– Saliremo a Geri per dire: non c'è stato nulla! Vivremo come fratelli, – disse Zamira.

Imparo un'invocazione a Gmerti. A Dio. “Nu dagvašorebt èrtmanets [10]!” Non dividerci, Signore! Non dividerci!

Da allora sono passati esattamente dieci anni. Il Signore non ci ha ascoltato di nuovo. Li hanno divisi.

Cchinvali è coperta di cartelli, in cui si esprime gratitudine alla Russia per aver tagliato il nodo mortale (?!). L'ha rotto alla Russia.

Ed è vero! L'ha rotto.

Sorella mia!

Comunque immaginarsi che né Vanati, né Èredvi non potessero esserci semplicemente più era impossibile.

Era possibile! Eccome…

Eccola, la casa di Zamira, distrutta due volte. La prima volta come casa di un osseto, la seconda come casa di una georgiana.

A Saccheneti troviamo la casa dell'osseta Marija. Suo marito è paralizzato. Marija si muove con un bastone. Il cortile è coperto di gemme di granturco e baccelli di fagioli. La mucca si è rotta una zampa. Di curarla non si parla neanche. Tocca ucciderla. Ha già perso una mucca. Ha trovato persone di buona volontà. Hanno portato un sacco di farina e zucchero – per una mucca. L'hanno ingannata.

Nei dintorni non c'è un'anima.

Chiedo dei suoi amici. Marija si mette a piangere. Piange amaramente e forte. Mi abbraccia e sento (lo sento ancora!) che si lamenta in russo:

– Sorella mia! Sorella mia!

L'errore fatale di Marija, come poi capii, stava nel fatto che qualche volta precedeva la frase russa con la parola georgiana “genecvale[11].

Mi frugo in tasca. Prendo qualche centinaio di rubli [12]. Glieli metto in tasca. Sono proprio centesimi. E mi vergogno perché non possiamo aiutarla in nessun modo. In nessun modo!

Marija dice che Tat'jana e Georgij vivono nella loro casa. Signore! Giusto! Dammi di incontrarli.

Un tempo questa casa era bella. Ci ho dormito più di una volta. Nei primi anni non c'era la luce. Ci raccoglievamo al fuoco di una stufetta. Cuocevamo mčadi focacce di granturco. E comunque eravamo tutti vivi. Sembrava che le nostre infelicità fossero alle nostre spalle. Chi avrebbe potuto pensare che Tanja sarebbe stata di nuovo cacciata dal villaggio. E il boscaiolo allora privato dell'uso delle gambe dirà: “Morirò, se lei non ci sarà”.

…Due cani, un tempo cattivi, si sono sdraiati all'ingresso della casa e non reagiscono in alcun modo al mio arrivo.

Georgij è steso immobile su un divanetto. Marija diceva che è diventato cieco. Si è ricordato di me. Non si è messo a raccontare i pogrom. No, voleva comunque dire qualcosa. Si è coperto il viso con una mano e attraverso le dita scorrevano lacrime. L'unica cosa che ha detto: “Nessuno saprà la verità”.

Tanja non c'era. Era andata a cercare una mucca. Volevo fare una foto. La mia mano non riusciva a prendere la macchina fotografica. Georgij piangeva ancora silenziosamente. Quando me ne sono andata, ha detto la stessa frase: “Morirò, se lei non ci sarà”.

Sono passata vicino alla scuola in cui insegnava. Uno spettacolo terribile – una scuola che non c'è. Riconoscere le case in cui vivevano le persone che amavi non pareva possibile. Ogni anno prendevi delle ferie a tue spese per fare migliaia di verste [13] per dire una volta: “Salve!”. E questi ti diranno: “Perché sei venuta così tardi stavolta? I cachi non ci sono già più”. Diranno così, come se si trattasse solo dei cachi e in realtà ci fossimo lasciati ieri. Sarà rovente la stufetta in casa di Vachtang e Natella e le nostre ombre saranno più alte di noi. Non sapevamo che in realtà allora eravamo felici. Non ci poteva venire in mente che le cose più terribili erano davanti a noi, che semplicemente non avremmo potuto essere su questa terra.

