|     Il 12 aprile 50 cosacchi sono giunti a Rostov dai villaggi cosacchi del   Don per sostenere gli uomini dei corpi speciali accusati dell’omicidio di sei   civili inermi della provincia di Šatoj in Cecenia. In quel giorno presso il   tribunale militare distrettuale del Caucaso settentrionale avrebbero dovuto   proseguire le arringhe delle parti in causa. Ma comunque i cosacchi non hanno   visto il loro idolo, il capitano Ul’man. Insieme ai complici – il tenente Kalaginskij   e il sottotenente Voevodin – si è nascosto chissà dove. L’avvocato di Ul’man Roman   Kržečkovskij ha dichiarato che i telefoni cellulari di tutti e tre sono stati   spenti e che né lui né gli avvocati degli altri imputati sanno dove si   trovino adesso.
  E’ perfettamente evidente, che il sottotenente e due ufficiali dei corpi speciali   del comando dell’intelligence dell’esercito russo hanno deciso di darsi alla   fuga perché stavolta, al terzo processo, c’era la minaccia di una vera   reclusione. E’ evidente anche che una tale svolta degli avvenimenti era   assolutamente prevista.
  Durante l’ultima seduta il procuratore aveva chiesto per gli imputati da 18 a   23 anni di reclusione e al contempo non aveva accolto l’istanza per il   mutamento della misura preventiva dalla firma di un impegno a non   allontanarsi alla reclusione. Tale istanza era stata presentata dalla parte lesa,   i familiari delle persone uccise a colpi d’arma da fuoco dagli uomini dei   corpi speciali, e dai loro avvocati nella richiesta di appello inoltrata alla   Corte Suprema della Federazione Russa dopo la seconda assoluzione degli   imputati da parte della giuria. Tuttavia la Corte Suprema, pur impugnando la sentenza   e rinviando il caso a un nuovo esame, lasciò la precedente misura preventiva   – la firma. (Il capitano Ul’man durante l’istruttoria e le prime udienze si   trovava nel SIZO[1] ed è stato liberato dopo   il verdetto della giuria direttamente in aula.) Gli imputati, accusati di aver compiuto un crimine particolarmente grave, hanno   pienamente usufruito della propria libertà: hanno esercitato una palese   pressione sui testimoni. Come ha dichiarato nel corso dell’ultima udienza il pubblico   ministero colonnello Titov, i sottoposti del capitano Ul’man hanno rilasciato   le vere deposizioni nella prima fase dell’istruttoria, quando Ul’man si   trovava in stato di reclusione e non poteva influenzare i propri soldati. Di conseguenza,   dopo che con loro “hanno condotto un lavoro” i comandanti e gli uomini   dell’intelligence, o hanno ritrattato, o improvvisamente “hanno dimenticato”   tutto.
  Il soldato Cybdenov, che si era segnalato per una memoria fenomenale (stupì gli   inquirenti perché ricordava tutti i nomi, i cognomi, gli indirizzi e le date   di nascita degli abitanti del villaggio di Daj interrogati prima di essere   uccisi a colpi d’arma da fuoco), al terzo e ultimo processo dapprima si è   rifiutato di deporre, dicendo che gli faceva male la testa. Il giorno dopo, quando   è riapparso al processo, il giudice gli ha domandato ironicamente:
  - Ebbene, è già riuscito a ricevere le indicazioni dei vecchi compagni? Ora parlerà?
  Cybdenov aveva ricevuto “indicazioni” – alle domande del procuratore   ha risposto: “Non ricordo”.
  La scomparsa facile da prevedere degli imputati conviene a molti. Al più importante   processo ceceno dei nostri giorni guardano fissi sia in Cecenia, sia nelle   altre regioni russe. Alle udienze vanno tanto i “patrioti” dei gruppi che sostengono   Ul’man – cosacchi, attivisti dell’RNE[2] e   di altre organizzazioni di sinistra[3] e   nazionaliste, quanto i sostenitori dei diritti umani, che esigono pene dure per   gli assassini di civili inermi, e gli studenti ceceni degli istituti   superiori di Rostov. La situazione in aula è stata molto tesa dal primo   all’ultimo giorno.
  Qualunque sentenza emetta il tribunale, solleverà necessariamente un’ondata   di proteste dall’una o dall’altra parte. Ma se non ci sono gli imputati, vuol   dire che non c’è neanche il verdetto. Gli uomini dei corpi speciali sono   ricercati in tutta la Russia. La prossima udienza è stata rinviata al 24 maggio,   quando il tribunale dovrà decidere se interrompere le udienze o emettere una   sentenza nei confronti dell’unico e solo imputato finora non fuggito, il   maggiore Perelevskij.
  Si ha l’impressione, che questo tipo di svolta degli eventi fosse scritto da   un pezzo. Altrimenti perché persone accusate di omicidio plurimo avrebbero   atteso la sentenza standosene tranquilli in libertà, mentre decine di   migliaia di persone accusate di crimini meno gravi stanno per anni nel SIZO?    Anna Lebedeva nostro corrispondente speciale    16.04.2007, “Novaja Gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/27/11.html   (traduzione e note di Matteo Mazzoni)     |   
 
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