In realtà su questa terra non ci sono neanch'essi.

…Lasciamo Vanati. L'autista Kazbek pronuncia la frase: “Tutti questi osseti che vivevano qui sono traditori del popolo osseto”.

Taccio. Da quel momento la parola “traditore” sarà come una frustata su chi non ha preso parte all'euforia per la vittoria e si è permesso di provare dolore per il vicino.

– Forse sai chi era David Soslan [14]? – chiede Kazbek. Di punto in bianco.

– Lo so, – dico. – Ma peraltro, di che si occupava?

– Di che? Ma di nulla! Semplicemente andava a letto con la regina di Georgia – ed è tutto!

E' così. Solo così. Fece il caratteristico gesto di disprezzo. Alla fine della strada chiuse i conti: “Sono dei senzadio, questi georgiani”.

Ecco la forza della distruzione. Sono rotte tutte le barriere difensive.

Ma sul petto ho la croce di santa Nino [15], benedetta nella chiesa di Kašveti [16]. Chiudo stretto il colletto…

...La cameriera del caffè si chiama Nana.

– Che bel nome georgiano…

– Ma che dice?! E' un nome francese.

…L'autista del posto si chiama Raul'. Racconta i duri anni di isolamento.

– A cosa è più difficile di tutto abituarsi? – chiedo.

– Ci si può abituare al freddo. Al freddo. La cosa più difficile di tutte è abituarsi ai georgiani.

E questa andò a dedicarsi ai suoi affari…

Non c'è stato niente! Né matrimoni misti, né bambini nati, né nipoti, né pronipoti.

Molto piano e prudentemente, quasi a mezza voce parlano d'altro.

– E' bene che abbiano chiuso la frontiera. In precedenza andavano tutti a Lilo (mercato in Georgia), accumulavano gratis merci turche e ora?

– In cosa era bella la Georgia? Nei suoi contadini. I pomodori dalle nostre parti non sono mai costati più di 10 rubli [17]. E ora ne costano cinquanta. Come si fa a vivere…

– Sai cosa ho capito? I matrimoni misti non devono esserci. Mio marito è osseto, io sono georgiana. E mio figlio? E' lacerato. Ha combattuto. Vide un vecchio georgiano ucciso. Per qualche motivo il suo volto era coperto da un giornale. Mio figlio dice: “Mamma, mi è dispiaciuto tanto per lui”. Si vergognava che gli fosse dispiaciuto.

– Prendi un'antologia di prosa osseta e guarda quali testi moderni ti piacciono. E poi dai un'occhiata alle note. Gli scrittori osseti del sud [19] risultano i migliori. L'Ossezia del Sud ha mantenuto la propria lingua. Davvero c'è stato un genocidio?

Incurvato

Siamo in tre: il giornalista osseto del sud Timur, il politologo dell'Ossezia del Nord Vissarion e io.

L'autista si chiama Mucharbek. E' lui che ha fermato la macchina e si è diretto di corsa verso il fuoco. Bruciavano… libri. Molti libri. Uno spettacolo orribile. Bruciavano Shakespeare e la “Storia della letteratura sovietica”, libri di linguistica e una monografia sugli illuministi francesi. Salvare i libri era difficile. Ma Mucharbek li ha estratti dal fuoco.

– Ma lasci questa “Storia della letteratura sovietica”, – ho consigliato.

– Ma cosa dice? C'era un paese. Grande. Comune. Il paese non c'è più, ma il libro c'è…

E' lui che ha salvato dal fuoco un tomo di colore blu. Sulla copertina ci sono tracce di cenere di altri libri. In grafia ornamentale georgiana bianca è indicato il nome – Mikaèl Modrekili. Titolo: “Inni del Х secolo”. Abbiamo detto tutti “Ah!”.

Modrekili si traduce come incurvato (non in grado di raddrizzarsi per la fatica). E' un filosofo e poeta medievale della Georgia.

Mucharbek ha aperto il bagagliaio e ci ha posto dei libri. Molti libri.

Siamo andati nei villaggi georgiani. Non risultavano tali. Timur è rimasto così sul focolare dei libri…

In uno dei cortili di una casa semidistrutta siedono alcune georgiane. Per strada ci sono dei secchi con dei pomodori. 50 rubli al kg. Non fanno nomi, né cognomi. La macchina fotografica le fa infuriare.

La mia catenina con la croce di santa Nino si è rotta. Mostro la croce a una georgiana.

– Perché me la mostri? – chiede minacciosa. – Cosa vuoi sapere di me?!

Pensa che la stia provocando.

Ce ne andiamo. Cerchiamo un venditore georgiano a cui vogliamo affidare gli “Inni del Х secolo”.

…Una casa osseta. Nonna, nonno, nipoti. Chiediamo dove vive il venditore,.

– Non avete altri libri georgiani? Li terrei a mente.

Una donna si avvicina al bagagliaio, legge I titoli dei libri georgiani ad alta voce.

Chiedo a Mucharbek: “Ma perché cerchiamo un venditore, se c'è una donna del genere. Regaliamo Modrikeli proprio a lei”.

Mucharbek prende il libro di quello stesso colore celeste cantato da Nikoloz Baratašvili [19]. Sì, era lo stesso colore azzurro. La donna sfoglia con attenzione le pagine, sapendo precisamente che dono ha in mano.

Mi applico tutta a fare una foto perché si veda sia il libro, sia colei che lo possiede. Capisce la mia “segreta” intenzione. Pone il libro sul petto e chiede: “Ti serve così? Scatta!”.

Mucharbek ci porta al cimitero. E perché?

– Aspetta! Leggi i cognomi… Tutto ti diventerà chiaro.

Leggo: Papuašvili, Tebieva e così via. Lui georgiano, lei osseta. Lui osseto, lei georgiano.

– Prima di cominciare una guerra, passassero dal cimitero…

Il cimitero si trovava su un'altura.

Da qui si apre una bellezza di tale forza che fa semplicemente ammutolire.

– Dimmi , l – non si da pace Mucharbek, – di chi è questa bellezza, se è data da Dio?

Torniamo indietro. Stavolta le georgiane chiedono libri. Ma abbiamo solo lavori di linguistica. Li distribuiamo generosamente.

Questo quadro non lo dimenticherò mai e poi mai: una casa semidistrutta, una strada danneggiata, il cancello contorto del giardino e dietro di esso otto donne, una delle quali si appoggia ad un bastone. Si sono immerse nei libri sulla loro lingua come nel “Padre Nostro”. Deda èna!* Abbi pietà di noi!

Al limite del villaggio c'è una chiesa. Distrutta con cattiveria e impeto. Si sono conservate alcune lapidi. Si possono ancora leggere i cognomi. Nel cortile Mucharbek trova una campana. E' rotta. Tira la corda con forza e – miracolo! – la campana si mette a suonare. La chiesa abbattuta si è rimessa a vivere.

…Così non siamo arrivati fino a Kechvi [20]. Volevo proprio sapere se era viva Varvara – un'osseta. Il marito è georgiano. Hanno quattro figli. Ci eravamo visti ancora nell'altra guerra georgiano-osseta [21]. Lei voleva andarsene di casa. Il marito non glielo permise. Diceva: non ci separeremo. Era un periodo duro per la famiglia: avevano ucciso il suocero di Varvara. Pascolava le mucche. Lo uccisero – e via!

– Quando venni a sapere che nel villaggio vicino avevano massacrato un'intera famiglia, dissi a casa: succederà una disgrazia. Non toccò aspettare molto. Dio non perdonò quell'omicidio e ci capitò una tragedia.

Volevo proprio chiedere, perché senti su di te, Varvara, un omicidio di cui non sei colpevole? Non l'ho chiesto. Varvara sapeva qualcosa di importante su com'è fatta la vita e che la mia anima non conosceva.

Ecco, capisco poco gli interessi geopolitici e strategici di Georgia e Russia.

Ma dirò: nessun interesse vale la vita umana, per qualche motivo apparsa in questo mondo per volontà di Dio. Che vittoria è, se un villaggio è ridotto in cenere? Questo riguarda tanto i georgiani, quanto gli osseti.

Le madri di Beslan mi raccontavano che folli telefonate giungevano dagli osseti costretti ad andare nei sotterranei nella notte dell'8 agosto. Com'era il grido di vecchi e bambini: “Salvateci”.

Cos'è riuscito a gridare o ha forse gridato il vecchio georgiano prima che una pallottola lo colpisse su una sedia a rotelle?

Cos'ha detto l'osseta Liza Chaduri, fuggita dal villaggio? Di cos'era colpevole stavolta?

Andate a quel paese! Chi ha cominciato la guerra e chi ha forzato una pace tale che per decine di chilometri si stende una zona morta di case distrutte, dove nascevano bambini e finivano il loro tempo i vecchi. Dove oggi ci sono corvi sulle ceneri. E un cartello blasfemo: “Tutto per la casa”.

E infine.

Da Beslan non te ne vai mai. Perfino nell'Ossezia del Sud, che vive l'euforia della vittoria.

– Beslan è una vittima sacrificata in nome della libertà di Cchinval [22], – ha detto una persona. Vorrei fare il suo nome, ma non lo farò.

L'ha detto in modo tale che mi ha gelato.

Gelate anche voi.

* Deda èna (georgiano) – lingua madre.

Èl'vira Gorjuchina
Mosca – Cchinvali – Èredvi – Vanati – Saccheneti – Mosca

19.11.2009, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2009/129/12.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Mir significa sia “mondo” che “pace” ed è probabile che l'autrice intende alludere anche alla fine della pace. Inoltre anticamente mir significava anche “villaggio”, “comunità agraria”.

[2] Capitale dell'Ossezia del Sud.

[3] Città della Georgia centro-settentrionale, nota per essere il luogo natale di Stalin.

[4] Villaggio dell'Ossezia del Sud, come pure Satskheneti.

[5] Villaggio georgiano ai confini con l'Ossezia del Sud.

[6] Marca di camion.

[7] Città della Russia asiatica, alle pendici degli Urali.

[8] Pseudonimo del poeta, drammaturgo e scrittore georgiano Luka Pavlovič Razikašvili.

[9] Villaggio dell'Ossezia del Sud.

[10] Il corsivo, qui e altrove, è mio.

[11] Amica.

[12] Cento rubli sono meno di 3 euro.

[13] La versta è un'antica unità di misura russa, pari a 1067 metri.

[14] Re georgiano del XII secolo, che secondo una leggenda era di origine osseta.

[15] Colei che introdusse il cristianesimo in Georgia nel IV secolo.

[16] Cioè la chiesa di san Giorgio nel centro di Tbilisi.

[17] Meno di 30 centesimi di euro.

[18] Non ci sono “osseti del sud” come etnia a se stante. L'Ossezia è una regione storica omogenea, divisa in epoca sovietica tra le due “repubbliche socialiste” di Russia e Georgia. Per vari motivi (non ultimo il fatto di essere indoeuropei a maggioranza cristiana in un Caucaso abitato da popoli autoctoni o di etnia turca a maggioranza islamica) gli osseti sono relativamente “filorussi”. Curioso però che l'artificiosa “Ossezia del Sud” rivendichi l'indipendenza senza chiedere la riunificazione e l'indipendenza dell'intera Ossezia storica.

[19] Nikoloz Melitonovič Baratašvili, poeta georgiano del XIX secolo.

[20] Villaggio nei pressi di Cchinvali.

[21] Il conflitto seguito alla dichiarazione unilaterale di indipendenza dell'Ossezia del Sud nel 1991. Si concluse con la mediazione dell'OCSE nel 1992, ponendo nelle zone contese forze di pace georgiane, ossete e russe.

[22] Nome dato a Cchinvali dalla maggior parte degli osseti.


http://matteobloggato.blogspot.com/2009/11/un-sogno-di-fratellanza-tra-popoli.html

Nessun commento: